L’idea imperiale del Giappone per Karl Haushofer

Oltre alla Geopolitica, la maggiore passione intellettuale del Professore-Generale bavarese è stata la terra del Sol Levante

La bandiera del Giappone imperiale

Karl Haushofer
Karl Haushofer

La benemerita e coraggiosa casa editrice parmense, all’insegna del Veltro, diretta dall’ottimo tradizionalista Claudio Mutti, fece uscire qualche anno fa vari fondamentali testi dello studioso e yamatologo tedesco Karl Haushofer (1869 – 1946), fondatore nel 1924 della prestigiosa Zeitschrift für Geopolitik (“Rivista di Geopolitica”) e autore di numerose opere afferenti alla Geopolitica. Egli fu un tenace assertore della esigenza di una unità della massa continentale eurasiatica. Demonizzato come ideologo del cosiddetto espansionismo hitleriano, Haushofer è stato invece autenticamente antimperialista. Del resto, il suo massimo conoscitore, il belga Robert Steuckers, è profondamente convinto che la Geopolitica di Haushofer fosse per l’appunto “non egemonica”, in opposizione agli intrighi di dominio delle potenze talassocratiche anglosassoni, poiché queste ultime impedivano l’armonioso sviluppo dei Popoli da loro sottomessi e dividevano inutilmente i continenti. 

Oltre alla Geopolitica, la maggiore passione intellettuale del Professore-Generale bavarese è stato il Giappone, che analizzò da una prospettiva assolutamente originale. A dimostrazione della bontà e utilità degli scritti di Haushofer sulla Terra del Sol Levante, vi è il fatto che egli fu coinvolto dal grande orientalista italiano Giuseppe Tucci (1894 – 1984) nelle attività dell’’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), quando venne invitato a Roma per tenere due conferenze. Lo sviluppo dell’idea imperiale nipponica altro non è che l’estratto della seconda relazione tenuta da Haushofer, il 6 marzo 1941, quindi in piena Seconda Guerra Mondiale! Il testo si inserisce, storicamente, come peraltro evidenzia il curatore del “Quaderno”, il compianto Carlo Terracciano, nel contesto delle attività culturali promosse da Tucci stesso, volte a informare e sensibilizzare la intellighenzia italiana sulle opportunità e necessità, nonché problematicità, dell’unità geopolitica dell’Eurasia, al fine di orientare la politica nazionale a una promozione di una visione culturale geopoliticamente incentrata sui rapporti tra l’Europa e il Continente Asiatico.

Le geniali e ancora attuali intuizioni di Tucci

Quando si parla di Giuseppe Tucci, è doveroso rammentare che si fa riferimento a colui che è giudicato da molti studiosi del settore come il più grande esperto d’Asia del ‘900, e pertanto, insieme a Padre Matteo Ricci (1552 – 1610), il missionario gesuita in Cina alla corte dei Ming fondatore della orientalistica, una voce imprescindibile quando si ha a che fare con le civiltà di questo complesso e arcaico Continente. Il caso vuole che entrambi erano di Macerata, e non possiamo evitare di stigmatizzare che questa città non ospita un museo a loro dedicato! Ciò palesa quella “cecità culturale” contro la quale Tucci lottò costantemente. Una impostazione, la sua, che si contraddistinse comunque per essere non soltanto accademica e, occasionalmente, di supporto alla nuova politica dell’appena nato Impero Italiano, ma pure propensa ad alimentare quelle cruciali collaborazioni, per dirla proprio con Haushofer, Pan-Continentali o Pan-Ideali. Riteniamo sinceramente limitativo definire il professore italiano solo un tibetologo. Egli andrebbe considerato a tutti gli effetti un eurasiatista, e il suo IsMEO lo creò in modo da essere un “agente culturale”, capace di far dialogare proficuamente la nostra Nazione con i Popoli asiatici. Per far questo, si avvalse di validi esperti, e tra costoro figurò pure Haushofer. Sarà purtroppo il fallimento di quella aristocratica alleanza e sodalità caldeggiata negli anni ‘30 da questi due superbi ricercatori, a far precipitare l’intero Globo nella morsa della politica neo-colonialista delle talassocrazie anglosassoni. Infatti, il Giappone Imperiale di cui parla Haushofer mirava a creare una Area di Cooperazione Panasiatica che escludesse finalmente americani e britannici dall’ingerire nei destini dell’Oriente. Il tedesco, nella relazione esposta a Roma, propone un continuo parallelismo tra la storia europea e quella nipponica: “[…] le selvagge lotte fra Taira e Minamoto, simili alla guerra delle Due Rose, […]” (18), a sottolineare quel destino comune nel quale ha accanitamente creduto. Tucci restò assai colpito dalla non faziosità della speculazione haushoferiana, dal fatto, cioè, che il geopolitologo riconoscesse il Primato di Roma e dell’Italia in generale, in modo da costruire una alleanza non meramente politica, bensì spirituale col Giappone; ad esempio, quando egli accomuna Kitabatake Chikafusa (1293 – 1354) a Dante (19), poiché entrambi autori di sommi “poemi politici”. Questo lo porta a dichiarare come la Divina Commedia risonasse in grandezza col coevo Jinnoshiki (神皇正統記, “Jinnō shōtōki”, 1339 ca.) di Kitabatake, che può ragionevolmente essere valutato un classico del pensiero politico giapponese, ove si fissarono, in coerenza con la tradizione shintoista, i princìpi di legittimità della discendenza imperiale. Uno scritto come questo, nel suo ancorare la “liceità politica” a una matrice religiosa, non poteva che attirare l’interesse del tedesco, che ne apprezzava il portato valoriale, il quale avrebbe potuto essere di ispirazione per quelle Nazioni occidentali non asservite alla Economia e alla ricerca di formule etico-politiche su cui plasmare una nuova forma di società, rivolta sì al passato, ma non nostalgica. 

