Cultura. “Filosofia e poesia” della Zambrano: versi come dono e scoperta venuta dal cielo

Filosofia e poesia è un saggio che Maria Zambrano, allieva tra le più originali e valenti del filosofo spagnolo Ortega y Gasset, scrisse nel 1939 e ben presto si è imposto come una sorta di testo di culto per tutti i poeti. 

Partiamo dallo stile della Zambrano: accattivante, chiaro, gradevole. Qualunque poeta sarebbe lusingato e, aggiungo, qualunque filosofo sentirebbe nel suo intimo la verità di quel che scrive la Zambrano sulla poesia. Spigolo qua e là: “La poesia è incontro, dono, scoperta venuta dal cielo.”; “il poeta, innamorato delle cose, vi si attacca, si attacca a ognuna di esse e le segue attraverso il labirinto del tempo, del mutamento, senza poter rinunciare a nulla: né a una creatura, né a un istante della creatura stessa”; “la poesia è ubriachezza e si ubriaca solo colui che è disperato e non vuole cessare di esserlo”; “ribelle verso le cose che sono opera dell’uomo, è invece umile, riverente, con ciò che gli si para dinnanzi e che egli non può spiegare: la vita e i suoi misteri.” E tutte le sue definizioni e le sue immagini si riassumono, a mio avviso, in quella venerabile di Omero che “va, come la poesia stessa, incontro a tutti, che ne sentano o meno il bisogno, a profondere l’incanto della sua musica sulle ubbie quotidiane dell’uomo, a squarciare con la luce della parola le nebbie del tedio, a rendere leggera la pesantezza delle ore.” 

Senz’altro suggestivi sono i primi capitoli in cui la Zambrano ingaggia un amorevole e tenace corpo a corpo, un’implacabile e raffinata lotta intellettuale con Platone: la condanna platonica della poesia brucia, scandalizza, può apparire una nota stonata. E dunque pregnante è la sua osservazione che Platone non cessò mai di essere poeta, “perché se egli abbandonò la poesia, la poesia non lo abbandonò mai”. 

Con altrettanta onestà va però rilevato che dei cinque capitoli di cui consta il saggio sono senz’altro più significativi, più illuminanti, i primi tre, mentre gli ultimi due sono meno incisivi, un po’ ripetitivi. In particolare, non condivisibile è l’entusiastico riferimento che la Zambrano fa a Kierkegaard, da lei stimato poeticamente (!) e filosoficamente e che autorevoli pensatori (Croce, ad esempio) invece ritengono un filosofo piuttosto mediocre, dallo stile aggrovigliato e irritante, dalla personalità scissa e tormentata. Certamente fondata, se si resta nell’ambito del soggettivismo e dell’idealismo – che, come già notava Ortega y Gasset, sono propri della filosofia moderna – è l’osservazione che “l’angoscia era l’inesorabile punto terminale del dubbio cartesiano.” Il filosofo spagnolo dedica memorabili pagine alla solitudine dell’io , che segue la scoperta del cogito cartesiano, nel suo saggio Che cos’è la filosofia?

