Bagatelle. Contro le vuote liturgie conformiste che segnano la vita degli scrittori

Il viandante
Il viandante

Ho cambiato idea, a me in fondo frega niente di essere riconosciuto come scrittore – domani farò il muratore – perché da eterno novizio ho notato che c’è una corporazione, cosa che mi dà noia. Allora nient’affatto mestiere, pussa via, repulsione. Ambisco a snobbarle quelle logge col microfono in mano, e a differenza di quei tali che s’impalmano tra loro ai festival vorrei dormire per sempre o quantomeno disdire, mentre scivolano a terra le tartine color salmone; quelli che parlano di sé in terza persona su radio 3, prego per loro. Peggio per loro. Mica ti fanno il punzone araldico sulla carta d’identità, mica hai l’immunità, al netto delle frottole, se ti fermano ubriaco i vigili: qual’è il salvacondotto della letteratura? Quello di rifiutarla diventando santo ignorante oppure simulatore di vite immaginarie. Millantare, tergiversare, sopratutto rifiutare il concetto di promozione, meglio boicottare. Uno scrittore dovrebbe andare a pescare, giocare a bocce, andare a puttane, invaghirsi d’una spia russa, invece di presenziare ovunque come comparsa di se stesso. A me la la cultura fa cacare e ben vengano i barbari. Finirò un romanzo, che vale niente, d’altronde come tutto ciò che esce oggi, e lo consegnerò ad una monaca, affinché non venga mai letto da occhi abituati ai telefoni. Io non sono uno scrittore. Scrivere mi fa venire il mal di testa.

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Donato Novellini

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