I riferimenti all’Italia nella relazione di Haushofer sono diversi e variegati, a conferma della sua conoscenza e ammirazione per il Belpaese. Nella analisi sulla struttura politica del Giappone, il suo pensiero va più volte alla grande cultura e Bellezza della nostra Nazione, egli arriva persino a citare quello scrigno di tesori che è il Museo del Bargello di Firenze (21), inaugurato nel 1865, il quale conserva la più importante raccolta al mondo di scultura rinascimentale. Nelle opere del geopolitologo, inclusa questa, si cerca di proporre un canone occidentale da mettere a confronto con quello orientale, segnatamente per quanto concerne il Sol Levante, e questo lui, saggiamente, lo individua nella Città Eterna. Non è casuale, allora, la sua celeberrima definizione di Kyōto come la “Roma giapponese”. Malgrado il marcato nazionalismo, cosa che lo convinse a collaborare col Drittes Reich hitleriano, su consiglio dell’amico e allievo Rudolf Walter Richard Heß (1894 – 1987), il Professore-Generale non ebbe mai dubbi sul Primato Italiano, indispensabile a suo avviso per riordinare in chiave tradizionale un Occidente succubo del mercantilismo delle potenze “democratiche”. Fu questo uno dei principali motivi che spinsero Tucci a divulgare il pensiero di Haushofer, il quale ieri, come oggi, trova maggiore attenzione in Italia che in Patria; benché, come avremo modo di ribadire in chiusura, soffre comunque di una generale scarsa diffusione ed esegesi. 

Una inestimabile sintesi sulla nipponicità

Il testo di Haushofer si contraddistingue per la sua chiarezza e precisione, e in questo senso rappresenta un documento “didattico” di enorme  importanza per gli studiosi di Geopolitica. Il suo contributo alla ricerca e, soprattutto, alla Yamatologia si attesta come un unicum nel settore, sebbene, come detto, egli venga aprioristicamente e faziosamente bollato come l’ideologo dell’espansionismo nazionalsocialista. 

Ricordiamo che il soggiorno di Haushofer in Giappone va dal 1908 al 1910, durante gli ultimissimi anni del Periodo Meiji (1868 – 1912), con quella Restaurazione che aveva svecchiato l’Arcipelago, aprendolo alle migliori menti straniere, gli Oyatoi Gaikokujin (お雇い外国人, letteralmente: “gli onorevoli impiegati stranieri”), tra cui vanno ricordati pure tre eminenti italiani: Edoardo Chiossone, Antonio Fontanesi e Vincenzo Ragusa, che posero le basi per la moderna arte del Sol Levante. In questa rigogliosa temperie culturale si inserì il viaggio di studio di Haushofer in terra nipponica, fornendogli quelle informazioni di prima mano che saranno poi elaborate nelle sue importantissime e forse ancora ineguagliate analisi sulla essenza del concetto imperiale in Giappone. 

