Cancel culture: l’abbaglio della Generazione Z contro il film cult Grease

La bocciatura di Danny e Sandy è figlia della nuova dittatura del politicamente corretto

I protagonisti di Grease

Non vale scrivere dell’ultima idiozia che, a dispetto della Brexit, è uscita fuori dal Regno Unito. Non vale sprecare parole per quel fenomeno, nel senso di baraccone, che è la cancel culture, che da circa dieci anni boicotta e attacca in rete chi o cosa esprime opinioni qualificate come razziste, transfobiche e omofobiche, antifemministe (ma il femminismo esiste ancora?), antiambientaliste. In una parola un’intolleranza al contrario, foraggiata dalla rete e culminata in movimenti come #Metoo e #BlackLiveMatter, i quali, partiti bene, sono naufragati nel mare del nuovo politicamente corretto. Che oggi equivale a mostrarsi accoglienti verso tutte le diversità e violenze e difensori strenui dell’ambiente. Detto così, siamo tutti adepti dentro il politicamente corretto, ma poi a ben riflettere ci sono due cose che fanno vestire male i panni del paladino tout court.

La prima è il forzato parallelismo tra i neri massacrati dai poliziotti americani bianchi e la tata di miss Rossella di “Via col vento”, la quale sarà stata pure una schiava ma della capricciosa Rossella era una sorta di grillo parlante (si mettano le mani avanti: il grillo parlante di questa frase non è stato maltrattato). Oppure il legame tra la solidarietà verso gli ultimi e la condanna del cartone della Disney “Lilly e il Vagabondo”. La seconda è proprio l’espressione cancel culture: un’antitesi. Cosa c’entra la cultura con cancellare? Cultura evoca una sorta di comune delle idee e dei valori, in cui il contrasto è anima e insieme slancio in avanti. E vabbè che la storia alterna Rivoluzioni e Restaurazioni, ma forse oggi si sta esagerando.

La BBC manda in onda una replica di “Grease” e i giovani inglesi si offendono perché Putzie, il tenerone del film, guarda sotto la gonna di una ragazza mentre lei se la ride e perché Sandy si veste da femmina seducente per conquistare Danny, dopo avergli cantato You’re the one that I want. Ora, con tutta la buona volontà, non viene solo e semplicemente da ridere? O da piangere, se si pensa che la prossima testa a cadere sarà quella di Omero accusato di razzismo per il poema “Odissea”? Confusi sono i capi d’accusa, ma forse quel debosciato di Ulisse che molla Calipso, Circe e Nausica e lascia Penelope a fare la tela, si vedrebbe di più come istigatore alla violenza di genere che razzista. Ridere o piangere sono comunque due emozioni difficili da esternare con questi temi.

Il fanatismo, ridicolo o lacrimevole, porta danno alle stesse cause che sposa. Questo è il punto. Se l’ambientalismo, la più urgente e seria delle battaglie del futuro prossimo, viene contaminato da anatemi contro il papà di Cappuccetto Rosso che fa fuori il lupo cattivo, nessun bambino capirà perché il cartone “L’era glaciale” lancia un messaggio contro il riscaldamento climatico, facendo ridere e pensare assieme: nessuna Greta potrà dire meglio di certe opere d’arte. Così come è fuorviante boicottare “Harry Potter” perché J.K Rowling dichiara che il sesso è un fatto biologico. Ancora di più togliere alle ragazze il friccicorio di vedersi guardate, anche sotto la gonna dal ragazzo che piace, e ridurre tutto alla bava dell’Harvey Weinstein di turno. Perché non è così, perché non ci si protegge in questo modo dalle ingiustizie e dalle violenze. I film, i romanzi, i cartoon, la musica, l’arte figurativa sono finzione: insegnano la varietà del mondo non la sua correttezza, sono vettori di valori in presenza di disvalori, decodificano il reale e non lo plagiano. Dovrebbero saperlo bene i professori del Massachusetts che cancelleranno Omero o i giovani della Generazione Z a debito di favole che attaccano quei simpaticoni di Danny e Sandy.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco cosa ci vuole: una favola.

