Focus Western. Quando i film dei cowboy puntano sulla forza delle donne

Renée Zellweger  in "Appaloosa", diretto da Ed Harris e con Viggo Mortensen
Renée Zellweger in “Appaloosa”, diretto da Ed Harris e con Viggo Mortensen

Il cinema western potrebbe sembrare machista, misogino e maschilista. La cosa è vera solo in parte. E se si guarda con attenzione l’immensa filmografia del genere western vediamo che il ruolo delle donne è molto attivo, non sono solo mogli, madri o prostitute ma anche alter ego del protagonista maschile con cui si confrontano a muso duro e con la pistola alla mano. Un esempio è Jennifer Jones che fronteggia Gregory Peck in Duello al sole di King Vidor.

Con le donne iniziano le grandi marce verso il selvaggio Ovest dopo gli uomini e saranno loro a popolare le città lungo la frontiera nella seconda metà dell’Ottocento; il genere western è il genere che celebra l’amicizia virile ma le donne compaiono sempre come ebbe a dire il grande regista Anthony Mann “effettivamente si aggiunge sempre una donna nella ballata, perché senza una donna un western non funzionerebbe” .

Tutta la letteratura romantica presenta il racconto sempre intorno a una donna e all’influsso che ha sull’eroe maschile; nel western questo è sublimato dall’incontro tra due personaggi principali che sono uomini. La donna è testimone non passiva dei conflitti all’interno del testo filmico. La donna testimonia i vecchi e sani valori della Frontiera, del progresso, è una confidente e un’amica, un punto di riferimento per l’eroe che dopo aver combattuto, peregrinato in luoghi ostili affrontando ostacoli naturali, indiani e banditi il cui desiderio è coltivare un pezzo di terra e farsi una famiglia, come in La ballata di Cable Hague di Sam Peckinpah. E in quel caso ci vuole una donna, bella o brutta non è importante, spesso una piccolo borghese che ripulisce stamberghe, allieta lo squallore del posto mettendo delle tendine a quadri rossi, in Doc di Frank Perry, Faye Dunaway modifica un paio di tovaglie in tendine trasformando una topaia in una casa accogliente nella prateria. In alcuni film western i personaggi femminili mettono addirittura in ombra maschi della storia. Le donne sono sopra le righe, portano i pantaloni o fumano il sigaro usando la propria carica erotica per sopravvivere in una società di uomini prepotenti, biechi e violenti. In Appaloosa diretto da Ed Harris e con Viggo Mortensen, Renée Zellweger si allea con il protagonista.

Un film che fece epoca nella rappresentazione della femmina dominante fu il film di Nicholas Ray Johnny Guitar del 1954 con Joan Crawford. Un film dai sentimenti eccessivi, il tutto filmato in modo esagerato da una macchina da presa che fa ribollire le passioni, in cui i contrasti tra i personaggi sono accentuati e sopra le righe già dai nomi dei protagonisti: Vienna, Johnny Guitar e Dancin Kid. I sentimenti di amore, odio e rivalsa esplodono nel saloon di Vienna interpretata da Joan Crawford vestita di nero e con la Colt al fianco. Vienna è una donna dal passato equivoco: riceve l’uomo che in passato aveva amato e che l’aveva fatta soffrire in un saloon lugubre in cui una roccia imponente fa da parete alla sala da gioco ed è illuminata dai candelabri degni di un palazzo reale. Johnny Guitar è interpretato da Sterling Hayden che già nel noir Giungla d’asfalto aveva interpretato il loser, anche in questo film interpreta il perdente che si adatta alla sua figura allampanata e al viso segnato da una piega amara. Un uomo che ha provato tante volte e tante volte ha fallito. Aveva amato Vienna e ora lei lo chiama per intrattenere i suoi clienti con la chitarra. Johnny in realtà è più bravo con la pistola e con i pugni che con la chitarra, memorabile è la scena della scazzottata con il cattivo Bart Lonergan interpretato da Ernest Borgnine che da ottima prova di sé nella parte del bandito. Nel 1952 Nicholas Ray aveva già messo in scena il personaggio del loser interpretato da Robert Mitchum nel western moderno Il temerario. Nella comunità di Logan, Johnny Guitar si deve scontrare con il bandito Dancin Kid, amante della Crawford che inserisce al film anche un ménage à trois. Il male personificato nel film è però rappresentato da Emma una donna malvagia piena di tabù sessuali. L’interpretazione “all’acido solforico” le farà ottenere un Oscar si scontra con Vienna: il film offre un quadro psicologico molto forte in cui i personaggi si incontrano/scontrano si amano/odiano con intensità. Non mancano i banditi guidati da Dancin Kid nel cui banda vi è il giovane innocente Turkey Ralston che sarà impiccato dagli allevatori guidati da Ward Bond che rappresentano il maccartismo più becero e reazionario. Il duello finale drammatico non avviene tra i due contendenti maschi ma tra le due donne e questo nell’epoca del western tradizionale fu considerato dalla critica americana maccartista, ignorante e sessuofoba una caduta di stile. Differente fu la reazione nella sua uscita europea a Parigi, il film venne acclamato dalla critica dei Cahiers du Cinema in particolare con François Truffaut che videro nel film di Ray un capolavoro. Dagli attori, le scenografie, i dialoghi, i costumi e la regia scoppiettante e psicoanalitica di Nicholas Ray che aveva al suo attivo solo tre western fanno di questo film un cult. Vienna è una protofemminista che entra di diritto nel pantheon dei grandi personaggi western fino ad allora appannaggio dei maschi.

