Storia. Cristina di Svezia, il viaggio a Roma di una regina anticonformista e libertina

Cristina di Svezia

Gli affezionati di questo “laboratorio di idee nel mare del web” che è Barbadillo.it conoscono ormai le penne e i cervelli pensanti che hanno scelto di non navigare a vista. Sanno che siamo «onnivori di vita» e che «rifuggiamo le catacombe dello spirito, gli sconfittisti e i complottisti, e quelli che per un posto al sole rinnegano senza imbarazzo la propria storia personale e quella del mondo nel quale sono vissuti». 

Ebbene, la figura di cui ci occupiamo oggi tra noi si troverebbe bene: Cristina di Svezia, la regina “anticonformista”, piccola, grassa e un po’ storta, a suo agio con «una giacca viola, la cravatta larga e una parrucca da uomo» e che Edward Browne descrive «sempre allegra, con un atteggiamento libero, parla e ride con tutti gli stranieri, che intrattiene, una volta alla settimana, con la musica e, adesso che è Carnevale, ogni due sere con commedie» [1]. 

Indipendente e colta, curiosa e spietata, libertina e insonne ma, al contempo, religiosa e amante delle arti e delle lettere, Cristina non esitò a rinunciare al trono convertendosi al Cattolicesimo praticando de facto l’unica fede che faceva per lei: l’anticonformismo. 

Ma se molto ormai si sa della nostra regina, pochi conoscono alcuni dettagli del suo soggiorno romano che ha ricevuto, «minor attenzione dalla storiografia» [2] di quanto avrebbe meritato. Eppure si tratta di un momento rilevante per la figlia unica del re Gustavo Adolfo II e della regina Maria Eleonora di Brandeburgo nonché ultima discendente della dinastia Vasa.

Cristina era giunta a Roma in un periodo nel quale era una vera e propria “sede d’esilio”: anche Maria Clementina, ultima erede della prosapia dei Sobieski – divenuta, proprio allora, regina nominale d’Inghilterra – e Maria Amalia Wettin erano state in quegli anni nella “Città eterna”. La presenza di donne così importanti che aveva finito per incidere «fortemente nella vita quotidiana della città del Papa» [3] non era una novità: già nel 1475, durante il pontificato di Sisto IV erano accorse all’ombra di San Pietro Carlotta (regina di Cipro) e Caterina (regina di Bosnia). La prima arrivò a Roma alla ricerca del «gran perdono» e di «protezione e asilio», la seconda assommò perché «dispogliata del regno» [4].

Ben diverso era, invece, il motivo di Cristina che – salita al trono a soli sei anni in seguito alla morte del padre – aveva iniziato a regnare ufficialmente nel 1644 e dieci anni dopo decise volontariamente di abdicare a favore del cugino Carlo Gustavo convertendosi al Cattolicesimo [5].

Per la Santa Sede, in quegli anni difficili, il ruolo di una pellegrina d’eccezione ed, allo stesso tempo, neoconvertita rappresentò subito una rara occasione di rilancio per il Papato che decise di riservarle un’accoglienza speciale. Cristina aveva fatto la sua pubblica abiura dal Luteranesimo e professione di fede prima in forma privata a Bruxelles durante la vigilia di Natale del 1654 e poi, l’anno seguente, in modo ufficiale, a Innsbruck: poco dopo partì verso Roma.

Fu al rappresentante papale Lucas Holstenius – già noto scienziato, protonotario apostolico e prefetto della Biblioteca Vaticana e che aveva contribuito in modo determinante alla conversione di Rantzau –, che Cristina si rivolse per la sua conversione, fortemente “incoraggiata”, dall’allora pontefice Alessandro VII Chigi «tanto nella direzione efficacemente simbolica della rivincita pontificia nei confronti dell’umiliazione sancita nei trattati della Pace di Westfalia, quanto per la speranza che quella servisse da modello per altre rilevanti conversioni» [6]. In ordine a questi motivi, Cristina venne ricevuta con cerimoniale “puntuale e preciso” [7] che tenne in considerazione la sua audace e difficile quanto discussa scelta di abbandonare agi e potere pur di farsi “cattolica”.

La rinuncia al trono, infatti, sancita in una solenne cerimonia nel castello reale di Upsala [8], apparve agli occhi del Papato una sorta di rivincita del Cattolicesimo apostolico romano sull’Europa “heretica” e, contemporaneamente, un riscatto dei trattati del 1648 che, di gran lunga favorevoli all’eretica Svezia dei Vasa, ironia della sorte, erano stati firmati proprio durante il breve ma intenso interregno svedese di Cristina. Sono le parole dello stesso Papa Alessandro VII a confermare la convinzione che «muovendosi i più degli uomini, non tanto dalle ragioni quanto dagli esempi, dovesse questo grand’atto, corroborato dalla perseveranza, trarre altri molti alla religione ortodossa ne’ paesi boreali, dove più signoreggiava la rea, ed era maggiore l’estimazione e l’autorità di quella principessa» [9].

