Cultura (di P. Isotta). L’eterogenesi dei fini nella nomina al Teatro alla Scala di Meyer

I palchi del Teatro alla Scala di Milano

“Cecilia Bartoli non canterà più alla Scala per solidarietà con il soprintendente uscente Alexander Pereira.” Te la presentano come quando Maria Callas interruppe la recita della Norma all’Opera di Roma. Costei è una cantantuccia che sostiene di esser specializzata nel repertorio barocco, ha per voce la punta di uno spillo e i suoi fans sono le più disperate recchie liriche. Una delle colpe di Pereira è proprio lo spazio che le ha attribuito. Questo è il livello della discussione: si parla della Bartoli.

La successione a Pereira è una farsa con tratti turpi. Il 28 giugno verrà nominato (non si sa se dal 2020 o dal 2022) Dominique Meyer, un colto e onesto alsaziano, fin qui soprintendente a Vienna. Poteva essere la soluzione naturale. Ci si è giunti, invece, solo perché i genî della strategia, che volevano mettere le zampe sulla Scala, hanno fatto una tale serie di errori da portare alla designazione di Meyer per eterogenesi dei fini.

Pereira non è il mostro che è stato descritto. È un esperto amministratore che da Zurigo a Salisburgo si è fatto un curriculum importante. Soprattutto, è un essere umano: non proviene dall’impazzito sistema italiano nel quale l’odio per bande ideologiche è l’unica legge. Ha allestito molte cose furbe, molte cose per la massa: oggi credo sia impossibile regolarsi diversamente: se mi dessero un milione al giorno per fare il soprintendente direi di no.  Ma ha prodotto molte cose belle, di ampio respiro internazionale. Il confronto col suo predecessore Lissner non si pone.  Gli hanno dato la croce addosso per la sua capacità di trovare finanziamenti. Pecunia non olet: perché quella araba dovrebbe far schifo?

Per sostituirlo, come se si dovesse nominare il capo del personale di una ditta di calcestruzzo, hanno affidato la scelta a una società di “cacciatori di teste”. Non sto scherzando. Il soprintendente del più importante teatro italiano, di uno dei produttori di cultura principali del nostro paese, fatto valutare da burocrati aziendali. È cominciata la girandola dei nomi. Tutti intercambiabili. Perché tutti i soprintendenti italiani (tranne Pereira) sono stati nominati da Nastasi, l’ex boss giannilettiano-renziano del Ministero dei Beni Culturali, l’ex Commissario a Bagnoli (dove non ha spostato nemmeno una pietra), l’ex vicesegretario della Presidenza del Consiglio. E siccome posseggono solo il riflesso condizionato obbediscono a Nastasi anche se non comanda più. Dal San Carlo (Rosanna Purchia), al Petruzzelli (Massimo Biscardi), all’Opera di Roma (Carlo Fuortes), al Maggio Musicale Fiorentino (Cristiano Chiarot). Quest’ultimo avrebbe – nastasianamente –  avuto più titoli di tutti. Da direttore marketing della Fenice era diventato soprintendente: e aveva abbassato la programmazione oltre ogni dire, convinto di averne fatto la nuova Atene. A Nastasi, Nardella e Renzi serviva un pollastro al quale imputare l’inevitabile (e prossimo) fallimento del teatro più indebitato del mondo: se poi San Giovanni Evangelista avesse fatto l’impossibile miracolo, il merito era loro. Eccoti il cattocomunistello della provincia veneta. Gli hanno dato, fra il 2017 e il 2019, somme che ci permetterebbero di scavare da capo Pompei, Ercolano e Oplonti. Ciò non ostante, debiti restano stratosferici: le centinaia di milioni sono finite in un ”black hole”. Ma siccome in Italia basta avere un posto di guardacessi per sentirsi qualcuno, il povero Chiarot, che aveva sviluppato la sindrome sin da Venezia, ora si crede la reincarnazione del maestro Siciliani e del maestro Vlad. Spiega ai direttori d’orchestra come si tiene la bacchetta in mano, come si concertano le opere, quali sono i tempi giusti nell’Otello di Rossini e nel Cortez di Spontini. Spiega ai compositori defunti (Wagner, Bizet….) come si scrivono le opere, e gliele rifà se non sono politically correct. Non scherzo. Ha trasformato la Carmen, che finisce nel modo più tragico, con l’uccisione di Don Josè da parte di lei: invece che con la morte di Carmen, ammazzata disperatamente da don Josè. La tragedia dell’eros come maledizione: trasformata nel femminismo che prevale pressi i cretini, come la vendetta della sigaraia oppressa dal maschio. Un mio conoscente, regista di prima sfera, gli ha chiesto: “Ma come hai potuto farlo?” Egli ha risposto: “Non capisci che tutti i giornali del mondo parleranno di me?” Questo è il soprintendente che, se la Purchia è stata fatta Grande Ufficiale, va nominato almeno capo dello Stato.  Negli spazi liberi dagli ordini di scuderia.

I “cacciatori di teste” hanno invece designato un furbastro levantino dai capelli tinti, questo Fuortes, che già s’era illustrato come commissario nastasiano a Bari e all’Arena: quale unico possibile e meraviglioso salvatore della Scala.  Stava particolarmente a cuore, oltre che a Nastasi, a Francesco Micheli, che alla sua età vuol fare il soprintendente per interposto levantino. Era a un millimetro dalla nomina.  Solo che, a quanto si è appreso, tale società di “cacciatori” appartiene a un taluno del quale lo stesso Fuortes è dipendente. Così la somma di tante turpitudini ha prodotto Meyer, uno che potrà essere, se non, come ci auguriamo, un grande soprintendente, di certo un soprintendente normale. Gli altri, quelli che ho nominati e anche i non nominati, sono dei mostri.  Monstrum significa prodigio della natura.  Capaci, infatti, di arrivare a un locupletatissimo posto pubblico per il quale mai avrebbero trovato concorrenti peggiori di loro.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 26.06.2019

Paolo Isotta*

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