Un’altra protagonista femminile che fa diventare l’“altra metà del cielo” pari ai maschi è Marlene Dietrich diretta dal suo conterraneo il maestro Fritz Lang interpreta la tenutaria di un covo di banditi nel film del 1952 Rancho Notorius, il film per la sua ambientazione artefatta tra il Texas e il Messico è accomunato al film del 1941 diretto da Bruce H. Humberstone Serenata a Vallechiara. Anche nel film di Lang dominano i sentimenti forti come la vendetta di Vern Haskell a cui è stata violentata e uccisa la moglie e la ricerca dell’amicizia con Frenchy Fairmont. Su tutti spicca Marlene Dietrich che come nel film L’angelo azzurro mette in mostra le gambe nonostante l’età avanzata e canta la canzone che è il leitmotiv del film. Il finale del film è tragico, la protagonista femminile morirà pensando che l’amore può cambiare un destino “baro e infingardo”.

Un altro film western in cui le donne non hanno solo un ruolo secondario è il film di William Wellman del 1951 Donne verso l’ignoto. A parte l’eroe di turno interpretato da Robert Taylor non vi è una sola donna che affianca l’eroe ma un centinaio di tutti i tipi. Un universo di donne belle, brutte, forti e deboli, sono ex cocottes, marinaie islandesi e anche una cantante italiana. Questo gruppo dovrà attraversare 2000 miglia di territorio ostile affrontando uragani, tempeste di sabbia, strade dissestate dalle rocce su cui ogni tanto uno dei carri della carovana si va a schiantare e per non farsi mancare nulla anche i pellerossa che nella vulgata della Hollywood classica sono rappresentati come selvaggi assetati di sangue. Il film di Wellmann è un capolavoro corale al femminile con toni da commedia, eccetto il capomandria Buck Wyatt/Taylor che è un cinico e uno scettico verso l’universo femminile gli altri uomini sono tutti del film sono tutti degli zootici analfabeti, vigliacchi sanguinari e qualche volta violentatori.

Un ultimo film in cui la donna è lontana dal cliché madre-prostituta è Quaranta pistole diretto da Samuel Fuller nel 1957. Nella scena iniziale abbiamo un gruppo di cavalieri al galoppo diretti verso una meta ignota. La protagonista è Barbara Stanwyck che aveva già interpretato altri due ottimi film western: Le furie diretto da Anthony Mann nel 1950 e La regina del Far West diretto da Allan Dwan nel 1954.

Nella prima parte del film indossa un abito maschile nero e porta sempre la Colt alla fondina, nel finale si scopre che poi non è una donna malvagia e si innamora dello sceriffo federale incaricato di sgominare la banda da lei comandata e indosserà un abito bianco che rappresenta una riacquistata verginità.

Gli americani medi degli anni Cinquanta vedendo una donna fare la parte di un uomo diventando un eroe boicottarono il film costringendo Samuel Fuller ad indebitarsi.

Sempre i registi francesi della Nouvelle Vague apprezzarono il film di Fuller, il film viene citato da Godard in Fino all’ultimo respiro del 1960.

Il film è molto innovativo non solo per la cavalcata iniziale, l’interpretazione di Barbara Stanwyck ma anche per le scene dei duelli e per i particolari dei contendenti come la camminata, i primi piani degli occhi dello sceriffo che ispireranno parecchi anni dopo il famoso triello de Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone con i primi piani degli occhi di Lee Van Cleef, Eli Wallach e Clint Eastwood.

Accanto a queste donne assolute protagoniste c’è Jennifer Jones nella parte di Perla in Duello al sole diretto da King Vidor nel 1948 che uccide a revolverate il cattivo di turno interpretato da Gregory Peck e la meticcia Virginia Mayo nella parte di Colorado in Gli amanti della città sepolta diretto nel 1949 da Raoul Walsh che si fa uccidere per difendere l’uomo che ama gridando tutto il suo disprezzo verso il mondo.