L’idea di Alessandro Chigi era, perciò, quella di rendere la conversione di Cristina un esempio per tutta l’Europa. Soprattutto, egli sperava che il «ritorno alla vera fede della figlia del re Gustavo Adolfo, chiamato “difensore del protestantismo”, potesse ispirare altri principi europei a seguirne l’esempio» [10].

Anche grazie all’arrivo di Cristina, Roma iniziava ad esibire ai pellegrini provenienti da ogni parte del mondo – ed in misura ancora maggiore a quelli del Nord Europa – una serie di «caratteri di sacralità esaltati dal Giubileo e dalle conversioni». Ad essa si aggiungeva, inoltre, un insieme di «concreti e visibili argomenti che ponessero riparo allo sguardo attento e critico e alle contestazioni del mondo ereticale» perché lo stesso Alessandro VII si operò per evitare che la neoconversa trovasse al suo arrivo «nella santa Città niente di scandaloso, niente che turbi la coscienza di lei» [11]. 

L’accoglienza ufficiale di Cristina a Roma avvenne il 23 dicembre 1655 [12], a circa un anno dalla sua conversione “privata”. Per rendere speciale l’occasione, a Gian Lorenzo Bernini fu dato l’incarico di ornare “in modo degno” la Porta del Popolo decorandola con fasci di spighe, lo stemma dei Vasa. 

Con la cresima e la comunione di Cristina – ricevute entrambe per mano del Papa Alessandro VII – la regina decise di aggiungere al suo nome quello di Alessandra, in onore al Pontefice che l’aveva accolta. Alla regina, inoltre, fu concesso l’onore di alloggiare in Vaticano durante i suoi primi giorni a Roma. Cristina soggiornò negli appartamenti della Torre dei Venti, oggi sede dell’Archivio Segreto Vaticano.

La successiva dimora di Cristina sarebbe stato Palazzo Farnese, anch’esso debitamente addobbato per l’occasione, come ricordato dal Diario di Giacinto Gigli che rievoca così la ricostruzione dei preparativi precedenti l’arrivo a Roma di Cristina: «verso il Belvedere, dove sta la Torre de’ Venti, per riceverla alcuni giorni et poi di là doveva andare ad abitare nel Palazzo de’ Farnesi in qual Palazzo fu ricchissimamente adornato con apparati et mobili preziosissimi che mandò il Duca di Parma» [13].

Nei primi giorni romani la figlia di Gustavo Adolfo II visitò sia la Basilica di San Giovanni in Laterano sia San Giacomo degli Spagnoli. Poi fu la volta di una serie di Chiese e monasteri che la portarono «alla scoperta dei più rappresentativi monumenti dell’antichità» ed a tenere sempre più lunghe «conversazioni con preti, teologi, cardinali» [14]: il soggiorno romano iniziava a farsi, per una personalità intensa come Cristina, pesante e noioso.

A Roma, infatti, Cristina sarebbe rimasta per ben 33 anni ed in questo lungo periodo visse, oltre a quello di Alessandro VII, altre tre pontificati: Clemente IX (Giulio Rospigliosi: 1667-1669); Clemente X (Emilio Altieri: 1669-1676); Innocenzo XI (Benedetto Odescalschi: 1676-1689). Non sempre con i Papi Cristina ebbe lo stesso buon rapporto che contraddistinse, almeno nei primi mesi, le relazioni con Alessandro VII, ossia con l’artefice del suo ritorno alla cattolicità.

Molte delle aspettative di Cristina che avevano mosso e stimolato la sua conversione, infatti, erano state disattese e fonte di delusione: attirata dall’indipendenza intellettuale dei circoli libertini francesi frequentati negli ultimi tempi della reggenza e, soprattutto, in quelli del suo interregno, Cristina «sperava di trovare in seno alla Chiesa Cattolica un ambiente meno rigido di quello del protestantesimo svedese» ma finì per trovare, invece, solo «il puritanesismo della Roma sul finire dell’epoca della Controriforma» [15].

Fu allora che Cristina da sempre sprezzante – fin da quando giovane dichiarò la sua intenzione di non sposarsi – di ogni tipo d’ipocrisia religiosa cattolica o protestante, iniziò a dedicarsi all’arte, alle letture, al mecenatismo. Già protagonista di eventi mondani e politici, Cristina iniziò a frequentare la nobiltà romana, soprattutto con la famiglia Barberini che era stata tra quelle più attive nel finanziare le onorificenze riservate all’arrivo nella città della regina neoconvertita [16].

