Focus. Il genio italiano Ennio Morricone e i suoni del Western

Morricone e alcune sue hit dedicate al Western

Il primo suono che si sentì in una sala di proiezione cinematografica fin dagli inizi del cinema muto fu il suono del pianoforte. Di solito il pianista era sistemato sotto lo schermo al buio seminascosto, la scelta del pianoforte fu dovuta alla sua completezza di timbri e colori tanto da divenire indispensabile per la proiezione delle prime pellicole. I magnifici sette con la colonna sonora di Elmer Bernstein, Balla coi lupi con le musiche eseguite da John Barry, Pat Garrett e Billy the Kid la cui colonna sonora è stata eseguita da Bob Dylan o infine Butch Cassidy con le musiche di Burt Bacharach, sarebbero stati lo stesso dei capolavori senza la musica?

Nel caso del genere western la musica è suddivisa in due filoni: uno popolare che attinge al folklore americano e in questo caso abbiamo My darling Clementine nel film Sfida infernale di John Ford del 1946 e La via dei giganti di Cecil B. De Mille del 1938 oppure vi è un filone che si rifà alla tradizione sinfonica europea prendendo melodie tratte dalle sinfonie di Mahler e di Stravinski e che sono eseguite da musicisti immigrati in America ai primi del 900.

Ennio Morricone nel cinema ha realizzato colonne sonore per i film di autore e per i film di genere, ma il successo lo ottiene con i western di Sergio Leone che ha reso indimenticabili grazie alle sue musiche personalissime.

Per un pugno di dollari del 1964, Per qualche dollaro in più del 1965, Il buono, il brutto, il cattivo del 1966, C’era una volta il West del 1968 e Giù la testa del 1971 sono entrate ormai nella Hall of Fame della storia del cinema sia per la mano di Sergio Leone che per le musiche lontane dalla tradizione hollywoodiana  popolare grazie all’invenzione di timbriche ed impasti sonori diversi e nuovi. Morricone ricorre anche a strumenti classici antichi come gli organi a canne delle chiese, spinette, clavicembalo, scacciapensieri, zufoli, cimbali di tradizione popolare, melodie cantabili da opera italiana di Verdi e Puccini con suoni arditi e impasti contemporanei.

La sua grandezza e originalità lo hanno premiato con due Oscar, uno nel 2007 alla carriera e nel 2015 per le musiche di The Hateful Eight diretto da Quentin Tarantino. Il sodalizio con Sergio Leone inizia alla fine del 1963 quando il maestro Morricone ricevette una telefonata dal regista per avere un appuntamento e discutere di un progetto per un film western.

All’epoca Morricone di western ne sapeva poco o niente anche se aveva scritto le musiche di Duello nel Texas  nel 1963, si trattava di una coproduzione italo-spagnola di Riccardo Blasco e Mario Caiano e stava collaborando per un altro western che uscì nel 1964 dal titolo Le pistole non discutono. Dopo una cena a Trastevere gli propose di vedere un film, così si recarono a un cinema d’essai di Monteverde dove replicavano il film di Kurosawa La sfida del Samurai. Il film non entusiasmò Morricone al contrario di Sergio che invece ne fu entusiasta perchè aveva trovato quello di cui aveva bisogno. Nonostante le perplessità di Morricone dato che il western era in Italia in crisi, Leone riuscì nel giro di pochissimo tempo di dargli nuova vita probabilmente perché aveva lo spirito giusto e le capacità per riuscire. In realtà i dubbi sulla riuscita del progetto non li aveva solo Morricone.

Per un pugno di dollari, con musiche di Morricone

Per fare più colpo i produttori spacciarono il film come americano e tutti lavorarono sotto pseudonimo. Volonté che interpretava Ramon era John Wells, Ennio Morricone come Dan Savio e Leone comparì con lo pseudonimo di Bob Robertson. L’unico che utilizzò il vero nome fu Clint Eastwood che era il protagonista, l’uomo senza nome, un nome quasi sconosciuto nella sua prima apparizione cinematografica da protagonista.

Per un pugno di dollari uscì il 12 settembre 1964 in prima assoluta in un cinema di Firenze e fu un successo senza pari. Questo successo fu il banco di prova della relazione tra Sergio Leone ed Ennio Morricone mettendo in luce tutte le caratteristiche che possono emergere sia nell’affiatamento che nel conflitto.

