Tv cult (di Luciano Bianciardi). L’elogio della mediocrità di Mike Bongiorno

Mike Bongiorno
Mike Bongiorno

Il 28 luglio del 1959, su l’Avanti, Luciano Bianciardi scriveva questo pezzone su Mike, e solo due anni dopo sarebbe arrivato “Fenomenologia di Mike Bongiorno” di Umberto Eco.

Mike: elogio della mediocrità

L’altro giovedì, annunciando la fine della sua trasmissione, Mike Bongiorno aveva gli occhi appesantiti e la voce rotta dalla commozione. A guardarlo cinicamente poteva anche far ridere, con quella faccia più pecorile del solito, ma sarebbe stato ingiusto farsi beffa di un uomo così onestamente mediocre. Bisogna dire che Mike Bongiorno meritava il successo che ha avuto proprio in virtù del suo schietto, lampante grigiore.
Quella sera parlò abbastanza a lungo di sé e affermò di aver conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili. Non c’è motivo per non credergli. Mike Bongiorno in questo non si distingueva per nulla dalle centinaia di concorrenti che gli son sfilati accanto, sulla pedana del teatro della Fiera: anche loro han conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili, anche loro hanno saputo, da buoni italiani degli anni cinquanta, aspettare il quarto d’ora di celebrità e di fortuna. Mike Bongiorno in questo modo valeva esattamente quanto la Bolognani, o il Degoli, o le gemelle Appiotti; quando tutti gli altri (escluso forse il Marianini, che fa storia a sé).

Non aveva nulla di americano, il nostro Mike, tranne forse, agli inizi, una leggera inflessione d’accento, prontamente messa in caricatura da chi, per spettacolo, sapeva fargli il verso. Solo agli inizi, perché poi ha rapidamente captato sintassi, cadenza e lessico dell’italiano medio. Ha conosciuto giorni duri, certo, ed ecco perché coglievi nei suoi interventi il senso preciso del valore che egli attribuiva al danaro. Mostravano, per esempio, la corona ferrea di Monza (che pare sia fatta con un chiodo della Croce) e lui domandava all’esperta: «Ma quanto potrà valere?». Un gioiello, un quadro, un vestito, un monumento, un crocifisso, Mike Bongiorno, quando voleva stupire gli altri o se medesimo, subito ne dichiarava, o ne domandava il valore espresso in lire: «Quanto potrà valere la Gioconda? E la torre Eiffel?». Qualcuno, in mezzo al pubblico televisivo, arricciava il naso, ma in fondo Mike era simpatico così, per questa italianissima sua trivialità (e la parola non vuole essere offensiva, riportata com’è al suo significato originario) dei gusti, delle aspirazioni, delle speranze.
Era certamente il più simpatico dei presentatori della televisione: migliore di Mario Riva (troppo ancorato al volemose bene romanesco, e non italiano, e quindi dialettale e provinciale), migliore di Enzo Tortora (troppo goliardicamente «colto»), migliore di Silvio Noto (che si bruciò le ali spingendo troppo oltre la sua grevezza pugliese). I nostri presentatori della televisione avevano successo, e lo hanno, in quanto riassumono ed esprimono certi difetti, certe tare nazionali. Mike Bongiorno ne riassumeva più di tutti, ed ecco perché lo possiamo stimare il più mediocre, quindi il più bravo. Meritevole del successo e della fortuna, anche economica, che gli è toccata. «Quanto potrà valere», chiediamo a questo punto noi, «il signor Mike Bongiorno?»

C’erano quasi tutti i vincitori riuniti in quella sala, quel giovedì, e facevano un po’ di cagnara, lecitamente, come una bella compagnia di fortunati e di bravi italiani, convenuti a Milano per far festa a se medesimi e al loro profeta Mike.
Ma c’è da dire altro.

L’altro giorno ho partecipato a un singolarissimo convegno di gente più o meno politicizzata, in una città della montagna marchigiana: c’erano dissidenti, profughi, ribelli, eretici di due o tre partiti, ma soprattutto c’erano anarchici. Riuniti in una grande sala d’un palazzo medievale, che dà su di una piazza bellissima e a mezzo luglio intronata dal solleone, uno dopo l’altro si alzavano a dire cose diverse ed estemporanee. «Ordine del giorno», aveva azzardato il presidente, e subito saltò su uno, furibondo: «Ordine perdio mai» fece, «ma se proprio deve esserci ordine, facciamo ordine della notte. Del giorno perdio no». Mi hanno poi detto che questo odiatore dell’ordine combatté in Spagna da valoroso, ma esigeva di sparare soltanto nei giorni di lavoro e di tenersi la moglie in trincea. Eppure anche lui si unì all’applauso generale, quando il presidente, interrompendo l’oratore di turno, annunziò: «Entra in aula la delegazione perugina, con alla testa il compagno Bistoni, noto vincitore a Lascia o raddoppia per la storia dei longobardi».

È stato un convegno bellissimo: i lavori son terminati al canto di Addio Lugano bella, mentre alcuni si affollavano attorno al Bistoni, per chiedergli com’era, vista da vicino, la signora Edy Buffon nata Campagnoli.

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Luciano Bianciardi

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