Teatro (di P. Isotta). Napoli (finalmente) celebra la grandezza di Luisa Conte

A Napoli quella che era la strada più elegante del rione Chiaja si divide in tre tronchi. Via Vittoria Colonna, ove abitava Eduardo Scarpetta, via dei Mille, via Filangieri. Ora c’è un cinema, che si chiama appunto “Filangieri”. Avanti  la guerra era un teatro, il Kursaal, ove recitavano i tre De Filippo prima che si spartissero. Per Eduardo è stato, dal punto di vista creativo, il momento migliore. Più innanzi, andando verso via Chiaja, c’è la casa ove morì il grande compositore Saverio Mercadante. La confluenza di via dei Mille con via Filangieri crea una piazzola, dalla quale si dipartono scale che si dirigono verso la collina di Pizzofalcone. Giovedì 30 la piazzola è stata intitolata “Largo Luisa Conte”, una delle poche buone iniziative del sindaco De Magistris.

Donna Luisa, nata del 1925, ci lasciò proprio il 30 gennaio del 1994. Se ne andò per un infarto, dopo che ne aveva avuto un altro mentre recitava nel “suo” teatro. È stata una signora del palcoscenico alla quale poche altre possono essere accostate. Non ha mai fatto cinema: sia perché le tavole sceniche erano tutta la sua vita, sia perché per lei il cinema di cassetta non aveva senso. Riempiva tutta la pedana, sia nel teatro comico sia in quello drammatico; lo spettacolo ruotava tutto attorno a lei.

Donna Luisella veniva dalla miseria. Il padre si era mangiato tutta la fortuna di famiglia. Era nata non in un “basso” (che noi chiamiamo “o vascio”), ma in una casa di via Tribunali circondata da popolo di miseria ancora più nera. Il solo lusso che la mamma si permetteva era una gelida stanza da bagno con quattro vasche: ogni mattina i bambini venivano immersi nell’acqua fredda. E in fondo la sua vita è stata tutta un bagno nell’acqua fredda. Solo negli ultimi anni con il marito Nino Veglia aveva potuto abitare a Rivafiorita. Si amavano talmente che dopo esser stati in teatro dalla mattina all’una di notte passavano alcune ore sul balcone, a chiacchierare e guardare il mare, spesso aspettando il sorgere del sole. Io li ricordo benissimo, anche se la conoscenza si limitava ai complimenti che le facevo in camerino. Nino era un attore di vaglia ma aveva abbandonato il mestiere perché l’impegno di organizzatore teatrale e di amministratore l’assorbiva del tutto. E a neanche sessant’anni la lasciò sola. Donna Luisa ebbe il coraggio di continuare, aggiungendo la temibile carica di amministratrice e direttrice artistica al quotidiano impegno della recitazione.

Non sempre è vero che un attore riesce a trasfondere in scena la propria esperienza di vita. Per farlo, occorre il grande dominio della tecnica; e occorre una ricchissima umanità. Donna Luisa aveva al sommo grado il doppio talento, e parlava un napoletano così musicale, con un tono da contralto, che ti incantava. Persino un uomo avaro e cattivo come Eduardo De Filippo, nella compagnia del quale aveva a lungo lavorato, ammetteva che recitare con Luisella “era una delizia”. Invece Titina, anch’ella un genio, era con lei superba e dispettosa.

Luisa Conte aveva una dedizione assoluta per il teatro classico napoletano. Non solo Scarpetta (padre dei De Filippo) ma il classico ottocentesco Petito, ch’era stato il grande Pulcinella, e poi Viviani, l’altro Scarpetta, Di Maio e altri. Il più sensibile interprete dell’anima plebea e piccolo-borghese di Napoli, Raffaele Viviani,  era stato quasi dimenticato. Luisa e Nino gli si dedicarono con particolare attaccamento.

Il capolavoro della loro vita fu il Teatro Sannazaro. L’illustre sala ottocentesca, nata per il teatro d’Opera, aveva poi visto in scena Zacconi, Novelli, Ricci. Ricordo benissimo la sua decadenza. Non vi si accedeva neanche più da via Chiaja, ma dai Quartieri. Nella mia adolescenza era un luogo d’incontro per ricchioni, femmenielli e marchette. Nei palchi ne succedevano di tutti i colori. Né Donna Luisella né Don Nino erano mai arrivati alla ricchezza, ma riuscirono a riaprirlo, pur se non a comprare l’immobile, che tuttora è diviso fra una trentina di locatori. Venne riaperto con una commedia settecentesca, Annella di Portacapuana, rielaborata da Michele Prisco. Io gradirei si tornasse oggi al testo originario, un po’ sfrondato. Donna Luisella scelse per sé il ruolo di Porzia, una vecchia vedova de facto che continua a pargoleggiare nella continua attesa di in un nuovo marito Tutti i grandi attori napoletani erano nella sua compagnia del Sannazaro, da Ugo D’Alessio a Pietro De Vico a Giacomo Rizzo a Enzo Cannavale a Nunzia e Nuccia Fumo a Bob Vinci a Enzina Berti a Giuseppe Anatrelli… Ma il culmine fu il sodalizio artistico durato a lungo con Nino Taranto. Quest’altro genio, che con Peppino De Filippo ha saputo meglio di tutti affiancare Totò, aveva trovato al Sannazaro la sua ultima casa. Eduardo non aveva amici; con Taranto i coniugi sparavano i fuochi a San Silvestro. Anch’egli, col bravissimo e sottovalutato fratello Carlo, era dotato di ricchissima umanità.

Tuttavia il Sannazaro, come tutti sanno, non è morto. Donna Luisa si era cresciuta due nipoti, Ingrid e Lara Sansone. Ambo attrici; ma Lara, anche peritissima regista piena di fantasia e mestiere, gestisce il teatro nonostante difficoltà e persecuzioni di recente affrontate vittoriosamente. Conoscerla senza volerle bene è impossibile, e lo stesso va detto per il suo compagno Sasà Vanorio, amministratore in gamba e ragazzo spiritoso e affettuoso. Siamo rimasti in pochi a parlare il vero napoletano, lingua (non dialetto) imbastarditasi anche per gli sceneggiati televisivi genere Gomorra che tutti i ragazzi imitano – anche nei fatti. Noi siamo le mosche bianche, e non può credersi quale sia il piacere della conversazione in questa nostra lingua. Le parole, le frasi, i costrutti, hanno un altro sapore. E dei loro tre figli va detta la stessa cosa, attirano i baci..  A cento metri dal loro teatro avranno la soddisfazione di passare per “Largo Luisa Conte”. E a me sembra quasi un paradosso: perché la mia città non riconosce niente ai suoi figli, specie se sono in vita. Per lei, e gli ultimi avvenimenti della vita del teatro lirico e drammatico lo confermano, vale il motto: Suos devorat, alienos nutricat. “Divora i suoi, nutre lo straniero”. Che poi si applica all’intera nostra Patria.

 

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Paolo Isotta*

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