La rottura si rischiò nel finale perché Leone si era intestardito su un brano usato in fase di montaggio che era Deguello, una marcia di origine moresca che deriva dal verbo “degollar” decapitare o sgozzare. In senso militare significa lotta senza quartiere, all’ultimo sangue, fino alla completa distruzione del nemico. Venne importata nelle Americhe dagli spagnoli e adottata dagli eserciti di liberazione che in Sudamerica lottarono per l’indipendenza. Simon Bolivar la fece durante le battaglie di Junin e Ayacucho. Una leggenda vuole che durante l’attacco finale ad Alamo il generale Santa Ana la fece suonare ad oltranza durante l’attacco. Dimitri Tiomkin lo aveva riarrangiato per il film di Hawks Un dollaro d’onore con John Wayne e Dean Martin. All’epoca si tendeva in fase di montaggio quando le musiche originali non erano state composte ad utilizzare un brano già esistente.

Morricone al brano che venne dato il titolo di Per un pugno di dollari diventando il tema principale del film confessò a Sergio Leone di avere usato una melodia già scritta in precedenza e da quel momento Sergio Leone volle sentire tutti gli scarti di Morricone in modo da poterne utilizzare qualcuno in futuro.

Il brano dei titoli di testa è wind and fire, la ragione fu che nel 1962 Morricone scrisse per la RCA l’arrangiamento di Pastures of Plenty di Woody Guthrie eseguita da Peter Tevis, un interprete californiano conosciuto in Italia. Per realizzare l’arrangiamento Morricone pensò al contatto dell’ascoltatore con le campagne lontane che Guthrie descriveva inserendo il timbro della frusta e del fischio, le campane invece descrivevano l’uomo di campagna che desidera andare in città per fuggire alla quotidianità della campagna. Ciò trascendeva la melodia della canzone quando il coro nel finale richiamava la frase We come with the dust and we’re gone with the wind. Morricone fece ascoltare il brano a Sergio Leone spiegandogli il concetto, leone accettò l’idea insistendo a conservare anche gli interventi del coro. Morricone prese la base scrivendoci sopra la melodia che sarebbe stata fischiata da Alessandro Alessandroni e poi eseguita dal chitarrista Bruno Battisti D’Amario.

Morricone decise in seguito di conservare anche il ponte del coro cambiando le parole da with the wind a wind and fire. Tornando al fischio che è sicuramente il più primitivo ed intimo si voleva rappresentare un mondo dove la vita non vale niente e fischiettare la notte vicino al fuoco era l’unico modo per affrontare la solitudine e la paura con fierezza e spavalderia. Il fischio di Alessandroni si rivelò una soluzione vincente tanto che Sergio Leone volle far iniziare Per qualche dollaro in più nel 1965 con lo stesso brano di apertura del film precedente. Leone si era intestardito ma Morricone lo convinse a creare qualcosa che riprendeva le atmosfere del film precedente migliorandole e variandole leggermente. La melodia di Alessandroni con il fischio fu ripresa dalla chitarra elettrica di D’Amario con un timbro molto alto che ricorda le sonorità degli Shadows.

Morricone non ne aveva mai sentito parlare di quel gruppo, cominciò ad utilizzare la chitarra elettrica negli arrangiamenti e successivamente nel film documentario di Paolo Cavara I Malamondo del 1964. A quei tempi il basso elettrico ancora non esisteva e al suo posto si utilizzava una chitarra bassa a quattro corde che utilizzò anche Morricone, quando uscì il film Per un pugno di dollari tutti pensarono a un’invenzione ma si trattava di una chitarra elettrica che da anni utilizzava Ennio Morricone non come strumento solista, il timbro duro e tagliente fu perfetto per l’atmosfera del film.

Al critico Christopher Frayling, che Alessandroni dichiarò di essere intimorito da Sergio Leone il quale dopo una pacca sulla spalla gli diceva “Allora, oggi devi fischiare meglio che puoi, capito?”.

Ennio Morricone

Nonostante le musiche di Per un pugno di dollari fecero ottenere a Morricone il primo Nastro d’Argento grazie al quale raggiunse il primo posto nella classifica italiana di incassi per le colonne sonore quell’anno, Morricone ritenne quelle musiche tra le peggiori scritte per il cinema. Quando l’anno successivo rivide con Leone il film al Cinema Quirinale ancora in prima visione a fine spettacolo esclamarono all’unisono “Che brutto film!”.

Attraverso la musica si poteva scavare nella psiche dei protagonisti, Morricone e Leone leggevano insieme la sceneggiatura, ne discutevano mettendosi d’accordo sui dettagli prima delle riprese tanto che successivamente lavorarono sempre così.

Nel rapporto tra musiche e personaggi, vi è poi la figura dell’Indio che viene trasposta musicalmente in modo originale con il suono del carillon di un orologio che si è procurato dopo aver ucciso un tale al quale ha violentato la moglie. 

Il carillon è una relazione tra la morte e l’Indio e si intreccia lungo tutto il film con le sonorità degli altri personaggi dando vita a una drammaturgia simbolico musicale.

L’oggetto presente in scena doveva essere collegato a un concetto che andasse oltre le immagini intrecciando il materiale, il simbolico e il musicale.