L’Arcipelago divenne unificato seguendo un preciso modello “etnico-politico”. A tal proposito, Haushofer non fa mistero di ritenere che l’Occidente non abbia mai veramente compreso il particolare potere del Tennō (天皇, l’Imperatore) nella storia giapponese. A questa figura di uomo divinizzato in Terra, egli associa quella del Papa; anche se poi, in consonanza con molti illustri pensatori tradizionalisti, in primis Julius Evola, il tedesco individua nel Cristianesimo quella che Terracciano causticamente definisce: “infezione spirituale” (9). Nel caso del Giappone, per Haushofer questa contaminazione allogena venne rappresenta dalla diffusione del Buddhismo a partire dal VI secolo d. C., con la quale si genererà un pericolo mortale per il senso imperiale nipponico. In effetti, costui riteneva che la unicità dell’Imperialismo giapponese stesse nel concetto di “sopravvivenza” (13), totalmente diverso da quello di koming (“Ritiro del Mandato Celeste”), a cui allude nel suo intervento, e che ha sempre connotato il regime dinastico in Cina. Riteniamo sia fondamentale comprendere che sta esattamente qui la sostanziale differenza tra l’idea di Regnante in Cina e in Giappone, diversità di una importanza nodale e che molti orientalisti contemporanei, troppo avvezzi alle letture stereotipate di matrice statunitense, quindi strutturalmente incapaci di decifrare i codici profondi dell’Asia, non riescono ad accorgersi del fatto che mentre il Sovrano nell’Arcipelago è eterno, in quello che sogliamo ancora chiamare Celeste Impero no. 

Vale la pena proporre ora una piccola precisazione di natura linguistica. Nel trascrivere il sopracitato termine cinese, Haushofer utilizza stranamente, per un tedesco, il sistema di trascrizione della EFEO (École Française d’Extrême-Orient), al posto dell’allora maggiormente in voga Wade-Giles. In questo sistema di romanizzazione fonetica, “Ko” corrisponde al “Ge” dell’attuale Pinyin, per cui la parola diventa “gémìng” (革命, “rivolta/capovolgimento”), termine utilizzato anche per indicare la Grande Rivoluzione Culturale maoista (文化大革命, “Wénhuà dà gémìng”). Ciò ci fa intendere come alcuni concetti radicati sin dalla antichità in Cina siano sopravvissuti nei secoli pure ai più drammatici stravolgimenti politici. Nel Paese di Mezzo, infatti, quando avveniva una carestia o qualsivoglia disastro naturale, ne rispondeva l’Imperatore in persona, poiché aveva perso la benevolenza delle Divinità, e il Popolo si sentiva autorizzato a ribellarsi contro di lui e a deporlo con la forza. Questo spiega l’alternarsi di tante Dinastie nel Paese. Tutto il contrario, come detto, per il Giappone tradizionale, ove l’Imperatore è un Dio intoccabile. 

Haushofer parla inoltre della intrinseca natura “bicellulare” (14) del Giappone, chiarendo come: “Dalla congiunzione della cellula marittima (Naikai) e di quella continentale (Kamigata) sorse così il primitivo Impero ‘Yamato’, che assorbì gli altri staterelli e si accinse a completare l’impero insulare, estendendosi verso nord-ovest e il nord” (16). Nella sua interpretazione della struttura politica nipponica, egli ci tiene a precisare che malgrado il Giappone, durante quello che la storiografia di settore chiama il militarismo degli anni ‘30 e ‘40, abbia agito come una talassocrazia, muovendosi per mare, così da imporre i propri interessi economici e strategici, primariamente in Cina, onde sfruttare quelle materie prime di cui il Sol Levante è da sempre carente, esso ha però mantenuto la sua anima “tellurica”. In altre parole, il Giappone non andrebbe mai e poi mai confuso con il sedicente Impero Britannico o gli Stati Uniti, poiché queste potenze erano spinte da meri interessi mercantilistici, senza apportare al mondo una visione “superiore”. Ecco, dunque, l’“idea imperiale nipponica” cara a Haushofer: quella nipponicità che si esprime nel sangue e suolo di un Popolo che si identifica nel Dio Incarnato, l’Imperatore, che non è investito di un “mandato”, come nel caso cinese, bensì è egli stesso diretto discendente della principale Divinità dello Shintoismo, Amaterasu-Ōmikami (天照大御神). Tale sacro vincolo venne spezzato solo dalla occupazione americana, al momento della quale si impose al Tennō di dichiararsi “umano”, oltraggiando una tradizione millenaria. 

