Il ricordo (Di G.DeTurris). L’onestà intellettuale di Giampaolo Pansa, “uomo di sinistra”

Giampaolo Pansa

La morte di Giampaolo Pansa il 12 gennaio 2020 a 84 anni, è stata una vera e propria cartina di tornasole per la cultura italiana, o meglio per verificare il clima ideologico di questo disgraziato Paese.

Pansa è stato considerato, sino ad un certo punto della sua carriera, un grande giornalista politico ed un grande inviato  in forza a testate importanti: da La Stampa al Messaggero a Repubblica, al Corriere della Sera fino alla condirezione de L’Espresso. Con la sua rubrica “Bestiario” è stato un immaginifico creatore di beffarde definizioni entrate spesso nel linguaggio giornalistico: la DC era la “Balena bianca”, il PCI l’ “Elefante rosso”, l’inciucio Berlusconi-D’Alema il governo “Dalemoni”, Craxi il “Cinghialone”, Forlani il “Coniglio mannaro” e così via.  Per lui valeva, come diceva sempre, più che l’oggettività l’onestà  intellettuale, sicché ad un certo punto, lui “uomo di sinistra” sino alla fine, come ha ricordato la mogli Adele Grisendi in una lunga intervista ad Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 25 gennaio 2020), ha cominciato ad interessarsi della parte avversa – gi odiati fascisti – in un modo che nessuno fra i giornalisti e gli intellettuali della sua sinistra gli ha mai potuto perdonare nemmeno dopo la morte. Nessuna pietà per i disertori (ideologici), peggio per i traditori.

Iniziò con il romanzo I figli dell’Aquila (2002), cui seguirono le testimonianze raccolte in Il sangue dei vinti (2003), Sconosciuto 1945 (2005), La Grande Bugia (2006), I gendarmi della memoria  (2007), tutti editi da Sperling & Kupfer, quindi I vinti non dimenticano. I crimini ignorati della nostra guerra civile uscito nel 2010 ma per Rizzoli, editore cui passò dato che riteneva che Sperling non lo avesse difeso e tutelato nel corso delle polemiche suscitate dai precedenti e non solo scritte e verbali, ma anche con il boicottaggio delle sue presentazioni in varie parti d’Italia, a dimostrazione di quanto la sinistra abbia a cuore la libertà di pensiero ed espressione che non sia la propria….

Che era successo? Usiamo le parole per noi inaspettate di Aldo Grasso, oneste e sincere più di tante altre banali e di pura occasione apparse sulla “grade stampa” in occasione della sua scomparsa (Corriere della Sera, 20 gennaio 2020): “I libri di Pansa sono serviti a cambiare un clima culturale  e ideologico, a divulgare, magari con estro giornalistico e scarsa attenzione alle note, l’insegnamento di un grande storico come Renzo De Felice, a sua volta vittima di una ostilità feroce e prolungata: non tutti gli antifascisti hanno lottato per la libertà, alcuni per l’egemonia sovietica sull’Italia. E non tutti i fascisti erano dei mascalzoni, come pretende la ‘vulgata antifascista’, la storia scritta dai vincitori. Rispondendo ad una lettera di Ugo Intini, Paolo Mieli scrive sul  Corriere del 14 ottobre 2003: ‘Per me la revisione storica – purché onesta (ed è il caso di Pansa) – è sempre benvenuta. Noto però che quando essa è fatta a sinistra c’è sempre in agguato qualcuno pronto a menare le mani. Sempre. Il che la dice lunga su quanto poco sia maturato lo spirito complessivo di questa parte del Paese (…) E  siccome per principio mi sembra doveroso stare dalla parte dei bastonati anziché da quella dei bastonatori, dico con franchezza che, anche se non considerassi(come invece considero)  quello di Giampaolo Pansa un gran bel libro e avessi qualche dubbio (che non ho)  sui tempi della sua pubblicazione, visto come è stato accolto dal mondo di cui si è detto, in ogni caos mi schiererei – e senza esitazione –al suo fianco’ ”. Così Mieli nel 2003 e Grasso nel 2020, in una citazione lunga ma che ne vale la pena.  Tanto di cappello, in pochi hanno questo coraggio nel milieu giornalistico e culturale italiano progressista. 

