Cultura (di P. Isotta). Addio a Nello Santi, ultimo Maestro della tradizione italiana

  Nello Santi, scomparso il 6 febbraio, era uno dei pochi amici che io avessi tra i direttori d’orchestra. Nacque ad Adria nel 1931, quindi era anche un decano. Mi raccontò di aver avuto un’infanzia così felice, assecondato in tutti i suoi desiderî, che da piccolo lo chiamavano “il Monsignore”. Il fisico di un prelato papalino dei secoli passati lo aveva; e se pensiamo che sovente tali prelati erano di lingua pronta e spiritosa, anche in questo assomigliava loro. A modo goldoniano. “La Callas è stato un fenomeno di suggestione collettiva”. “Quando all’Arena di Verona l’orchestra va insieme, è per errore”. L’Amarone lo definiva “l’Aspirina liquida”. “Il vino peggiore che conosca è il Santinello”. “Che male ti hanno mai fatto i cani per chiamare così un cantante che stona?” “I cantanti bisogna portarli a far bene a loro insaputa, altrimenti si ribellano!” Alla prova generale di una Traviata al San Carlo, con un soprano del tutto inadeguato, dopo il primo atto andai a salutarlo. “Nello, me ne vado.” “Beato te!” A un Rigoletto nello stesso teatro (ove aveva diretto anche uno straordinario Andrea Chénier, una raffinata Ottava Sinfonia di Beethoven, e così via) lo pregai di obbligare i cantanti a rispettare il testo autentico. “È impossibile in natura!”

Se James Levine, infamemente trattato dal Metropolitan che aveva reso grande come nessuno, è l’ultimo rappresentante della somma tradizione direttoriale in assoluto, senza limiti di epoche e di repertorio, Santi era rimasto l’ultimo rappresentante della tradizione italiana nel senso più nobile del termine.  Se n’è andato pochi mesi dopo il suo emulo Elio Boncompagni, dalla vasta spaziatura come Levine, che aveva due anni meno di lui. A Santi riusciva bene tutto, ma eccelleva in particolare in Verdi, in Rossini, in Donizetti, in Puccini, in Giordano, in Zandonai, in Cilea. Pareva li conoscesse dall’interno. Dotato di una memoria formidabile, bisognava sentirlo raccontare come sono strumentati gli ottoni nei primi accordi del Preludio del Rigoletto per apprezzare, oltre tale memoria, la cultura strumentale e compositiva, dominio dei vecchi direttori. Oggi molti ragazzi dirigono praticamente a orecchio. Provate a far scrivere un’Esposizione di Fuga a questi divetti superpagati e osannati!

Nello Santi possedeva un gesto autorevole e sintetico, fra i più belli che si potessero vedere; peraltro, è stato attivo sino a poco fa. Con un brusco cenno all’indietro della sinistra faceva tacere orchestra e coro. Bacchetta lunga, uno dei pochi restati. Un grande e pieno di talento direttore russo adopera uno stuzzicadenti…. Vederlo concertare era un’esperienza notevole. Conosceva i particolari tecnici di tutti gli strumenti, i guidava gli orchestrali nei passaggi complicati con agio infinito. Fino a qualche anno fa, nelle prove al pianoforte con i cantanti era molto rigoroso. Poi era divenuto più lassista, partendo dalla considerazione straordinariamente esatta che a quasi tutti i cantanti è inutile insegnare alcunché, dal momento che alla recita successiva riprendono a fare quel che ha inculcato loro il tapeur, lo strimpellatore, più che insegnante, privato. Si chiamano i “ripassatori di spartiti”, e in realtà si deve loro in gran parte la decadenza del canto. Quando ero ragazzo, c’era un maestro sostituto del San Carlo, Gino Campese, dal quale i cantanti si recavano facendo cinque piani a piedi tanto era bravo. Per troppa modestia, non ha quasi mai diretto l’orchestra. “Neh, Campè, vuje site troppo bravo e troppo modesto!”, gli diceva il Maestro Pannain. Santi si era trasferito da anni a Zurigo; girava il mondo, era popolarissimo in Giappone, ma lì era un’istituzione. Uno che alla Fenice aveva protestato persino Joan Sutherland… I due figli maschi li aveva chiamati Carlo e Aldo, in onore dei suoi grandi amici Bergonzi e Protti, due vere stelle, tenore il primo (il migliore tenore verdiano degli ultimi decennî), baritono l’altro: uno dei formidabili Foscari e Rigoletti che abbiamo avuti. Naturalmente Santi non si limitava a dirigere a memoria, concertava a memoria. Come Toscanini e, ai nostri giorni, Pippo Patanè. Oggi tutti dirigono a memoria e molti non concertano né a memoria né con la partitura perché hanno difficoltà a leggere la musica. Nei miei libri, e quando avevo per mestiere la critica musicale, ho fatto molti nomi. Adesso mi piace ricordare il bello che ho ricevuto piuttosto che deplorare il brutto che regna. Infatti sono considerato un laudator temporis acti; quello che in francese viene definito colui che rimpiange les neiges d’antan, le belle nevi di una volta. E il caro e grande Nello è una delle mie neiges d’antan.

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*Da Libero del 8.2.2020

Paolo Isotta*

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