Storia. Quando la Germania era un impero

Viktoria Luise, figlia di Wilhelm II
Viktoria Luise, figlia di Wilhelm II

Vittoria Luisa (1892-1980) era la settima figlia, l’unica femmina, dell’imperatore tedesco Guglielmo II di Hohenzollern, e di sua moglie, Augusta Vittoria di Schleswig-Holstein-Sonderburg-Augustenburg. Lo storico Justin C. Vovk scrisse che Vittoria Luisa era intelligente come l’omonima ava paterna, la primogenita della regina Vittoria (che rese nonna a soli 39 anni), maestosa e dignitosa come sua madre, imperiosa e volitiva come suo padre. Era la preferita del Kaiser, che per lei stravedeva.  Il volto bello e gentile del ‘militarismo prussiano’ verrebbe da pensare. Anche se nella sua amata uniforme da ‘ussaro della morte’ trasmette una gran sensazione di determinazione e dominio…Una mistress favolosa, direbbero forse gli affezionati del genere…

Nel 1912 Ernesto Augusto di Hannover giunse alla corte di Berlino per ringraziare l’imperatore per aver partecipato al funerale di suo padre. Mentre si trovava a Berlino, Ernesto Augusto e Vittoria Luisa si innamorarono. Fu un vero colpo di fulmine. Ernesto Augusto rinunciò ai suoi diritti sul trono di Hannover,  tranne a quello di duca di Brunswick. Gli Hannover avevano regnato in Inghilterra e Scozia (oltre che in Germania fino al 1866, quando il loro Regno fu annesso alla Prussia) dal 1714 al 1901.  Il matrimonio di Vittoria ed Ernesto fu celebrato il 24 maggio 1913 a Berlino e pose fine al conflitto tra il Casato di Hannover e gli Hohenzollern. The Times lo descrisse come un ‘Romeo e Giulietta’ con un lieto fine. Il matrimonio fu uno degli ultimi grandi avvenimenti sociali della regalità europea prima della Guerra. Spezzoni li possiamo vedere in Youtube, anche a colori.

Le nozze furono celebrate alla presenza di Giorgio V del Regno Unito, dello Zar Nicola II di Russia, cugini del Kaiser, così come di molti sovrani e prìncipi. Seguì la festa di nozze per 1200 ospiti. 

Una sorta di sublimazione della “Germania guglielmina”, un misto di tecnologia e di scienza accanto ad uniformi stupende e marce militari trascinanti, di sicurezza, ordine ed equilibrio, un’atmosfera berlinese di “cosmopolitismo alla tedesca”, dove la modernità germanica emulava l’Occidente pur restando diversa, nella sua straordinaria Kultur, nella continua rivendicazione del proprio diritto e primato, una Weltanschauung insieme conservatrice e progressista, una cultura politica e sociale che non voleva essere figlia della Grande Révolution e delle Lumières. Una prassi di governo ereditata da Bismarck – cooptazione delle élites e perpetuazione delle ‘virtù Junker’, militarismo, gerarchia, autocrazia – confrontata al ricordo ancor bruciante di quando, per secoli, il potente e prepotente vicino francese perseguiva la politica di mantenere i dominî tedeschi deboli, divisi,  un campo di battaglia con conseguenti devastazioni. 

Nel 1913, l’unificazione ottenuta “col sangue e col ferro” pareva essere la promessa di giorni ancora migliori. Il Governo semi-parlamentare portava avanti una rivoluzione politica ed economica dall’alto, relativamente tranquilla, di ‘modernizzazione conservatrice’, che spingeva   la Germania lungo la via per consolidarsi come la principale potenza industriale. Nel periodo compreso fra il 1871 e gli inizi del XX secolo, la nazione rivelò un possente dinamismo capitalistico, tale da eclissare quello della Gran Bretagna e della Francia. L’industria tedesca, dopo la crisi del 1873,  iniziò una fase di espansione che andò intensificandosi sempre di più, a partire dagli anni ottanta. L’ ‘età guglielmina’ faceva presa ben fuori le frontiere del Reich, perché la prosperità soddisfaceva il ceto medio liberale e la sollecitudine dello Stato di assicurare il benessere materiale a tutti conquistava un ampio supporto, cominciando dalla classe operaia. La burocrazia imperiale introduceva poi l’ideale della completa obbedienza alle istituzioni sopra le classi e l’individuo. Era anche un periodo di enorme sviluppo della vita culturale, per la ricerca scientifica, le università, le arti, la musica, la filosofia, la letteratura, la storiografia, il cinema…

Quel 1913 pieno di ottimismo era, tuttavia e paradossalmente, l’addio dell’Europa alla civiltà, prima che si spalancassero, un anno più tardi, e per quasi tutti, le porte dell’inferno.