Nel sistema misogino hollywoodiano la maggior parte delle donne messe in scena sono donne da saloon il cui scopo è allietare il personaggio maschile, abbiamo Angie Dickinson in Un dollaro d’onore del 1959 e Marilyn Monroe in La magnifica preda del 1954 diretto da Otto Preminger il quale dichiarò che Marilyn Monroe recitava peggio di Lassie.

Nel film di Preminger Marilyn vive varie avventure con Matt Calder e suo figlio Mark che vorrebbe cambiare vita, ma c’è sempre un “ma” che nei film western che fa tornare sulla cattiva strada. Il cambiamento di Marilyn avverrà dopo che il figlio di Matt Calder sparerà a al cattivo di turno Harry Weston per difendere suo padre. Nella scena finale sentendosi in colpa Marilyn torna ad esibirsi come cantante nel saloon, mentre sta cantando giunge Matt che la prende in braccio e la riporta sul carro e mentre il carro si mette in movimento getta per terra le scarpette rosse da ballerina che stanno ad indicare un taglio decisivo con il passato.

Anche Felicia Farr che interpreta la giovane barista Emmy in Quel treno per Yuma diretto da Delmer Daves nel 1957 vorrebbe cambiare vita. La scena più toccante del film è l’incontro tra il bandito Ben Wade in procinto di essere tradotto al carcere di Yuma da Dan Evans e la giovane donna che come Violetta in La Traviata malata di tisi decide di andare a vivere in una località sperduta nel deserto. È l’incontro tra due persone sole che si rendono conto di aver sprecato la propria vita. La frase significativa del film è “Strano, certi uomini li vedi per dieci anni di seguito e neanche te ne accorgi, altri li vedi una sola volta e gli vuoi bene tutta la vita”.

Per gli appassionati sono due le maitresse che hanno lasciato il segno: Julie Christie de I compari diretto da Altman del 1971 e la francese Isabelle Huppert nel film I cancelli del cielo diretto da Michael Cimino nel 1980 e che mandò in fallimento la United Artists.In ambedue i film la donna è prostituta e manager che vorrebbe arricchirsi con un certo tipo di mercimonio e tutte e due dovranno ricredersi, Miss Miller ne I compari quando entra in conflitto con una compagnia mineraria con la sua bisca bordello ed Ella ne I cancelli del cielo quando decide di schierarsi con i coloni contro i ricchi allevatori, tutte e due andranno incontro a un tragico destino.

Sempre nel film Gli spietati diretto da Clint Eastwood nel 1992 la vicenda parte da un gruppo di prostitute che si rivolgono a un gruppo di pistoleri per vendicare una loro compagna sfregiata da alcuni balordi.

Ma nel West non vi sono solo le donne di piacere ma vi sono anche madri “toste” come Lillian Gish che interpreta la madre di Burt Lancaster in Gli inesorabili diretto nel 1960 da John Houston che per salvare la figlia adottiva, un’indiana kiowa interpretata da Audrey Hepburn fa impiccare il vecchio invasato Abe interpretato da Joseph Wiseman. C’è la mamma dei James che appoggia i fratelli banditi nelle loro scorrerie contro i nordisti. Vi è Katy Jurado che interpreta un’indiana sposata all’allevatore Matt Devereaux nel film La lancia che uccide diretto da Edward Dmytrik nel 1954, è testimone del razzismo della nuova società nascente lungo la Frontiera. Vi è poi Dolores del Rio che interpreta la parte di una madre indiana del mezzosangue Pacer Burton in Stella di fuoco diretto da Don Siegel.

Alle volte sono delle novelle Penelopi che si sostituiscono ai mariti come Jo Van Fleet in Un re per quattro regine diretto nel 1956 da Raoul Walsh, tiene testa a Clark Gable che insidia la virtù delle sue quattro nuore.

Un vero esempio di donna del West realmente esistita era Calamity Jane, al secolo Martha Jane Cannary Burke (1852 – 1903), che fu pistolera, guidatrice di diligenza e biscazziera. Nel cinema venne rappresentata in modo tutt’altro che veritiera sia nell’aspetto fisico che nel viso, in La conquista del West di Cecil B. De Mille venne interpretata da Jean Arthur, in Viso pallido di Norman Z. Mc Leod del 1948 è interpretata da Jane Russell, in Non sparare, baciami! diretto nel 1953 da David Butler ha il volto di Doris Day, infine in Wild Bill diretto da Walter Hill è interpretata da Ellen Barkin. Il fatto che sia stata l’amante del pistolero “Wild Bill” Hickok pare sia una leggenda alimentata da lei e dal suo amico Buffalo Bill nel cui circo lavorò negli ultimi anni. Ma riprendendo l’incipit di “L’uomo che uccise Liberty Valance” possiamo concludere che “è meglio raccontare la leggenda piuttosto che la verità”.

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Giovanni Di Silvestre

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