Berto Sour. Rilegittimare il “maschio guerriero” al tempo dell’isteria post-femminista

La riflessione di Giacomo Petrella sul ruolo maschile in un tempo nel quale la fluidità disegna scenari destrutturanti

Fight Club

Ha molto colpito l’opinione pubblica uno striscione circolato sui social durante la settimana mondiale dedicata all’eliminazione della violenza sulle donne. Recitava così: “proteggi tua figlia, educa tuo figlio”. Il dato curioso stava nell’evidente linea rossa posta sulla prima parte della frase, nel modo della più classica delle correzioni scolastiche, a sottolineare un grave errore concettuale già risolto nel secondo periodo dello slogan.

Il senso è chiaro: persino voler proteggere una donna, una ragazza, una bambina, dovrebbe risultare il sottoprodotto malato e machista, la conseguenza nefasta, di un problema eminentemente culturale. Una volta educato il maschio, o rieducato, la violenza stessa dovrebbe irenicamente cessare.

Per quanto legittimi siano gli sforzi della cultura mainstream di trasformare un’incontestabile agenda pratica (la prevenzione e la punizione della barbarica violenza domestica maschile) in una più ampia campagna di sensibilizzazione di genere (categoria, opportunità, divario salariale, libertà di scelta ecc) resta piuttosto difficile non cogliere con preoccupazione il sottobosco post femminista dentro al quale siamo costretti a muoverci.

L’equiparazione biologica fra violenza e genere maschile per quanto veritiera e scientificamente appropriata, purtroppo ci riporta dritti ad un riduzionismo quasi razzista che elimina da principio proprio l’elemento culturale dal discorso.

Si badi bene, non sto dicendo nulla di nuovo e sto semplicemente utilizzando le stesse categorie concettuali grazie alle quali la Nuova Destra seppe disintegrare negli anni ’80 l’antirazzismo omologazionista. La domanda sorge infatti spontanea: si vuole davvero vivere in un mondo senza violenza? E’ la violenza un dato umano fors’anche necessario? Se si, il concetto rieducativo del neo femminismo prevede uno scambio di ruoli?

Credo siano domande legittime visto che da sempre le società maschili hanno costruito il proprio esistere su codici etici, morali, giuridici tutti tesi ad imbrigliare la violenza all’interno di una dimensione utile, lecita ed ordinata. Tali codici e tali briglie (l’onore, la fede, il rispetto, ecc) hanno permesso agli uomini, per millenni, di sconfiggere la nevrosi del furor in cambio di una posizione funzionale per sé e per la propria società. Non è un caso che tutti i trattati e tutte le epiche del Guerriero insegnino e raccontino in primis la calma, il distacco, la disciplina di servizio, condannando ogni forma di eccesso e superbia.

E’ al contrario la società moderna e capitalistica, slegata da ogni funzione, anzi incline all’unica funzione del denaro-merce, la società del sopruso reso istituzione, ad aver creato, soprattutto nel secondo dopoguerra, generazioni di uomini senza onore, codice venuto inutile, senza limiti morali, e posti anarchicamente a fluttuare nel marasma relativista della società liquida.
Oggi il neo femminismo vorrebbe correre ai ripari, rimediare a quasi un secolo di innaturale e schizofrenica rincorsa maschile alla schiavitù della compravendita, ad una probabile gigantesca cloaca di violente frustrazioni mal riposte. Ma senza offrire alcuna reale soluzione.

Non è un caso che in questo contesto di denigrazione dei valori virili, la vulgata televisiva conceda alla donna qualsiasi scelta individuale, calcando pesantemente sulle tematiche psicologiche della felicità, della realizzazione individuale e della eudemonia: dalla tiktoker sculettante all’amministratrice delegata è il successo che conta, senza distinzioni qualitative. La donna sembra sempre più oggetto del mercato e della politica e sempre meno attore sociale con diritti e doveri.

Di contro, per il maschio rieducato alla totale non violenza, che diviene una totale assenza di vigore, lo stereotipo del “senso del dovere”, del “realismo”, della “presenza di spirito”, del “sacrificio” resta ben impiantato in tutte le coscienze e in tutti i livelli produttivi. E’ questo il maschio-bancomat, che assiste impotente ad una lotta di classe dentro la quale il genere femminile sembrerebbe aver scelto le parti del grande capitale.

Lo diciamo senza alcuna ironia, consapevoli da vecchi lettori di George Sorel, di quanto la violenza ed il conflitto, seppur latenti, disciplinati, o manifesti, siano necessari affinché una società resti in equilibrio. Una sociologia senza i paraocchi troverebbe facilmente i nessi causali fra crollo dei diritti sociali, della produttività, degli investimenti, del risparmio e l’ascesa di una mentalità antivirile, ostile all’organizzazione aperta dei conflitti e della redistribuzione dei valori e delle opportunità.

D’altro canto nessun modello post femminista si propone di colmare il vuoto: se gli attuali testi scolastici delle elementari (testimone io stesso) suggeriscono ai bambini professioni di “scarsa stima sociale” come il baby-sitter, l’uomo delle pulizie, il maestro elementare, alle bambine è riservato un futuro radioso come astronaute, giudicesse, chirurghe, presidentesse della Repubblica ma mai come cape sindacali o giornaliste d’inchiesta. Nei fatti alla donna del terzo millennio, liberata e protetta dal maschio, viene concesso come unico obiettivo di realizzazione l’obbedienza performante al modello sociale garante della sua liberazione. Marcuse ed Erich Fromm scriverebbero fiumi d’inchiostro su questo nuovo complesso di Elettra.

Bene ha fatto, recentemente, la casa editrice Pssaggio al Boscco a tradurre il fenomeno americano Jack Donovan, autore de La Via degli Uomini: un testo consigliato a tutti coloro che, uomini o donne, abbiano ancora consapevolezza di quel perimetro naturale, famigliare, reale, da difendere quotidianamente con le unghie e con i denti. Chi saprà ridare un ruolo funzionale al maschio, un codice, ed un rinnovato rispetto, garantirà alla propria società o al proprio piccolo gruppo un’armonia ed una vera pace che il mainstream finge solo di saper organizzare.

@barbadilloit

Giacomo Petrella

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