Cultura (di P. Isotta). Madre degli eserciti, protettrice delle arti: la storia di Giulia Domna

Figlia di un sacerdote del Sole, moglie di Settimio Severo, madre di Caracalla, la sua parabola in un libro di Francesca Ghedini

   Giulia Domna nacque nel 170 p. Ch. nell’antica e prospera città di Emesa, in Siria. Suo padre era il gran sacerdote del Sole: il culto del quale veniva osservato in tutto l’Oriente, prima che a Roma Aureliano instaurasse il padre della luce quale somma divinità. Il nome Domna nasce da una radice semitica: ma un giorno, in Occidente, sarebbe stato interpretato siccome Domina; e questo si comprende per una figura che un giorno avrebbe portato l’appellativo di mater castrorum, madre degli eserciti.

Or accadde che a lei, ancor adolescente, venisse profetizzato il trono; e questa profezia giungesse all’orecchio del militare Settimio Severo, che si trovava a governare a Lione. Settimio era africano, di Leptis Magna: la società romana era quanto di meno razzista vi fosse, e integrava tutti nel suo alveo – beninteso, Settimio non era negro. Allora il condottiero trattò per lettera il suo matrimonio con la giovane donna; dopo il consenso paterno, ella venne spedita in Gallia per la celebrazione e la consumazione delle nozze.

Finalmente, Severo giunse al principato. Il suo impero sarebbe durato a lungo; e sarebbe stato prospero, equilibrato e ricco di vittorie militari. Domna regnò al suo fianco. Ella sarebbe stata un’imperatrice amante della filosofia e delle arti, una mecenate. Ma a lungo sarebbe stata nell’ombra, per l’ostilità che nei suoi confronti nutriva il Prefetto del Pretorio, Plauziano, del quale l’Imperatore molto si fidava. Plauziano sarebbe stato ucciso in una congiura organizzata da Caracalla nel febbraio del 211, durante gli ultimi giorni di vita del padre. Settimio, instancabile guerriero, morì a Eburacum, l’odierna York, combattendo contro le temibili tribù locali. Sarebbero dovuti salire al trono, congiuntamente, i due figli aviti da Giulia Domna, Bassiano, appunto, detto Caracalla, e Geta. Essi si odiavano, e Caracalla, asceso al soglio, lo fece assassinare dai suoi: Geta s’era rifugiato in seno alla madre, la quale ne risultò tutta bruttata di sangue e persino ferita.

  Caracalla si diede a crimini orrendi: a Roma, in Egitto, contro i Parti. Giulia Domna non potette far nulla per impedir tali crimini. Quando finalmente il mostro morì, ella a sua volta lasciò la vita: chi dice per malattia, chi per suicidio. La storia di questa grande donna, dotata di non comuni intelligenza ed equilibrio, è narrata nel bellissimo libro di Francesca Ghedini Giulia Domna  (Carocci, pp. 267, euro 24); del quale libro si ammirerà, oltre la dotta e avvincente narrazione biografica, la seconda parte, dedicata alla ricostruzione delle effigi su monete, statue, sigilli, dell’Imperatrice. L’atto per il quale Caracalla è ricordato è la Constitutio Antoniniana, ossia l’estensione della cittadinanza romana e tutti i nati liberi dell’Impero. Essa fu causata non da ideologia ma da motivi fiscali. Il tema della cittadinanza è trattato in un altro libro adesso uscito, il magistrale e complesso Civitas Romana, civitas mundi. Saggio sulla cittadinanza romana, di Antonio Palma (Giappichelli, pp. 139, euro 14). La mia passione per la storia romana è stata appagata dalla lettura delle due opere delle quali parlo qui.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 4.10.2020

Paolo Isotta*

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