Vittoria Luisa di Prussia ed Ernesto Augusto di Hannover ebbero cinque figli. Una fu la regina Federica di Grecia, e da lei nacquero il nipote re Costantino e la regina Sofia di Spagna.

Difficile pensare che molti giovani europei o americani sappiano oggi che cosa fu l’Impero 

Tedesco, anche se sopravvivono, ultracentenarie, persone che videro la luce quando lo stesso ancora esisteva, fino al novembre 1918. Fu il più potente Stato del mondo, anche se ebbe vita breve (47 anni) ed un finale traumatico. Ricordiamone i tratti salienti.

L’Impero Tedesco (non di Germania), creatura dell’abile Otto von Bismack (1815-1898) consisteva, dalla proclamazione di Guglielmo I Re di Prussia a Imperatore “per Grazia di Dio”, il 18 gennaio 1871, fino all’abdicazione del nipote, il Kaiser Guglielmo II, il 9 novembre 1918, di 27  – a partire dal 1876 di 26 – Stati,  il più grande dei quali era la Prussia che nel XIX secolo aveva aggiunto vasti territori al Brandeburgo e Prussia Teutonica. Tali Stati (Staaten) erano rappresentati a livello federale nel Bundesrat, il titolare della sovranità nazionale tedesca. Alcuni  di essi avevano ottenuto la sovranità dopo la dissoluzione del Sacro Romano Impero, nel 1806. Altri furono creati come Stati dopo il Congresso di Vienna nel 1815. Vediamo sinteticamente la situazione che durò fino alla sconfitta del 1918, alla perdita dell’Alsazia-Lorena, delle Colonie, al ‘corridoio polacco’, alla caduta sia dell’Impero, sia di tutte le antiche monarchie germaniche.

Dunque, 25 unità statali formalmente indipendenti (tranne che per la politica estera, pur potendo mantenere ambasciatori e rappresentanti all’estero, la moneta, la direzione delle Forze Armate) più l’Alsazia-Lorena, strappata alla Francia di Napoleone III dopo Sedan. Una estensione di 540.858  km² (nel 1910) con una popolazione, quello stesso anno, di quasi 65 milioni di persone (oltre il 60 per cento sudditi della Prussia).

Al territorio metropolitano potremmo aggiungere le Colonie (Kolonialbesitzungen), il  Camerun tedesco (Kolonie von Kamerun), 790.000 km²; il Togoland, 90.276 km²; l’Africa Tedesca del Sud-Ovest (Südwest Afrika), 885.100 km²; l’Africa Orientale Tedesca (Deutsch Ostafrika), 994.141 km²; la Nuova Guinea tedesca (Deutsch Neu Guinea) 251.420 km², con Terra del Kaiser Guglielmo, Isole Salomone, Arcipelago di Bismarck, Bougainville, Nauru, Marianne, Caroline, Samoa Occidentali; il Levante tedesco: Tsingtao, Kiao-Ciao; le Concessioni di Tientsin, Hangkow, Yeh, Kaomi, Chow tsun; la Rivendicazione formale sulla Terre antarchiche: Terra Guglielmo II e Luitpoldo, Nuova Svevia (600.000 km²). 

Il termine Impero Tedesco o Impero Germanico (Deutsches Kaiserreich), chiamato anche Secondo Reich (Zweites Reich) si riferisce alla Germania dal 1871 al 1918.  Il nome ufficiale dello Stato era Deutsches Reich, e tale rimase anche durante il periodo della Repubblica di Weimar e sino alla fine della WWII. La parola Reich non designa in tedesco alcuna forma monarchica, ma solo uno Stato di una certa importanza. La capitale era Berlino, la valuta il Mark o Goldmark, l’inno imperiale ´Heil dir im Siegerkranz’ (‘Viva la Tua Corona Vittoriosa’, melodia composta per Luigi XIV, poi adattata da Händel per il britannico God Save the King/Queen, del 1745, e usato anche da altre monarchie) ed inni non ufficiali Die Wacht am Rhein (La sentinella del Reno) e Das Lied der Deutschen (Il canto dei tedeschi). La bandiera era un tricolore composto di tre bande orizzontali di eguali dimensioni, di colore nero, bianco e rosso. La famiglia imperiale regnante era quella prussiana degli Hohenzollern, originaria della Svevia, la stessa di Federico Guglielmo di Brandeburgo, il Grande Elettore, e di Federico II il Grande.