Per l’orologio da taschino Morricone adottò delle soluzioni diverse nel corso del film: una celesta sospesa fra archi leggeri e la cassa della chitarra acustica rivolta e usata come percussione in La resa dei conti dei campanellini soli e modulati nelle scene da cui proviene il suono direttamente dall’orologio e dai ricordi dell’Indio. Come il carillon rotto che torna dal passato, il tema basato sulla contrapposizione di due linee  si lega sia alla follia dell’Indio e alla sua identità che all’orologio di Mortimer, al suo destino e alla sua vendetta tornando in continuazione nel film.

Queste linee creano un incastro come se il tempo fosse ossidato come se inciampasse in qualcosa che non lo lascia fluire.

Si opporrà all’organo che esegue l’incipit della Toccata e fuga in Re minore di Bach nella scena della chiesa sconsacrata.

La scena de La Resa dei conti secondo alcuni critici è il primo esempio di transizione di livelli realizzato fra Morricone e Leone. La musica parte dall’interno della scena come suono d’ambiente reale da cui progressivamente esce diventando un commento esterno creando un grande effetto nella suspense. Si trattò di un passo avanti decisivo tra Morricone e Leone. 

Sono accordalità di archi dilatate e distese riprese in C’era una volta il West del 68 e in Giù la testa del 71. Questi accordi erano contrapposti agli elementi primitivi dei tre protagonisti, dando loro una misticità sacrale come se il tempo dissolvesse.

La storia dilagherà maggiormente nell’intenzione dell’uomo contrapposta al tema principale con chitarra elettrica metallica che intona l’arpeggio con le due quinte che fa scorrere l’azione dando dinamicità alla trama come se fosse una fuga o una rincorsa a cavallo.

La ritmica degli archi incalzante ricorda il galoppo. Morricone si era ispirato all’opera di Monteverdi Il combattimento di Tancredi e Clorinda in cui la chitarra sola suona sulla prima, sulla seconda e sulla terza triade di La minore.

Nel terzo film della Trilogia Morricone aveva bisogno di un timbro ribattuto e percussivo che scandisse la cellula ritmica sottostante la melodia. Nel tema L’estasi dell’oro non c’è solo la voce di Edda Dell’Orso ma anche una chitarra elettrica distorta che emette un grido lancinante. Morricone sulla partitura scrisse “chitarra elettrica distorta” e due note: Do e Si. In questo modo D’Amario poteva oscillare con dei quarti di tono tra quelle due note, oltre a questo vi aggiunse anche altri suoni sintetizzati. 

Queste invenzioni restituirono moltissimo, a questi suoni poi si unirono strumenti elettrici, il Sinket, l’organo Hammond e il Rhodes già utilizzati in passato.

Fare le musiche per Il buono, il brutto, il cattivo fu anche ricerca per la scelta degli strumenti, dei timbri e dell’idea melodica.

Spesso le idee musicali di Morricone comprendono timbri con cui una frase melodica viene realizzata e per far questo occorre pensare al musicista adatto e molto Morricone lo deve anche ai musicisti con cui ha lavorato.

Per i suoi film Leone chiedeva musiche con temi facilmente orecchiabili e cantabili dalla gente, non amava le complicazioni. Era Leone a selezionarle dopo averle ascoltate mentre Morricone le eseguiva al pianoforte in versione semplificata. Per Morricone le note non si legavano al singolo strumento ma vi inseriva anche strumenti insoliti cercando l’autocelebrazione timbrica.

La forza del sodalizio tra Leone e Morricone stava nel fatto che uno provocava l’occhio e l’altro l’orecchio del pubblico facendo si che il terzo film della Trilogia fosse un passo avanti che non poté che migliorare. Il buono, il brutto, il cattivo essendo uno dei film più lunghi dei precedenti per la musica richiese di più e Morricone non scrisse solo i titoli e il finale ma anche alcuni brani che accompagnavano le transizioni e le sequenze di passaggio come il deserto. Nel cinema di Sergio si aspettavano 20 minuti e poi tutta la scena si risolveva in un secondo. La scena finale che Sergio Leone chiamò “Il Triello” Sergio Leone riprese il tema dell’orologio del film precedente con un suono simile a quello del carillon.

Il successo dei brani di Morricone ha coinvolto un pubblico di tutte le generazioni e di tutte le classi sociali, ciò è dovuto alla sonorità che è ricercata soprattutto dai gruppi rock e alla cantabilità delle linee melodiche e all’armonia fatta di successioni di accordi molto semplici. I film di Sergio Leone sono adatti a tutte le generazioni proprio perché era un registro innovativo che lasciava spazio e tempo alla musica.