Analizzando questo resoconto della sua conferenza romana, capiamo come Haushofer vivesse nel mondo reale. Egli aveva, a nostro avviso, sapientemente compreso che i Poteri (religioso e temporale) dovessero necessariamente ritrovare una forma di convivenza all’interno della società occidentale, meglio poi se in un unico individuo, come nel caso del suddetto Tennō, che egli giudica una perfetta e armoniosa sintesi tra il divino e il politico. Così facendo, il tedesco si inseriva perfettamente in quella corrente di pensatori europei che esortava il Vecchio Continente a riscoprire gli antichi valori perduti a causa di una costante despiritualizzazione, cominciata con la Rivoluzione Francese e incarnata subito dopo dalla nefasta figura di Napoleone B(u)onaparte.  

La via geopolitica nella Tradizione

Una caratteristica in Haushofer, e assai rara persino nei più raffinati tradizionalisti, è la sua onestà intellettuale, nel non voler forzare i ragionamenti in modo da sostenere a ogni costo determinate posizioni. Un utile confronto in tal senso è quello proprio con Julius Evola (1898 – 1974). Se per il grande filosofo romano i confini di un Popolo sono squisitamente spirituali, per Haushofer questi, per converso, sono quelli tangibili del territorio; tutto parte dalla Geografia nel sistema tradizionale elaborato dal tedesco. Non per niente, tornando al Giappone, in questa complessa Nazione, egli riconobbe e precisamente illustrò il sacro nel rapporto tra: “sangue e suolo”. Vi sono però delle affinità tra il Pensiero Evoliano e quello di Haushofer, cioè in una percezione negativa del Cristianesimo. In Giappone, durante lo Shogunato Tokugawa (1603 – 1868), la nuova religione importata dai missionari portoghesi a metà del XVI secolo si andò silenziosamente diffondendo, arrivando a far convertire addirittura alcuni signori locali (i Daimyō, 大名) del Sud del Paese. Ciò scatenò delle forti persecuzioni da parte del Potere Centrale. Haushofer anche in questo suo testo rimarca il fatto che il Cristianesimo entrò in conflitto con una rinata e benefica Idea Imperiale, venendo infine proibito nel 1636. Il geopolitologo tedesco si spinge a definire la religione cristiana come una: “dottrina pericolosa” (23). Invero, Evola era dello stesso avviso per quanto concerneva però l’Occidente, considerando il messaggio evangelico la causa principale del decadimento di quel sentimento eroico che aveva connotato l’Europa sotto l’egida di Roma. La critica, a tratti dura, di Haushofer verso la presenza cristiana nell’Arcipelago va inquadrata nella importanza che lui dà alla unità razziale (24) del Popolo Nipponico: un aspetto fondamentale nella visione che egli ha del Giappone, riassunto nel suo reiterare la succitata espressione “sangue e suolo”. Ragion per cui, ogni fattore estraneo/impuro poteva mettere a repentaglio questo specifico etnico, alla base dall’Anima Imperiale dell’Arcipelago.  

Sia come sia, va precisato che il pensatore tedesco non ha semplicemente posto le premesse per una Geopolitica che non fosse eurocentrica; ovvero, incline a tutelare gli interessi delle solite oppressive potenze occidentali. Haushofer è andato molto oltre, arrivando all’altro capo del Globo Terracqueo, giungendo sino al distante Giappone, cercando di carpirne gli elementi strutturali dal valore universale. Nel comprendere che per decifrare questo Popolo è necessario non scindere mai la politica dal sacro, egli ci appare quale il miglior yamatologo del ‘900, assieme ai nostri Padre Mario Marega – coltissimo missionario salesiano, autore di una imprescindibile traduzione del Kojiki, pubblicata dalla Laterza nel 1938 – e Fosco Maraini. Va poi ricordato che rimane saldo in Haushofer il principio cristallino che il governo del territorio debba essere garantito da una appartenenza etico-politica della quale il Regnante è il simbolo vivente, rappresentante la “dimensione interna”: il kokoro (心) (21), il suo  “cuore”. E questo confine spirituale – non solo nel caso nipponico – andrebbe difeso a ogni costo. Non per niente, egli utilizza più volte il termine “marca”, che all’epoca dei Carolingi indicava per l’appunto un territorio di frontiera. 