Il precedente storico dell’Impero Tedesco, nato nel Salone degli Specchi della reggia di Versailles, la orgogliosa creazione del Re Sole, per ulteriore umiliazione dei francesi sconfitti mesi prima da von Moltke a Sedan, era il Sacro Romano Impero. 

Un agglomerato di territori dell’Europa centrale e occidentale nato nell’Alto Medioevo ed esistito per circa un millennio. Esso traeva il nome “impero romano” dall’essere considerato una continuazione dell’Impero Romano d’Occidente e perciò un potere universale, mentre l’aggettivo ‘sacro’ sottolineava che la rinascita del potere imperiale doveva considerarsi voluta da Dio e per questo motivo il potere di incoronare l’imperatore era attribuito al papa, almeno fino alla Riforma. Come anno di fondazione si considera il 962, data dell’incoronazione di Ottone I. L’impero di Ottone ereditava gran parte dell’Impero carolingio, ma non la Franconia occidentale, più o meno l’odierna Francia. Comunque, parte della storiografia include nella storia del Sacro Romano Impero anche l’Impero carolingio, segnando quindi come data d’inizio del Sacro Romano Impero l’incoronazione di Carlo Magno nell’800. Solo nel 1512 sotto l’imperatore Massimiliano I appare la dizione ‘Sacro Romano Impero della Nazione Germanica’ (Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation, in latino Sacrum Imperium Romanum Nationis Germanicae). In teoria, l’imperatore era la massima autorità politica del mondo, superiore a tutti i re e pareggiato (o superato, a seconda delle visioni politiche) solo dal Papa. Nei fatti, però, qualcosa di simile fu raggiunto soltanto, e parzialmente,  con Carlo Magno. Da Ottone I di Sassonia in avanti l’Impero governava solo la Germania e per un periodo minore parti dell’Italia ed altri territori. (Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Sacro_Romano).

La sovranità di vari Stati membri del S.R.I. fu riconosciuta con le paci di Westphalia del 1648 (principio della non ingerenza negli affari interni), soprattutto per indebolire gli Asburgo che miravano a fare dell’Impero un effettivo Stato centralizzato. È il trionfo della politica di Richelieu, morto sei anni prima, di garantire la sicurezza francese tramite una Germania divisa e, quindi, debole e che durò fino alla seconda guerra mondiale, superata parzialmente con l’Integrazione Europea. L’Imperatore (scelto da 7 o 8 Grandi Elettori) dal 1438 alla fine del S.R.I. (tranne la parentesi di  Carlo VII di Baviera dal 1742 al 1745), rimase infatti sempre nelle mani della Casa d’Asburgo e poi degli Asburgo-Lorena, a partire da Francesco I di Lorena, consorte di Maria Teresa, ultima erede asburgica (1717-1780), che appunto per la Legge Salica del S.R.I. non potè diventare sua Imperatrice, se non consorte.  L’Impero toccò l’apice della potenza nel Basso Medioevo, poi divenne un bizzarro coacervo di persino 300 Stati, spesso insanguinato da conflitti cruenti, basti pensare alla Guerra dei Contadini del 1524-’25 ed alla Guerre di Religione tra cattolici e protestanti dopo la Riforma Luterana (1517), fino ad essere dissolto su pressione di Napoleone nel 1806. L’ultimo Imperatore del S.R.I., Francesco II d’Asburgo-Lorena, divenne il primo Imperatore d’Austria. 

Tramontato il Sacro Romano Impero (da tempo più un simbolo prestigioso ed una eredità veneranda che un potere effettivo) sorse la Confederazione del Reno (Rheinbund) una confederazione di dominî satelliti dell’Impero francese, composta inizialmente da sedici Stati tedeschi, dopo la vittoria di Napoleone contro Austria e Russia ad Austerlitz. Ebbe vita dal 1806 al 1813. Il numero degli Stati membri arriverà a 39, comprendenti una popolazione di 15 milioni di abitanti. Essi fornirono un vantaggio strategico significativo alla Francia sul fronte orientale. La Prussia e l’Austria non ne erano membri. Le sorti della Confederazione erano strettamente legate alla Francia: collassò dopo la sua sconfitta a Lipsia nel 1813. 