Il fatto che in quasi venti anni da quel che scrisse Mieli la situazione non è assolutamente mutata. Non c‘è stato alcun “cambiamento di clima culturale e ideologico” come afferma ottimisticamente  Grasso, purtroppo, e quanto da anni scriviamo su queste pagine lo dimostra. Pansa non è uno storico, è un falsario, scrive ”romanzetti”, non cita le fonti, non fa le note… Certo, non è uno storico di professione, ma come moltissimi altri giornalisti di vaglia preparati e colti a cui nessuno fa le bucce, scrive opere di storia per le quali “nessuno gli contestò specifici errori o alterazioni fattuali”, come rileva Pierluigi Battista (Corriere della Sera, 13 gennaio), né lo denunciò o querelò, aggiungiamo. Come peraltro, da quanto ricordo, avvenne per Giorgio Pisanò: il problema era solo ideologico non che i fatti fossero falsi, dipendeva soltanto dal punto di vista in cui entrambi si ponevano, non obbligatoriamente e aprioristicamente a favore della “resistenza” perché la ragione non sta da una sola parte, quella dei vincitori….

E infatti la moglie nella citata intervista a Cazzullo, smentisce queste accuse pregiudiziali: “La preparazione (del Sangue dei vinti) era iniziata tre anni prima. Con Giampaolo abbiamo fatto tanti di quei sopralluoghi… Sono tutti scritti nelle sue agende. Ogni weekend andavamo a cercare fonti, pubblicazioni locali, testimoni…”. E quale era i motivo? Continua Adele  Grisendi: “L’ha fatto perché a 58 anni dalla Liberazione pensava che fosse venuto il momento per la sinistra non schiava della ideologia, di guardare le cose per come erano accadute. Di passare il Rubicone. Di riconoscere che accanto alla barbarie dei fascisti, anche una parte dei vincitori aveva commesso delle barbarie (…) Pensava che fosse venuto il momento. Invece il momento non è venuto. Siamo ancora lì”.

Oggi, alla morte di Pansa,  di anni ne sono trascorsi 75 e la sinistra è ancora “schiava della ideologia”, e ritiene sempre che la “barbarie” stia ancora da una parte sola, che i fascisti siano sempre il Male Assoluto e che i partigiani siano sempre il Bene Assoluto. Il presidente Mattarella ha avuto parole di elogio alla morte di Pansa: “La vivace intelligenza di Giampaolo, l’acutezza che manifestava nei suoi scritti hanno animato il suo lavoro di storico, anche suscitando polemiche e discussioni, come del resto era suo costume” (13 gennaio). Nonostante questa sua opinione, il capo dello Stato, che rappresenta tutti gli italiani, non riesce a fare un minino passo avanti in questa direzione, ovviamente sul piano “umano” e non “politico”. Il suo predecessore, Ciampi, che era un banchiere e non un uomo politico, di passi avanti aveva cercato di farli. E all’epoca chiesi a Giampaolo che cosa avrebbe potuto fare di più. E lui mi rispose: Dovrebbe andare a Piazzale Loreto e deporre una corona di fiori… Parole che poi pubblicai su Panorama. Ma chi avrà mai il coraggio di fare un atto del genere per cercare di superare una guerra civile che non si è ancora conclusa sul piano ideale? Però l’allora sindaco di Milano, Alberini, anch’egli  un non-politico di professione, andò al Campo X del cimitero di Musocco  per portare una corona di fiori alle tombe dei “fascisti” spesso “ignoti”… E poi nessun altro lo ha più fatto…

Giampaolo aveva una sua idea in proposito. Di fronte alla ossessiva richiesta, anche da parte delle istituzioni, della necessità di una “memoria condivisa” anche da parte di chi, oggi, non pensa certo a far ritornare il fascismo, ma ha nei propria famiglia sempre vivi certi ricordi del proprio passato da “vinto”, le morti efferate, le stragi impunite, la mancanza di una minima ammissioni di colpe, egli contrapponeva una “memoria accettata”. Io accetto la tua, e tu accetti la mia, senza farne un uso “politico” ma senza obbligarmi a fare mio ciò in cui in fondo non credo, e mi lasci in pace. A livello di forze armate regolari esiste ornai da moltissimo un riconoscimento del genere, e nessuno se lo ricorda, mentre invece altrove l’ideologia la fa ancora da padrona. E, siano sempre fermi lì. Al 25 aprile 1945. Anzi, più il tempo passa e più si teme che la memoria sbiadisca o si attenui, e peggio è con l’ANPI che sembra l’istanza ultima su cosa sia consentito fare o dire o pubblicare o presentare. Cosa che non scrivo per la prima volta.

