Il ritratto. Il patriottismo di Limonov, un “uomo in rivolta” che amava la sua terra

Eduard Limonov

Ėduard Limonov era un uomo in rivolta che amava la sua Russia e ne combatteva le incoerenze e i tantissimi difetti. È riuscito a rimanere giovane, libero e contraddittorio fino alla fine, una figura sfuggente, a dispetto di quelli che han letto solo il libro di Emmanuel Carrère, uno scrittore vero e un poeta di cui nei prossimi anni si continueranno a leggere ed imparare i versi.
Ho ricopiato questo racconto di quasi un ventennio fa perché conserva ancora tutta la sua forza di pensiero, l’irriverenza e la crudeltà di parola che usava per svegliare i russi. C’è il suo concetto di Patria e ci sono i suoi giudizi su una Patria mancante.

LA TANA E LA PATRIA

La Russia è innanzitutto un inverno in bianco e nero. Una distesa bianca su cui, come semi di papavero su una ciambella, sono sparsi gruppetti di alberi morti per nove mesi all’anno. Perché russo non segato alberi morti? risuona dalla mia primissima infanzia la voce di un vecchio georgiano giunto per la prima volta in Russia in treno. Dal finestrino di un aereo che vola a bassa quota lo spazio russo è tetro e desolato. Una superficie bianca attraversata dai fili neri delle strade come raschiature di un’unghia su un vetro ghiacciato. Il bianco è il lenzuolo funebre del morto, è la biancheria del malato, è la neve. In ogni caso il bianco non è la vita. La terra non deve essere bianca per nove mesi all’anno (d’accordo, otto!), bianca e gelida, con temperature inferiori allo zero. È contro natura. Il freddo e il bianco sono ripugnanti.
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Gran parte delle città sono insediamenti piuttosto recenti, risalenti all’epoca sovietica. Questi insediamenti umani graffiati sul bianco hanno un’aria smarrita e inospitale. La Russia centrale, zona con un’alta densità di popolazione, è piena di questi graffi sul paesaggio. Gli uni si avvinghiano agli altri, si accalcano eccitati lungo il filo della ferrovia. Se l’aereo vola di sera e se non ci sono nubi, si possono vedere le luci deboli e fumose che emanano i gruppetti di edifici: con luci così non si scaldano né le mani né il cuore. E allora si capisce perché i russi siano così attratti da Mosca. Per il russo che viene dalla provincia la città di Mosca, una delle meno illuminate al mondo, anche in confronto ai capoluoghi regionali russi è come un fascio di luce, una fiaccola. I capoluoghi sono di solito città di trecento, quattrocentomila abitanti che, a loro volta, a quei viandanti provenienti da città in cui non c’è neanche una stazione ferroviaria paiono capitali illuminate a giorno.
La natura, tirchia, dà alla Russia poca luce e ancor meno sole. C’è soltanto la neve che riflette un cielo sporco, grigio e coperto di nubi. L’estate, breve, di tre settimane o poco più, polverosa e afosa, è schiacciata fra un maggio freddo e un autunno piovigginoso che spesso sopraggiunge già alla fine di luglio. A causa della mancanza di luce la pelle delle nostre donne è pallida e bianca come i germogli delle patate conservate nel buio degli scantinati e mollicce, fiacche le anime dei nostri uomini sempre pronti a frignare. I nostri figli vengono concepiti nel clima artificiale degli appartamenti. Come in un’incubatrice si gonfiano in fretta, lievitano a vista d’occhio accanto a termosifoni bollenti, giocano in ambienti sovraffollati, diventano adulti non in libertà, all’aria aperta, ma rinchiusi in quella specie di voliere per uomini. Il modo in cui vengono allevati è analogo a quello impiegato dagli olandesi o da altri popoli per l’allevamento intensivo di galline o maiali o mucche: con il metodo così detto ‘in batteria’.
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Generalmente i palazzi, addossati gli uni agli altri o a sé stanti, sono sparsi su distese di neve come fogli di un libro mostruoso. È il libro della nazione russa, artificiale come i germogli delle patate conservate negli scantinati. Il fatto è che l’uomo non è nato per vivere a queste latitudini nevose. Ha fatto male a stabilircisi, si è spinto troppo a nord, troppo lontano. Di qui la presenza dell’artificiale, dell’anormale nella psicologia russa. Siamo incubati, artefatti, molto prima dell’avvento della clonazione. Nel corso di tutta la nostra storia non abbiamo fatto altro che lottare contro una natura ostile, contro il paesaggio per la distruzione del paesaggio.
La Russia è il paese degli appartamenti. Per un appartamento qui si arriva a uccidere. L’appartamento è il luogo in cui il cittadino russo feconda le uova della sua femmina, nutre i suoi figli, il luogo in cui si svolge l’intera vita. L’appartamento è il suo paese artificiale. Il cittadino medio russo, in tal modo, non cresce all’aria aperta, in libertà, ma in batteria. La civiltà russa è una civiltà dell’appartamento, della vita in batteria.
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Coloro che sono stati cresciuti entro quattro mura non hanno il senso dello spazio. Non hanno un concetto carnale di Patria, di una Patria da vedere e da toccare. In un certo senso non hanno una Patria. La loro Patria è lo spazio delle fessure tra il letto, l’armadio, il tappeto.
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Un bambino dei quartieri dormitorio non ha una Patria vera e propria, una gabbia in un palazzo di cemento non può suscitare in lui un sentimento patriottico.
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La Patria non può essere una crosta ghiacciata devastata dai bulldozer per costruirci sopra nuovi quartieri, una crosta di terra scorticata, ricoperta a malapena di qualche erbaccia. In Russia le ‘pietre sacre’, gli edifici antichi sono tristemente pochi. Il tanto osannato Cremlino, come una Disneyland, è un corpo estraneo nella vita russa. Non ha particolari legami con il resto della Russia e neanche con Mosca. È la Patria del governo, come un castello abitato da visitatori extraterrestri, ma non è la Patria dei ragazzi russi. La Patria è il tuo pezzo di terra speciale, dove hai trascorso l’infanzia, in seguito te ne sei allontanato e ora vivi in una Patria più ampia. Ecco, questa prima Patria dell’infanzia i russi non ce l’hanno.
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Insomma la Patria è qualcosa di sfuggente, qualcosa che per i russi sta scomparendo definitivamente (forse oggi la Patria è la televisione?). Ciò che è certo è che la loro Piccola Patria è una tana in un quartiere dormitorio. Una parete, un letto, un po’ di metri quadri. Sotto il regime sovietico gli appartamenti venivano ‘dati’. In Russia una persona senza appartamento è condannata a una morte per assideramento. Lo Stato dava un appartamento soltanto ai bravi cittadini. Ai cittadini laboriosi, remissivi. A chi teneva a freno la lingua. Erano loro che, nel nostro clima freddo, aveva diritto al sesso, ai balli e al videoregistratore. Sembrerebbe che ora il regime sia cambiato, e infatti oggi un appartamento lo si può comprare. Ma pare che lo Stato sia intenzionato a porre la questione in questi termini: i soldi li possono guadagnare solo i cittadini ubbidienti, remissivi, che si comportano bene. I bravi cittadini.
Io non avuto la mia tana. Ma lo Stato mi ha gentilmente fornito una branda in un monumento architettonico del ’700: il carcere di Lefortovo.

[tratto da “Russian Attack”, traduzione di Marco Dinelli, Salani, 2003]

Marco Ciriello

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