Successivamente alla caduta di Napoleone, la Confederazione Germanica (Deutscher Bund) fu una libera associazione di Stati tedeschi, formata dal Congresso di Vienna del 1815. La Confederazione aveva gli stessi confini del Sacro Romano Impero dopo la Pace di Vestfalia – ad eccezione delle Fiandre – ma i membri erano adesso pienamente sovrani. La Confederazione ebbe fine quando la Prussia e l’Austria entrarono in guerra nel 1866. Dopo diverse proposte da ambo le parti per riformarne la struttura, la principale potenza della Germania settentrionale, la Prussia, aveva lasciato la Confederazione Germanica, assieme ad una serie di alleati, ed iniziato uno scontro latente dal momento che la stessa era patrocinata dall’Austria cattolica, mentre i dissidenti, protestanti, erano guidati dalla Prussia stessa. Gli Stati costituenti divennero poi parte dell’Impero Tedesco nel 1871, eccetto l’Impero d’Austria, il Liechtenstein, il Lussemburgo ed il  Limburgo. 

La  Confederazione Germanica del Nord (Norddeutscher Bund) fu fondata dopo la breve guerra austro-prussiana e la sconfitta asburgica a Sadowa/ Königgrätz  e comprendeva gli Stati tedeschi a nord del fiume Meno: 22 membri e circa 30 milioni di persone. Essa fu il primo Stato moderno della nazione germanica e la base per il successivo Impero Tedesco. Inizialmente fu un’alleanza militare tra Potenze indipendenti, ma nel 1867 si formò una vera e propria federazione di Stati, basata su di una costituzione comune. La Confederazione Tedesca del Nord è reputata fondamentale per l’unificazione economica e giuridica della Germania, dal momento che molti dei suoi cardini vennero poi trasferiti all’Impero Tedesco.

 Dal 1867 la struttura si dotò di una costituzione ad opera del Cancelliere prussiano Bismarck. La Confederazione era costituita da 19 monarchie e 3 città libere ed anseatiche. Ogni membro manteneva le sue leggi e le sue istituzioni, purché non in contraddizione con la costituzione. La Presidenza della Confederazione (Bundespräsidium) spettava al Re di Prussia in quanto il monarca più importante. Spettava solo a lui nominare il capo del governo, il Cancelliere federale (Bundeskanzler). Disponeva di due Camere: la Camera Bassa, eletta a suffragio universale maschile, il Reichstag; la seconda, la Camera Alta o dei Signori, il Consiglio Federale (Bundesrat), composto dai rappresentanti a cui ogni Stato aveva diritto a seconda del suo territorio. Il Parlamento non poteva sfiduciare il Cancelliere, responsabile verso il Presidente (poi verso l’Imperatore), ma questi non godeva di nessun potere di legiferare. 

Bismarck costruisce l’Impero spostando il nazionalismo tedesco dal suo carattere ancora liberale e democratico del 1848 alla Realpolitik autoritaria da sé medesimo incarnata. Egli voleva l’unificazione per raggiungere il suo scopo di uno Stato tedesco conservatore e dominato dalla Prussia. Egli riuscì nel suo intento attraverso tre successi militari: in primo luogo si alleò con l’Impero austriaco allo scopo di sconfiggere la Danimarca in una breve guerra combattuta durante il 1864, acquisendo in questo modo lo Schleswig-Holstein; nel 1866, in concerto con l’Italia, attaccò e sconfisse l’Austria nella guerra austro-prussiana, che gli permise di escludere l’antico rivale austriaco quando formò la Confederazione Germanica del Nord; infine, il ‘Cancelliere di Ferro’ sconfisse la Francia di Napoleone III nella Guerra franco-prussiana (1870-71). La Confederazione fu trasformata in Impero con la proclamazione del re  Guglielmo I a Imperatore Tedesco, Deutscher Kaiser, non di Germania, per non irritare ed irrigidire gli Stati minori. 