Cristina iniziò ad essere considerata una “libertina”, ma non per questo si limitò nel coltivare le sue passioni e nel fare della sua residenza di Palazzo Riario alla Lungara – acquistato nel 1659, ma divenuto la sua residenza definitiva solo dal 1663 –, oltre che la base di intrighi, viaggi diplomatici, feste e avventure galanti, soprattutto un punto di riferimento per artisti, compositori e poeti. Cristina creò, inoltre, una serie di accademie – prima tra tutte l’Accademia Reale che, sul modello de l’Académie Française, si proponeva la difesa della lingua italiana «dal gusto moderno per l’iperbole e l’esagerazione» promuovendo uno stile semplice ed essenziale – e la sua ricchissima biblioteca finì per costituire la base della Biblioteca Alessandrina. Fu anche per questo che, in quegli anni, Cristina iniziò ad essere chiamata la “Minerva del Nord”.

Piuttosto, sarà proprio da quel nucleo di letterati che si formò il primo cenacolo riunitosi alla “corte” di Cristina per poetare, filosofare e discutere. Un’elite di letterati e di musicisti che sarebbe stata poi conosciuta col nome di “Arcadia”: un nome che richiamava il luogo idilliaco dell’età dell’oro del mondo al quale, in fondo, questa ciurma di pirati che siamo mira ad approdare, convinti – per dirla con Hugo Pratt – che c’è sempre un’altra isola, per ripararsi durante un tifone, o per riposarsi e amare.

Note:

[1] Lettera di Edward Browne a Thomas Browne, del 16 gennaio 1665, in S. Wilkin (ed.), Sir Thomas Browne’s works. Including his life and correspondence, vol. 1, Londra, William Pickering, 1836, p. 86.

[2] AA.VV., Cristina di Svezia a Roma: mostra di documenti, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1989, p. 10.

[3] G. Platania, Viaggio a Roma sede d’esilio. (Sovrane alla conquista Roma, secoli XVII-XVIII), Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 2002, pp. 18.

[4] D.M. Manni, Istoria degli Anni Santi dal loro principio fino al presente del MDCCL, tratta in gran parte da quella del P.L.F. Tommaso Maria Alfani dell’ordine de’ predicatori da Domenico Maria Manni accademico fiorentino, con aggiunte notabili del medesimo di memorie, d’inscrizioni, di medaglie, Firenze, 1750, pp. 80-81.

[5] Cristina di Svezia e Roma: atti del simposio tenuto all’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, 5-6 ottobre 1995, a cura di B. Magnusson, Stockholm, [s.n.], 1999.

[6] M. Caffiero, Religione e modernità in Italia: secoli XVII – XIX, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p. 52.

[7] B. Lupardi, Vera e distinta Relazione della solenne cavalcata fatta in Roma nell’ingresso della Real Maestà di Cristina Regina di Svetia li 23 dicembre 1655. Con la descrizione delle cerimonie, del Concistoro publico, della Cresima, e Comunione datale per mano della Santità di Nostro Signore Alessandro VII, Roma, 1656.

[8] Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Chigi, N. III.78/24, Lettera delle Regina di Svezia in cui parla della sua rinuncia al trono, ff. 231r-234r.

[9] F.M. Sforza Pallavicino, Della vita di Alessandro VII libri cinque. Opera inedita del p. Sforza Pallavicino… tratta dai migliori manoscritti esistenti nelle biblioteche di Roma…, vol. I, Prato, Tipografia de’ Giachetti, 1939-1840, p. 379.

[10] AA.VV., Cristina di Svezia a Roma: mostra di documenti, cit., p. 14.

[11] Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 1681, cc. 87-88: Discorso di Papa Alessandro VII in Concistoro, 5 novembre 1655.

[12] Anonimo del ’600, Istoria degli intrighi galanti della regina Cristina di Svezia e della sua corte durante il di lei soggiorno a Roma, a cura di Jeanne Bignami Odier e Giorgio Morelli, Roma, Palombi, 1979, p. 29.

[13] G. Gigli, Diario di Roma, a cura di M. Barberito, vol. II (1644-1670), Roma, Colombo, 1994, p. 751.

[14] G. Platania, cit., pp. 48.

[15] AA.VV., Cristina di Svezia a Roma: mostra di documenti, cit., p. 14.

[16] G. Masson, Papal Gifts and Roman Entertaimments in Honour of Queen Christina’s Arrival, in Analecta Reginensia, vol. I, Stoccolma, 1966, pp. 244-261.

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Roberto Bonuglia

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