I giapponesi non compresero appieno i suoi insegnamenti

Haushofer, nel suo intervento, ammonisce il Giappone di non farsi allettare da un eccessivo desiderio espansionista, e di seguire invece l’esempio fondante (660 a. C.) di Jinmu Tennō, consolidando il nucleo dell’Impero (26-27). Purtroppo, le scelte politiche del Regime Militare alla guida del Paese a partire dagli anni ‘30 furono ben diverse. 

È interessante notare come Carlo Tracciando riconosca una continuità della Tradizione giapponese in epoca recente nello scrittore Yukio Mishima, da lui considerato l’ultimo esponente della regalità nipponica: “In poche parole la sensibilità tradizionale e moderna di Yukio Mishima coglie l’essenza stessa del Giappone eterno, l’idea imperiale, sintesi e simbolo vivente del paese inteso come un’unica famiglia con a capo il Padre-Sovrano; […]” (6). Questo grande autore e intellettuale non solo non venne ascoltato dai suoi compatrioti, ma persino deriso dai soldati mentre recitava il suo struggente Proclama, prima di compiere il suicidio rituale (seppuku), il 25 novembre 1970, quando con i suoi fedeli sodali della Tatenokai prese d’assalto il Quartiere Generale della Jieitai (自衛隊, “Forze di Autodifesa”) a Ichigaya (Tōkyō).

Stimolante risulta pure, e in perfetta sintonia con la metodologia del Professore-Generale, la comparazione portata avanti da Terracciano tra il Giappone e l’Europa, segnatamente con il nostro Paese, “E il geopolitologo bavarese segue passo passo la storia della formazione del Giappone stabilendo continui paragoni tra episodi della storia giapponese ed analoghi episodi della storia europea: il Rinascimento giapponese del XVI secolo e il Rinascimento italiano, la distruzione di Kamakura e il sacco di Roma eccetera” (9). Infatti, l’approccio comparatistico è ricorrente in Haushofer, nel rispetto del suo tentativo di creare “ponti” tra i momenti più alti e gloriosi del Vecchio Continente con quelli che potevano essere maggiormente similari avvenuti nell’Arcipelago. D’altronde, egli si interroga sulle radici stesse dei miti giapponesi, individuandone una sorprendente matrice indoiranica, come sostiene Castrese Cacciapuoti nella Appendice: “A titolo di esempio, citiamo la coincidenza simbolica dei tre tesori celesti della famiglia reale degli Sciti con i tre tesori sacri imperiali del Giappone (lo specchio di Amaterasu Yataka no kagami, la spada di Susanowo Ame no Murakumo no Kurugi, e il gioiello ricurvo di Okuninishi Yasakani no Magatama), che […] rappresentano rispettivamente le tre funzioni – magico-religiosa, guerriera, produttiva – del Potere” (48); tanto per confermare, se ce ne fosse ancora bisogno per uno yamatologo di solida e onesta formazione, quanto il Giappone raccontato da Haushofer sia un qualcosa di puntualmente ricco e profondo, mai banale. In altre parole, non le solite “lezioncine” intrise di sicumera degli odierni cattedratici, specialmente quelli di orientamento statunitense, che risultano inoltre aride, sempre fine a loro stesse. Al contrario, nel tedesco si incontrano senza soluzione di continuità i lati più nascosti del Sol Levante, e ciò permette di penetrare a fondo nella sua sovente inintelligibile essenza.   

Non poteva certo mancare in questo scritto il concetto nodale del Lebensraum (“Spazio Vitale”), architrave di tutta la Geopolitica Haushoferiana. Tuttavia, nell’esempio singolarissimo del Giappone esso è rappresentato dal mare, che consente l’isolamento, per mezzo di cui si sviluppò quel fattore etnico dello specifico nipponico: “Il solo fatto che, a differenza di quanto è avvenuto per tutte le altre concezioni nazionali, le migrazioni dei popoli non hanno esercitato alcuna influenza sulla concezione nazionale giapponese, ma che questa è sorta in modo autonomo dalle migrazioni di tribù, basterebbe a caratterizzare in modo assoluto la genesi dello Stato giapponese” (14). Capiamo, allora, come l’espansionismo voluto dal Governo militare, e che portò il Paese alla guerra contro Gran Bretagna e Stati Uniti, fu a suo modo un tradimento di quella dottrina che lo scienziato tedesco aveva impartito ai numerosi ufficiali nipponici sui studenti: gettare una influenza sull’Asia poteva anche essere una giusta soluzione per il Giappone, a patto però di non indebolire quel limes di autodifesa identitaria che secoli prima per ben due volte, con la forza del vento e delle acque, aveva salvato l’Arcipelago dall’invasione dei mongoli. Detto in modo più “tecnico-militare”, l’Esercito Giapponese venne sparpagliato per tutto l’Estremo Oriente, lasciando, dopo il disastro di Midway (3 – 6 giugno 1942), il Popolo in Patria praticamente indifeso. 