C’era una volta un modo gioviale, spensierato e allegro di vivere l’adolescenza. La scuola era lo spazio dello studio (quello vero, perché le bocciature si curavano con scappellotti e sequestri del motorino e non con i ricorsi), degli innamoramenti fatti di baci, di “dichiarazioni” impacciate, di appuntamenti in cui il sesso arrivava dopo qualche mese (quando arrivava) e delle amicizie cementate dallo sfottò ai docenti o a qualche secchione (senza che questo fosse sempre tacciato di bullismo). La famiglia era un nucleo solido nella sostanza di ruoli, di rispetto reciproco e di affetti (anche quando arrivò il sacrosanto divorzio). I luoghi erano la piazza, il bar, la discoteca, i campetti sportivi. La musica era il rock e il cantautorato. Poi jeans e minigonne, spalline ed eskimo. Le ragazze con il cerchietto e ciuffi ben ordinati per i ragazzi, che man mano abbandonavano la brillantina.  Negli anni ’70 la brillantina non si usava più. Ma nel 1978 dagli USA arriva nei cinema proprio “Grease”, film cult che raccontava di un gruppetto di imbrillantinati liceali degli anni ’50 alle prese con l’amore, la maturazione, la vita. E siccome sono gli anni del “c’era una volta” tutti i problemi finivano in un immenso luna park a suon di musica, risate e speranze. Il film musicale di Randal Kleiser è certamente una favola. Due liceali s’innamorano e si lasciano nel giro di una vacanza estiva. Poi, il caso li fa incontrare alla Rydell High School. Lui è Danny interpretato da un ironico ( vivaddio!) John Travolta e lei è Sandy (Olivia Newton-John) con tanto di bionda coda di cavallo, pudore e occhi sognanti. La scuola, le bande, la gelosia (il personaggio della rivale forse incinta Rizzo è la nota trasgressiva della commedia), la gara di ballo e la gara automobilistica (immancabili in un film di gioventù americana) e la festa di fine anno in cui avviene la metamorfosi. Danny da bulletto a bravo ragazzo, Sandy da brava ragazza a maliarda in pelle nera mentre si balla al ritmo della canzone rock di John Farrar. E vissero felici e contenti. Tutti, i personaggi e gli spettatori. “Grease” incassò quasi 395 milioni di dollari, le canzoni compreso il tema composto dal Bee Gees Barry Geeb scalarono le classifiche e oggi le repliche non si contano, oltre alle clip, ai musical, alle citazioni. “Grease” è stato il film dei giorni felici, quegli “Happy days” che spopolavano sul piccolo schermo, tanto che a Fonzie (Henry WinKler) era stato proposto il ruolo del protagonista.  Una favola è stata forse l’adolescenza di giovani che alle feste ballavano il lento con le hit “Summer nights” o “Hopelessly devoted to You” o si dimenavano con le altre canzoni del film. Quei giovani però vivevano negli anni dopo il sogno sessantottino, la morte di idoli come Jim Morrison, Janis Joplin e Jimi Hendrix; avevano visto l’eccidio delle Olimpiadi a Berlino, il colpo di Stato di Pinochet in Argentina, la fine della guerra del Vietnam, il programma dello Shuttle e la dark moon dei Pink Floyd. In Italia, per esempio, hanno assistito alla stagione del terrorismo e all’uccisione di Aldo Moro. A Londra, mentre Nick Hedges fotografava le baraccopoli, iniziava il thatcherismo e i Beatles venivano soppiantati dalla world music e dal punk rock. Il sesso non era più un tabù: c’era stata la rivoluzione sessuale, la pillola abortiva, le prime manifestazioni gay, gli slogan femministi e il gesto della vagina.  Eppure, quei ragazzi riempirono le sale dagli Stati Uniti all’Europa fino in Giappone per vedere e cantare con due Baby Boomers di prima generazione. Perché questi erano Danny e Sandy: due figli del miracolo economico, intontiti dal rock, dal boogie-woogie e dall’amore, dal mito della velocità e dai sogni. Gli spettatori erano adolescenti e giovani che avevano perso quella spensieratezza ma non i sogni e gli ideali (Sandy è contemporanea di Joan Baez); giovani che non chattavano e, più che scrivere tweet e post, prendevano uno striscione e manifestavano. E quando si davano, in Italia, del fascista e del comunista sapevano davvero di cosa si stava parlando e non di formati di pasta.  Non basta dichiararsi indignati, se i giornali rilanciano i tweet di quattro followers o leggere le importanti e benvenute prese di posizione di artisti e intellettuali che nel mondo si stanno scagliando contro la cancel culture, o rievocare l’immarcescibile osservazione di Umberto Eco sul diritto di parola sul web alle legioni di imbecilli. Il punto è chiedersi se pochi imbecilli stanno plasmando un’intera generazione o se a questa generazione manchino gli strumenti critici e interpretativi della realtà.

Dove va la Generazione Z

La Generazione Z, cioè la generazione che va dai 24 ai 10 anni, vive tra app e lezioni scolastiche sul cambiamento climatico, ambisce a diventare influencer o youtuber, si forma in base al numero di like e comunica con Whattsapp  e Snapchat o attraverso Instragram che toglie pure l’impaccio della parola. Pragmatici e veloci, i giovani della Generazione Z vivono un tempo bidimensionale: presente e futuro. Del passato serbano in genere poca conoscenza, se accade che giudichino sessista un film che racconta gli anni ’50 e lo fa in modo rivoluzionario: la tuta di pelle di Sandy è la ribellione contro un modello femminile e non l’assoggettamento al maschio. Non hanno senso della storia i #DisruptTexts, che pretendono di cancellare l’arte in nome di un politicamente corretto del tutto non assimilabile, senza la dovuta contestualizzazione, alle bende sulle figure del Giudizio Universale di Michelangelo, chieste da papa Carafa in piena Controriforma. Quella via web non è una Controriforma 2.0: è piuttosto pancia ed emulazione, oblio e sproloquio. E’ un’emergenza educativa cui deve seguire l’invito a studiare e cercare di comprendere che coordinate avrà un futuro che ha perso la memoria del passato. La famosa eredità dei padri necessaria per costruire il presente.  E il futuro. Chissà se i giovani britannici hanno pensato al malinconico svago che suscitò nei liceali del 1978 la storia di liceali di vent’anni prima. Se conoscono la storia degli Stati Uniti degli anni ’50 e vedono nella brillantina un fenomeno di costume. Se possiedono la leggerezza della seduzione e dell’innamoramento: se non la possiedono, si cerchi di capire come insegnarla loro. Come recuperarla anche dalle ali del Perseo calviniano. Che è un eroe di favola anche lui. Come gli eroi di Omero, molto più utili alla Generazione Z di quanto si possa pensare e non solo perché è preferibile un verso di Omero a un rutto via web. E poi vuoi mettere la preghiera di Vince al ballo di “Grease” a non formare coppie dello stesso sesso contro la preghiera del deputato Cleaver a tutti gli A-men e le A-Woman?

Daniela Sessa

Daniela Sessa su Barbadillo.it

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