Cultura (di P. Isotta). La cittadinanza universale di Caracalla fu una vessazione fiscale per i sudditi di Roma

Lo studio nel libro Civitas Romana, civitas mundi. Saggio sulla cittadinanza romana, di Antonio Palma

Marco Aurelio Antonino Pio Augusto, nato Settimio Severo Bassiano, generalmente conosciuto sotto il nomignolo di Caracalla, fu uno dei più crudeli imperatori romani. Nacque a Lione nel 188 e morì nel 217 a Carre, stroncato da una troppo tardiva congiura: Carre, nome fatidico di sventura per la storia di Roma. Non appena asceso al trono per la morte del padre Settimio Severo, il quale già ammalato, era scomparso a Eburacum, oggi York, combattendo contro le selvagge tribù locali, non intimorite dal Vallo, fece uccidere il fratello Geta, che nelle volontà del padre avrebbe dovuto regnare pariteticamente con lui: e i sicarî non vennero trattenuti dal fatto che Geta si fosse rifugiato in seno alla madre Giulia Domna, stringendosi disperatamente a lei. Ella rimase imbrattata del sangue del figlio e ferita; e ci voleva un’incredibile forza d’animo per non impazzire dopo un tale misfatto. Indi Caracalla fece uccidere ventimila persone, in qualche modo ree di aver avuto a che fare col fratello assassinato. Poi compì un terribile eccidio sulla gioventù di Alessandria, convocata a tradimento, e persino uno, del pari a tradimento, sui dignitarî Parti, in uno dei pochi momenti che le due Nazioni non fossero in guerra. Il padre, grande condottiero, aveva inflitto loro pesanti sconfitte. Il figlio non può ch’esser visto alla luce della psicopatia grave.

Caracalla ci ha lasciato le Terme e un editto, rettamente Constitutio Antoniniana, col quale estendeva a tutti i nati liberi dell’Impero la cittadinanza romana. Non v’era in ciò alcun intento illuminato: il provvedimento aveva fini fiscali, e aggravava lo stato della popolazione, fino a quel momento retto da una molteplicità di regimi. Il tema della Constitutio Antoniniana, inserito in una più vasta trattazione della cittadinanza, può leggersi in un ammirevole libro or sortito, pieno di sottigliezza ed erudizione, Civitas Romana, civitas mundi. Saggio sulla cittadinanza romana, di Antonio Palma (Giappichelli, pp. 139, euro 14).

Caracalla portava sangue africano per parte di padre, siriaco per parte di madre. E questo accende una riflessione sull’ecumenicità dell’Impero, sull’assoluta mancanza di razzismo avuta da Roma. Più da vicino si deve esaminare la storia di Giulia Domna, anche per cernere l’importanza avuta, in un non breve giro di anni, dalla Siria nella vita di Roma; e a far ciò aiuta un bellissimo libro, pur esso recente, di Francesca Ghedini, Giulia Domna (Carocci, pp. 267, euro 24). Ella era nata nel 170 nella ricca e antica città di Demesa e proveniva da un rango eminente: il padre era il sommo sacerdote del Sole. Quand’era adolescente, le venne profetizzato il trono. Come rapidamente si diffondevano le notizie, o le dicerie, allora, senza radio, senza internet! Della profezia giunse all’orecchio di Settimio Severo, militare e politico di belle speranze. In quel momento egli era a Lugdunum, ossia Lione. Di lì egli avviò una trattativa col padre di lei avente per fine il matrimonio. Il consenso venne intelligentemente prestato; e la ragazza venne spedita in Gallia per le nozze.

Settimio Severo fu un grande imperatore, e il suo principato fu assai lungo; pur se dispotico e implacabile nella vendetta: il che agli occhi del Gibbon quasi oscura la sua gloria. Giulia Domna gli fu accanto discretamente ed efficacemente. Ciò non fu facile, giacché ella aveva da superare – quietamente e in silenzio – l’ostilità del potentissimo Prefetto del Pretorio Plauziano, dalla smisurata ambizione, ma amico sin dalla gioventù dell’Augusto. Plauziano venne poi assassinato in una congiura ordita da Caracalla durante gli ultimi giorni di vita del padre. Ma quanto difficile dovette esser la vita di questa grande donna, se pensiamo che, asceso Caracalla al trono, ella dovette in silenzio, e sempre nel terrore di chi sa quali conseguenze, convivere col folle e onnipotente figlio, tentando solo con delicatezza di dargli utili consigli, non rispettati. In tale mondo terribile la sua sola ancora fu la cultura. Mecenate, cultrice di filosofia, radunò attorno a sé i sapienti e gli artisti. Nel corso del principato dello sposo era giunta a portare l’appellativo di mater castrorum, madre degli eserciti; e nella considerazione salì ancora più in alto. Nel libro della Ghedini tutta la seconda parte è un’indagine sulle immagini, dalle statue ai sigilli agli ornamenti, afferenti a Giulia Domna: qui a parlare non sono le carte (Cassio Dione in primis) ma il marmo, la pietra, le pietre preziose, il metallo delle monete. Ella godette di un vero culto.

Dopo la morte di Caracalla a Giulia Domna non restò più spazio vitale. Ella non volle gettarsi ai piedi del nuovo Imperatore, Macrino, e morì. Chi sostiene per malattia, chi per un lento suicidio avvenuto per inedia. Quale che sia la causa della morte, la sua figura esce circonfusa di eroismo.

La mia passione per la storia romana è stata appagata dalla lettura delle due opere delle quali qui parlo.

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*Da Libero Quotidiano del 3.10.2020

Paolo Isotta*

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