L’evoluzione dell’unificazione tedesca è in linea con gli sviluppi quasi paralleli d’Italia e Giappone. Sebbene liberale, il Cavour usò spregiudicatamente la guerra e la diplomazia del Piemonte sabaudo per raggiungere i suoi obiettivi. E con la caduta dello Shogunato Tokugawa e la Restaurazione Meiji, nel 1868, il Giappone avrebbe imitato la ‘modernizzazione conservatrice’.

Il 1806, l’anno delle grandi umiliazioni di fronte alle armate napoleoniche, segnò l’inizio del nazionalismo romantico tedesco. Meglio: la scoperta dell’orgoglio tedesco. Dopo l’entrata delle forze prussiane in Sassonia, le ostilità tra la Francia e le Potenze della IV Coalizione  iniziarono in ottobre: l’esercito prussiano, senza attendere l’arrivo dei russi, avanzò in modo confuso e disperso e Napoleone prese l’offensiva e vinse la battaglia di Jena il 14 ottobre 1806. La contemporanea vittoria nella Battaglia di Auerstädt contribuì alla disfatta di  Federico Guglielmo III. Dopo questi successi ed il riuscito inseguimento del nemico in rotta, Napoleone entrò  a Berlino il 27 ottobre, smontò la quadriga (che rappresenta la dea della vittoria alata) dalla cima della Porta di Brandeburgo e la portò come trofeo a Parigi. Un’umiliazione sciocca che peserà assai in futuro. L’Imperatore dei Francesi fu denominato spregiativamente Pferdedieb (ladro di cavalli)… 

(Napoleone attraversa la Porta di Brandeburgo. Olio di  Charles Meynier, 1810)

Nel 1806 il movimento culturale romantico tedesco si fonde col nazionalismo e, da movimento letterario, diventa un movimento aperto all’impegno politico. Si diffondono il mito delle origini, la sacralità della terra, della patria e poi della nazione, della Heimat (focolare nativo) e della Vaterland (terra dei padri), esiti di un percorso culturale e politico che inizia all’interno della cultura romantica, dove, accanto ad ispirazioni aperte al trascendente, come in Friedrich Schleiermacher, si delineano, da Fichte, connotazioni del sacro in senso fortemente nazionalista.

Sono due i pensatori caratteristici di questi momenti del romanticismo: Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel (1772-1829), per la prima fase, e Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) per la seconda. Si è di fronte a due fasi del Romanticismo che, pur essendo distinte, sono legate strettamente tra loro. La prima fase di carattere cosmopolitico, è aperta al futuro; la seconda fase, che è soprattutto patriottica, guarda al passato. Nelle sue Lezioni berlinesi, del 1802-’03, Schlegel esorta gli uditori ad essere sempre più aperti al fascino della cultura. Pure Fichte nelle sue lezioni, tenute cinque anni dopo, sottolinea l’amore per la cultura tedesca e soprattutto per le origini di tale cultura. Nei ‘Discorsi alla nazione tedesca’ (Reden an die deutsche Nation), del 1807-’08, ritenuti dagli storici della cultura come un documento essenziale della genesi del germanesimo,

Fichte sottolinea la superiorità dell’essere tedesco, senza disprezzare apertamente nessun vicino. Nei suoi  Discorsi  l’unità europea  non  è  più  poetica,  culturale,  religiosa,  ma  si confonde con l’unità preistorica ancora indistinta della Germania. Nasce il modello di “popolo” delineato dal filosofo. Non è il vincolo della legge a tenerlo unito, ma il senso di una continuità spirituale e di una missione: “nazione” per eccellenza, anzi “popolo originario”.  Per Fichte, mentre le altre comunità hanno, nel corso dei secoli, perduto o corrotto i loro caratteri, tra i quali uno dei più importanti è la lingua, i tedeschi si sono sostanzialmente mantenuti identici a loro stessi. Come già per Schlegel la lingua tedesca, già schernita come dialetto grossolano, appartenente a dei barbari, arretrati, diventa invece foriera di nuove consapevolezze e libertà.