Ancora pochi gli haushoferiani tra i tradizionalisti

In conclusione, è doveroso dare spazio ai due maggiori esegeti di Haushofer, e da noi ampiamente citati in questo articolo. Partiamo da Terracciano, le cui parole consideriamo decisamente appropriate nell’indviduare nel Tennō: “[…] l’ultimo sopravvissuto alla fine del kali-yuga”(8). Mai lo studioso italiano si sarebbe immaginato che pure questa figura, parzialmente scampatata alla furia inconoclasta degli americani, avrebbe un giorno ceduto il passo ai mali del tangibile, cosa che è avvenuta con l’abdicazione di Akihito, il 30 aprile 2019. Eccellente è parimenti la sintesi di Terracciano nel parlare di una perfetta unità tra “tradizione vivente e modernità operante” (10) del Giappone, evidenziando correttamente la capacità, perlopiù costantemente riuscita, di questo Paese nell’assorbire in modo funzionale usi, costumi e tecnologia occidentali, senza che questi ne intacchino nel profondo l’anima. Ed è proprio questa la tesi di Haushofer, i nipponici hanno sfruttato la conoscenza scientifica proveniente dall’estero, mantenendo comunque integro un sacrale senso di unione nazionale. Francamente, non è possibile esimersi dal notare come la Bibliografia a chiusura del libro mostri quanto siano tuttora davvero pochi gli studi intenti a valorizzare e diffondere il pensiero del geopolitologo tedesco. 

Arrivando ora a Robert Steuckers, sempre nel saggio qui incluso, costui delinea l’antimperialismo nella prospettiva di Haushofer, giacché essa si opponeva agli intrighi di dominio delle potenze talassocratiche anglosassoni. Queste ultime impedivano l’armonioso sviluppo dei Popoli da loro sottomessi e isolavano cinicamente i continenti. Affascinato dalle idee panasiatiche e paneuropee, Haushofer auspicava il superamento dei nazionalismi e voleva contribuire, con i suoi scritti, alla comparsa di “grandi spazi continentali” ben distinti, ma solidali, come quando sostenne la collaborazione tra Europei, Russi e Giapponesi nel formare una grande alleanza eurasiatica immune alle influenze inglesi e americane (32-33). Steuckers ci rammenta che Haushofer aveva una concezione vivente del concetto di frontiera (34), in cui l’acqua (mari e fiumi) unisce e non divide, ponendo in essere una interpretazione in totale antitesi con quella talassocratica, per la quale il vettore marino serve per asservire e depredare. Difatti, lo studioso belga biasima il fatto che britannici e americani asfissino il mondo e, citando Haushofer, sottolinea che tali Nazioni: “[…] praticano la politica dell’anaconda: esse stringono le loro prede e le soffocano lentamente” (41). Egli spiega inoltre come Haushofer, paradossalmente, si ispiri alla corrente “piccolo-eurasiatista” di matrice russa, forse la migliore scuola della Geopolitica, benché su posizioni antagoniste verso quella squisitamente europea. 

La grandezza di Haushofer la si ritrova nel suo aver segnalato le lacune nella visione paneuropeista di Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894 – 1972), fautore della idea di “meticciato mondiale”, nonché nume tutelare dell’attuale Europa tecnocratica. Il Professore-Generale non si limitò però a criticare, bensì propose una alternativa, ove i Popoli dovevano essere inseriti in uno spazio vitale in armonia con la loro etnia e storia, alla insegna della cooperazione tra civiltà. Se si cogliessero oggi le tante e preziosissime intuizioni formulate anni or sono dallo studioso bavarese, la Globalizzazione troverebbe finalmente un formidabile avversario. 

*Lo sviluppo dell’idea imperiale nipponica, di Karl Haushofer (Parma, all’insegna del Veltro, 2004)

@barbadilloit

Riccardo Rosati

Riccardo Rosati su Barbadillo.it

Exit mobile version