Ma veniamo a quella che costituisce la tesi centrale del saggio. La Zambrano comincia col notare che “sebbene in alcuni fortunati mortali poesia e pensiero si siano incontrati e abbiano coinciso, sebbene in altri, ancora più fortunati si siano fusi in un’unica forma espressiva, non vi è dubbio che nel nostro contesto storico-culturale, poesia e pensiero si contrappongano con nettezza.” Sicché,  “oggi poesia e pensiero ci appaiono come due forme incomplete e ci vengono incontro come due metà dell’uomo: il filosofo e il poeta”. In altre parole, filosofia e poesia, dopo che si è rotta l’unità che caratterizzava il pensiero aurorale (cioè, a ben vedere, il pensiero mitico, quello dei pensatori presocratici, il pensiero rinascimentale e il primo romanticismo), hanno imboccato due percorsi differenti, presentano due diverse verità e due diversi stili di vita (l’ascetismo la filosofia, la vita “carnale” la poesia). En passant, tra i fortunati pensatori, in cui pensiero e poesia si incontrano o addirittura si fondono, potremmo annoverare il Giordano Bruno dei Dialoghi, il Nietzsche di Così parlò Zaratustra, il Camus de Il mito di Sisifo, di Nozze, de L’estate, e perché no, il Bergson de L’evoluzione creatrice e lo stesso Ortega y Gasset delle Meditazioni del Chisciotte. “Non sarà possibile – si chiede in conclusione della sua analisi la Zambrano – che in un giorno felice la poesia raccolga, fissando lucidamente e per tutti il proprio sogno, tutto ciò che la filosofia sa, tutto ciò che ha appreso nel suo allontanamento e nel suo dubbio?” Ma qui sorgono alcune perplessità. Perché cercare di confondere filosofia e poesia? Perché contrapporle nettamente? Perché farne due forme opposte e addirittura due stili di vita divergenti? Il bello si distingue dal vero, ma non gli si contrappone (come già insegnava il nostro Benedetto Croce). Parlando dell’artista Ortega osserva che: “nei grandi stili… l’artista non si è limitato a dar versi come un mandorlo a marzo dà fiori… Attraverso i suoi ritmi, le sue armonie di colori e di linee, le sue percezioni ed i suoi sentimenti, scopriamo in lui un forte potere di riflessione, di meditazione.” Insomma, “non tutto è pensiero, però senza di esso non possediamo nulla con pienezza.” (Meditazioni del Chisciotte). Scrive la Zambrano: “poesia è reintegrazione, riconciliazione, abbraccio che  serra in unità l’essere umano col sogno da cui proviene, cancellando le distanze. La metafisica invece è un allontanamento costante da questo sogno originario.” Di quale poesia e di quale metafisica parla la Zambrano? C’è filosofia e filosofia, come c’è poesia e poesia. C’è Marx e c’è Evola, c’è Leopardi e c’è D’Annunzio. Bergson, ad esempio, sosteneva che “l’intelligenza è caratterizzata da un’incomprensione naturale della vita” e che “la filosofia non può essere altro che uno sforzo per tornare a fondersi nel tutto” (L’evoluzione creatrice). Di tanto la stessa Zambrano è peraltro consapevole. Infatti, pur rivendicando la specificità del  metodo poetico (che non distingue tra essere e apparenza e vuole nel contempo le cose e il loro fondamento), scrive “ma non tutti i filosofi, non tutte le filosofie hanno significato un simile sforzo individualistico… al contrario è costitutivo di una maniera della filosofia, la più venerabile, il riferirsi alla totalità delle cose, non per staccarsi da esse, ma per affermarle. Non per evadere dal mondo, ma per sostenerlo… la filosofia non sempre ha dimenticato l’origine, anzi a partire da questa è riuscita a riscattare l’essere perduto delle cose, per forgiarne l’unità… Platone, Aristotele, e nell’Europa moderna Spinoza e Leibniz  e chissà  se qualcun altro, non cercavano, in realtà, di affermare se stessi, ma di affermare soprattutto l’essere dell’universo… La poesia non avrebbe avuto nulla contro una simile filosofia… anzi rispetto a tale riferimento all’unità integrale dell’universo, a questo abbracciare tutte le cose, poesia e filosofia sarebbero andate d’accordo.” 

Insomma, nel mirino della Zambrano sembra esserci meno la filosofia in sé che una determinata maniera di concepire la filosofia, quella, per intenderci, che è prevalsa nell’età moderna da Cartesio fino alle pseudofilosofie dei nostri giorni che si perdono in giochi linguistici o di ermeneutica, escludendo ovviamente Nietzsche, Ortega y Gasset, le filosofie dell’ecologia e della Tradizione – che sono filosofie organiche – e pochi altri.

D’altra parte, è pur vero quel che notava Ardengo Soffici, pittore poeta e scrittore: “Il pensiero è disfattista; se non è quello dei grandissimi filosofi; ma allora è poesia.” (Taccuino d’Arno Borghi). Così, perfino dove meno te l’aspetteresti, nel panlogista Hegel, fa capolino la poesia: la notte in cui tutte le vacche sono nere (= il cattivo infinito di Schelling), le pagine bianche nella storia (= i periodi di benessere), la nottola di Minerva che spicca il volo al crepuscolo (= il sorgere della filosofia), il cogliere la rosa nella croce (= il compito della filosofia), ecc. Tutte magnifiche metafore di un grande poeta romantico!

Se poi consideriamo con Ortega y Gasset la filosofia come “la scienza generale dell’amore” (Meditazioni del Chisciotte), come “un grande desiderio di trasparenza” (Che cos’è la filosofia?) e la poesia e tutte le altre arti come una risposta alla “radicale necessità di espressione che c’è nell’uomo, che è l’uomo” (Adamo nel paradiso), poesia e filosofia ci appaiono come forme di attività spirituale distinte, che cercano, ciascuno a suo modo, di cogliere il problema della vita: “La filosofia ha la sua espressione propria, la sua propria tecnica… [mentre] il quadro migliore è sempre un cattivo sillogismo. Il quadro deve essere pittura in tutta la sua profondità; le idee che può suggerirci debbono essere colori, forme, luce; ciò che è dipinto dev’essere Vita.” (Adamo nel Paradiso). Analogamente, la poesia deve suggerirci immagini, stati d’animo, ritmo, sentimento e ciò che esprime dev’essere Vita.

*Filosofia e poesia di Maria Zambrano, pp. 150, euro 14

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Sandro Marano

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