Dopo la caduta di Napoleone si rafforzò il nazionalismo pangermanico. Costituiva per lo stesso un problema essenziale il destino dell’Austria, entità di lingua tedesca,  ma diventata un dominio multilingue grazie alla sua espansione territoriale. C’era infatti l’opzione d’includerla in una ‘Grande Germania’ oppure di lasciarle percorrere una via a parte. Le organizzazioni pangermaniche alimentarono un vero e proprio movimento politico, che ben presto diede origine a due fazioni: i ‘grandi tedeschi’, fautori di una unificazione guidata dagli Asburgo d’Austria; i ‘piccoli tedeschi’, che caldeggiavano l’unificazione, ma sotto la corona prussiana, appoggiati dal Bismarck. Ebbero la meglio questi ultimi, ed un’Austria sempre più debole (diventata Austria-Ungheria nel 1867) diventerà il socio minoritario dell’Impero Tedesco, riuscendo, purtroppo, a trascinarlo nella folle avventura del 1914, allorchè Vienna, sentendosi appoggiata da Berlino, dichiaró guerra alla Serbia, un mese dopo l’attentato di Sarajevo contro il principe ereditario Francesco Ferdinando e la consorte, provocando l’intervento della Russia e poi dei suoi alleati Francia ed Inghilterra. In quei Balcani, e per quei Balcani, che Bismarck aveva detestato, ripetendo che “tutti assieme non valevano le ossa di un solo granatiere di Pomerania!”.

Dopo aver ottenuto l’unificazione formale della Germania, Bismarck dedicò molta della sua attenzione alla causa dell’unità nazionale e la conseguì principalmente attraverso l’ideologia del ‘Prussianesimo’. L’obiettivo di Bismarck in politica estera fu la ricerca dell’equilibrio e della pace (simboleggiato dall’Alleanza dei Tre Imperatori nel 1881 e poi dal Trattato segreto di Controassicurazione, del 1887, con la Russia, sempre più espansionista e panslavista). L’equilibrio, certo, ma pure l’indebolimento e l’isolamento diplomatico della Francia, convinto che la revanche sarebbe stata possibile solo se la Francia, da sola più debole della Germania, avesse trovato alleati per scatenare una conflagrazione generale (come avverrà con la WWI). In politica interna: Kulturkampf, riforma sociale, unità nazionale. 

Kulturkampf (battaglia culturale o battaglia di civiltà). A seguito dell’incorporazione di regioni prevalentemente cattoliche del sud (Baviera, Sassonia, Renania, Alsazia-Lorena ecc.), il cattolicesimo ultramontano, rappresentato dal partito cattolico di centro (Zentrum), sembrava la minaccia principale all’assetto militar-aristocratico prussiano. Particolarmente netta fu allora la posizione laicista di Bismarck, che in un discorso alla Herrenhaus (la Camera Alta) sostenne: 

«Non si tratta di uno scontro tra credenti e non credenti, bensì dell’antichissima lotta per il potere, antica quanto la razza umana, tra il Regno e il Sacerdozio, lotta ch’è molto più antica della venuta sulla terra del Redentore. Si tratta della difesa dello Stato, si tratta di delimitare dove può arrivare il potere del sovrano e dove quello dei sacerdoti. E questo limite dev’essere identificato in modo tale che lo Stato possa autonomamente sussistere. In questo mondo è, infatti, questo ad avere la direzione e la precedenza».

Dopo il 1878 la lotta contro il socialismo avrebbe unito Bismarck con il Zentrum, ponendo fine al Kulturkampf, che aveva, tuttavia, lasciato nei cattolici un’irrequietezza maggiore di quanta non ne fosse esistita prima. In ambito luterano, in Prussia, il sovrano esercitava funzioni di capo.

Riforma sociale: la creazione, da parte di Bismarck, di uno Stato sociale particolarmente avanzato diede alla classe operaia un solido motivo per adottare il nazionalismo tedesco. Il sistema di previdenza sociale instaurato (sanità nel 1883, assicurazione sugli infortuni nel 1884, pensione di invalidità e di anzianità nel 1889) a quell’epoca era il più avanzato del mondo.

 La Prussia fu una ‘civiltà del dovere’. Viaggiando tra i documenti raccolti da Hans Joachim Schoeps, storico tedesco ebreo, in Das war Preussen (‘Lo spirito prussiano’, traduzione di Julius Evola) del 1964, troviamo l’idea della difesa dei bisognosi, il richiamo ad un originario Welfare State, come nella frase del generale Hans von Seeckt: “La Prussia è stata  uno Stato sociale nel senso migliore del termine.  L’assistenza sociale consisteva,  anzitutto,  nel fornire ad ognuno la 

possibilità di lavorare, di conservare ed impiegare le proprie forze”. Insomma, un remoto stile sociale prussiano.  C’era un popolo da sostenere, ciò rappresentava il dovere primario dello Stato. Si comprende di più sfogliando il capitolo “Lo Stato prussiano e la sua etica”, nel quale la parola ‘dovere’ riecheggia in diverse accezioni. Per secoli i prussiani discussero del ‘tempo dei doveri, che coincideva con la dignità umana’; esisteva cioè una ‘Prussia cristiana e tradizionalistica che sapeva gestire  lo Stato con saggezza’, come ha notato nel suo pregevole prologo Giovanni Sessa. 