Come afferma la moglie di Pansa, “Giampaolo aveva dato voce alle loro sofferenze tenute a lungo nascoste”. Certo c’erano stati  soprattutto, fra gli altri, i libri documentatissimi di Giorgio Pisanò (di recente ristampati da Il Giornale), ma lui era un “repubblichino”, come ancora oggi sprezzantemente si dice ,  che aveva pubblicato con la sua casa editrice ed era stato letto quasi solo dalla sua stessa parte ideale,  mentre Pansa no, era un famoso giornalista e pubblicava per grandi editori che raggiungevano un assai più vasto pubblico non ideologizzato. Dice la moglie: “Il fatto che fosse un uomo di sinistra a ricordarle, quelle sofferenze, aveva ai loro occhi un particolare valore”. Di conseguenza, “anche nell’ora della sua morte il mondo dei vinti ci è stato più vicino del suo mondo di prima. Di loro non ho visto né sentito quasi nessuno. Mentre tantissimi dall’altra parte mi hanno espresso solidarietà e gratitudine”. Se il “mondo dei vinti” è ancora presente dopo 75 anni, forse è il caso che certi politici istituzionali ci pensino su…

Il che gli schiavizzati dalla ideologia di sinistra non possono ammettere e accettare. Adele Grisendi parla di “furore ideologico”, che si spiega solo se la ideologia diventa come una specie di religione laica, quindi irrazionale e dogmatica, con i suoi riti, le sue icone, i suoi santi e i suoi  sacramenti,.Tutti quelli che hanno insultato Pansa dopo la sua morte si comportano come fossero degli inquisitori, dei Torquemada che vorrebbero impiccare, bruciare, decapitare tutti coloro che non la pensano come loro. Non potendo farlo usano il sistema della damnatio memoriae. Ed è inconcepibile che non lo vogliano capire (forse però lo capiscono ma non osano superarlo) i rappresentanti della nostre istituzioni per porre fine – ripeto, sul piano umano e non politico – ad una infinita guerra civile. Ma forse è considerarli troppo. Sono dei semplici Maramaldi, quello dell’invettiva “Tu uccidi un uomo morto!”, come Aldo Grasso ha definito Tommaso Montanari, uno storico dell’arte già “ascoltato consulente” del ministro grillino dei beni cultuali Bonisoli nel governo gialloverde (il che è tutto dire…), un vero “eroe della indignazione postuma”.

Con la sua onestà intellettuale Giampaolo Pansa lo aveva capito benissimo, e per questo aveva amici e frequentava intellettuali di destra con cui scambiava idee, opinioni, punti di vista, con quel suo tono sempre un po’ ironico, insolito per un piemontese come lui. Ogni volta che usciva un suo libro, quando ero al  giornale radio Rai lo intervistavo e lui inevitabilmente mi chiedeva: ”Ma quanti anni hai” e dopo averglielo detto, replicava: “Ma sei un ragazzino! io ho otto anni più di te!”  Ma in realtà, nello spirito un “ragazzino” continuava ad esserlo lui, strafregandosene delle critiche che gli provenivano dai suoi ex amici con la bava alla bocca. Pur non  avendo avuto effetti pratici sul piano di cui si è detto, tutti questi libri di Pansa sono stati essenziali per disvelare agli occhi di un vasto pubblico non ideologizzato i falsi miti su cu sui si basa la nostra repubblica:  la guerra civile è la più spietata delle guerre e se non si ha il coraggio di storicizzarla, come ancora non si ha, mettendo in piazza le atrocità di tutti e non solo di una parte (soccombente), resteremo in un vicolo cieco. E’ quindi auspicabile che non solo queste sue opere continuino ad essere ristampate, non solo che si facciano conoscere i suoi inediti (penso alle agende di Giampaolo cui ha fatto cenno la moglie nella citata intervista), ma che sia conservato il suo enorme archivio di documenti (pare che le lettere dei “vinti” da lui ricevute siano oltre duemila), ordinato, sistemato, messo a disposizioni di docenti, studiosi e  ricercatori per mantenere via la sua battaglia contro i “Guardiani della Memoria”, i custodi della “Grande Bugia”… E’ tutto nelle mani di sua moglie che gli è stata vicino e lo ha sempre aiutato. Siano certi che saprà come meglio comportarsi e come preservarne la  giusta memoria di fronte a tanti sciacalli.

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Gianfranco de Turris

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