Unità Nazionale. Cominciando con l’unificazione giuridica: gli sforzi del Cancelliere tesero a livellare le grandi differenze tra gli Stati tedeschi, che avevano avuto per secoli uno sviluppo indipendente.  Le leggi ed i sistemi giudiziari delle varie entità erano molto diversi e posero enormi complicazioni, specialmente per il commercio interno. Nel 1871 venne introdotto un Codice Penale comune (Reichsstrafgesetzbuch); nel 1881, s’istituì una commissione per produrre un Codice Civile comune a tutto l’Impero. Seguì un intenso lavoro, che avrebbe prodotto il Bürgerliches Gesetzbuch, uno dei più impressionanti lavori legali del mondo. Il Codice Civile entrò in vigore solo il 1º gennaio 1900. Queste codificazioni, anche se con vari emendamenti, sono in vigore ancora oggi. 

Uno dei prodotti della ‘modernizzazione conservatrice’, o il suo attivo  mantenimento, fu il militarismo. Per unire le classi: il militarismo si rivelò uno strumento necessario per proseguire la modernizzazione senza cambiare a fondo le strutture socio-politiche. Ognuna delle élites della coalizione governante del Secondo Reich trovò poi dei vantaggi anche nell’espansione d’oltremare: i gruppi industriali volevano il supporto dello Stato imperiale per assicurare gli investimenti contro la competizione e le tensioni politiche interne; i burocrati volevano più possibilità d’impiego, gli ufficiali più promozioni e la nobiltà terriera altri titoli. In un quadro sociale caratterizzato dalla crescita del sindacalismo, del socialismo e di altri movimenti di protesta, tipici dell’era della incipiente società di massa, i gruppi dirigenti del Reich furono in grado di utilizzare l’imperialismo nazionalista per cooptare il supporto della classe operaia. 

 Gli obiettivi della Weltpolitik (politica mondiale) e dell’espansione coloniale furono con grande chiarezza illustrati da von Bülow nel discorso al Reichstag del dicembre 1899, col quale si chiedeva, retoricamente, se nel nuovo secolo la Germania sarebbe stata “incudine o martello”. 

Forte dei sentimenti dell’età romantica di fine del XIX secolo, l’imperialismo inculcò nelle masse l’ammirazione per le virtù aristocratiche ed aiutò a radicare emozioni nazionalistiche. Quindi, la Prussia – erede dello ‘Stato guarnigione’ costruito da Federico Guglielmo e Federico il Grande, anzi dell’‘Esercito che aveva uno Stato’ – riuscì a creare una macchina da guerra potente, non solo in grado di tenere a bada  i vecchi rivali continentali, ma di dar vita ad una ‘politica mondiale’ imperialistica. La ‘nazionalizzazione delle masse’ avanzava a tappe forzate, così come l’‘invenzione della tradizione’, per usare il linguaggio di Eric Hobsbawm e Terence Ranger (The Invention of Tradition, 1983). Ricerca di legittimità per società in fase di cambi rapidi, profondi. Anche la Germania si riempì di grandiloquenti monumenti, non solo più di tripudi di bandiere, fanfare, alamari, elmi a chiodo, sciabole luccicanti, che schiudevano una nuova ‘religione civile’; divenne smodato l’uso propagandistico di miti e simboli, come del resto accadeva in Francia, in Gran Bretagna, in Italia (celebre l’enorme Vittoriano), negli Stati Uniti. 

L’Impero fiorì sotto la guida sapiente di Bismarck, fino alla morte (marzo 1888) del novantenne Kaiser Guglielmo I, che aveva partecipato alla vittoriosa Battaglia di Waterloo, nel 1815! Nel cosiddetto Dreikaiserjahr (Anno dei Tre Imperatori), Federico III, suo figlio e successore, malato di cancro, regnò solo per 99 giorni, lasciando la corona al giovane ed impetuoso Guglielmo II che, ansioso di esercitare il potere personale, costrinse il saggio principe di Bismarck a lasciare l’incarico, nel marzo 1890. Poi si avvicendarono vari Cancellieri: Leo von Caprivi (1890-1894); Chlodwig zu Hohenlohe (1894-1900); Bernhard von Bülow (1900-1909); Theobald von Bethmann-Hollweg (1909-1917); Georg Michaelis (14 luglio 1917-31 ottobre 1917); Georg von Hertling (1917-1918); Max von Baden (3 ottobre 1918-9 novembre 1918). La Germania imperiale fu sempre uno Stato di diritto dove la libertà di stampa e le altre fondamentali libertà erano rispettate, in un quadro politico ove i suffragi per i socialdemocratici crescevano. Peraltro, solo poche settimane prima dell’armistizio Guglielmo II acconsentì, controvoglia, al cambio da ‘Monarchia Costituzionale’ a ‘Monarchia Parlamentare’ ed a sopprimere l’antiquato ‘voto per tre classi di censo’, vigente nel Regno di Prussia per eleggere i rappresentanti alla Abgeordnetenhaus, la Camera Bassa. Troppo tardi. La sconfitta imminente aveva rotto il patto del popolo tedesco con la monarchia militare degli Hohenzollern. Il potere politico già era sfuggito dalle mani del Kaiser, da ultimo esercitato dai generali von Hindenburg e Ludendorff.

Successero molte altre cose, ovviamente, che non si possono delineare in questa sede se non per cenni: La Triplice Alleanza con L’Austria-Ungheria e l’Italia, l’accennata ambiziosa Weltpolitik, le avventure coloniali, la Hochseeflotte di von Tirpitz (la Marina da Guerra d’alto mare), la sfida navale all’Inghilterra, una politica estera miope, imprudente e persin sbruffona, che coalizzò contro la Germania, il cuore pulsante d’Europa, nemici vecchi (come la Francia e la sua ossessiva vocazione di revanche) e nuovi (come la Gran Bretagna e la Russia). Bismarck l’avea temuto… Alla fine del 1914, quando le grandi Potenze già erano precipitate nella guerra infame di trincea, senza prospettive di una rapida uscita, il principe von Bülow, antico Cancelliere del Reich, pare chiedesse al suo successore capo del governo, von Bethmann-Hollweg: ‘Come è successo tutto questo?’ Al che, Bethmann-Hollweg rispose laconicamente: ‘Se qualcuno lo sapesse!’

Nel 2018 è stato ricordato il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, quella che Ernst Nolte chiamò ‘il primo atto della guerra civile europea’: la Seconda non è stata, infatti, che la prosecuzione della Prima, ed il Trattato di Versailles la causa che ne pose le premesse. Sia per le stolte scelte compiute per creare sulla carta nuove ed artificiali nazioni, sia per come vennero conculcate le vinte. Alle ferite aperte e secolari se ne aggiunsero di nuove. La massima di Scipione, uno dei più grandi e più illuminati condottieri della storia, come ha ben ricordato Paolo Isotta, è stata nel Novecento sempre calpestata: ‘bisogna vincere e mai stravincere’. Sui prodromi della Grande Guerra esiste una vasta letteratura. Le classi dirigenti vennero allora prese da una sorta di follia collettiva, contagiosa, ispirata dal verbo ipernazionalista, che si univa a variegati interessi, industriali e no – della massoneria franco-britannica in primis  a scatenare un conflitto. 

Il 9 novembre 1918 un treno portava in Olanda, dove morirà nel 1941, ottantaduenne, deluso dai suoi vecchi sudditi e dai suoi figli maschi, l’ultimo Kaiser tedesco. Per Guglielmo II era l’esilio, per la Germania alla fame – agitata da coloro che volevano replicare la Rivoluzione d’Ottobre sovietica – la condanna (falsa) di aver provocato la guerra, un durissimo castigo per la nazione e la sua gente: l’ideologia della “guerra totale”, che non si limitava più al mero scontro fra eserciti belligeranti, ma portava alla “criminalizzazione” della Kultur, in questo caso, e di un intero popolo. Dopo fu altresì peggio, non solo per i tedeschi di Weimar o per quelli del III Reich…

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Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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