Alberto Moravia scrisse sull’Espresso “Il film western italiano è nato non già da un ricordo ancestrale bensì dal bovarismo piccolo borghese dei registi che da ragazzi si erano appassionati al western americano. In altri termini il western di Hollywood nasce da un mito: quello italiano dal mito del mito, il mito del mito: siamo già nel pastiche, nella maniera” . 

In realtà c’è western e western, quelli di Sergio Leone non erano dei semplici western ed è per questo che il pubblico al contrario della critica li premiò con la partecipazione riempiendo le sale. 

Nel clima della contestazione generale del 1968 C’era una volta il West condensa diversi corto circuiti. Alla prima romana di Il buono, il brutto, il cattivo; Leone lo vide e lo riconobbe e fissò un incontro per il giorno dopo al suo studio per parlare del film.

Sergio Leone aveva isolato i suoni della realtà facendoli ascoltare con le immagini che ne svelavano la provenienza. La cosa durava un attimo e subito andava al dettaglio successivo producendo un suono nuovo e quello precedente continuava nel sottofondo.

L’armonica entra in scena dopo dieci minuti presentando il personaggio che la suona “E Frank?”, “Frank non è venuto”, uno sparo e poi torna il silenzio, sonorizzato per dieci minuti prima dell’arrivo di Frank accompagnato dal tema musicale.

La chitarra elettrica distorta arriva come una lama che ferisce le orecchie, come la scena del ragazzino con i capelli rossi che dopo aver sentito gli spari esce di corsa dalla casa e vede la sua famiglia sterminata da cinque banditi prima di essere ucciso anche lui. In quel momento vediamo il volto di Frank che ha il volto di Henry Fonda in cui si rovescia un altro cliché. La chitarra che suona il tema di Frank è sconvolgente, pensiamo che in quegli anni in radio e in televisione in Italia era stata censurata la canzone I Can’t Get No Satisfaction dei Rolling Stones per il riff demoniaco distorto di Keith Richards.

Il cinema di Sergio Leone aveva valenze non univoche, Leone crea l’attesa. L’armonica utilizzata da Charles Bronson, un attore che all’epoca in America era un attore molto gettonato era nella sceneggiatura ma diventò il vero protagonista del film proprio come lo era stato l’orologio in Per un pugno di dollari. 

L’armonica come l’orologio sono strumenti utilizzati dai protagonisti ma che diventano simboli della vendetta. Durante il film piano piano si comporranno i frammenti del flashback che apparirà solo nel finale del film in cui c’è la scena di un ragazzino obbligato a tenere sulle spalle il fratello maggiore a cui è stato messo un cappio al collo e l’armonica a bocca. A un certo punto Frank mette l’armonica nella bocca del ragazzino che vi respira dentro affannosamente procedendo per semitoni.

Il tema dell’armonica doveva avere più valenze: un attrito   e doveva risultare suonabile anche senza mani e poi infine doveva essere incastonato in altri contesti.

Morricone si basò su tre suoni soli a distanza di semitono uno dall’altro , in sala registrazione Morricone assieme al musicista Franco De Gemini registrarono prima l’orchestra in diretta e poi in seguito incisero l’armonica. Morricone dava gli attacchi a De Gemini suggerendogli quando si doveva cambiare suono. Anche se non vi era un risultato esatto la tensione generata dall’esecuzione faceva fluttuare l’armonica sull’orchestra. 

Il tema dell’Armonica e quello di Frank si nutrivano l’uno con l’altro tanto che nel brano L’uomo dell’armonica i due temi si sovrappongono. Siamo di fronte a un contrasto timbrico e di intenzioni necessario.

Leone lavorò a C’era una volta il West come se fosse l’ultimo film e questo lo si avverte nella malinconia rappresentata dall’arrivo del treno. Alla durezza di Frank e di armonica si contrappone un languore diffuso e struggente che avvolge tutto in cui violenza, vendetta e malinconia si fondono. Rispetto ai film della Trilogia del dollaro vi è una morbidità e una stanchezza nelle musiche. Non abbiamo trombe, incudini, suoni di animali ma archi molto più distesi che dilatano il tempo, lo stesso avviene per la voce di Edda Dell’Orso che rappresenta il tema di Jill, il fischio di Alessandroni che è presente nelle musiche è un suono più rilassato e stanco. Per i temi di Jill e di Cheyenne Morricone pensò a un esercizio di seste, tre seste in otto battute.

Il tema di Jill venne in mente a Morricone durante un incontro che ebbe con Claudia Cardinale quando si recò la prima volta in un set di Sergio Leone. Per Addio a Cheyenne il tema musicale nacque in studio improvvisandola al pianoforte dopo che Sergio fece notare a Morricone che Cheyenne non aveva un tema musicale. Morricone lavorò alla melodia dandole uno spirito buffo e zoppicante. Il banjo era suonato da De Angelis in cui si legavano il tema a due mani con il folk americano, il pianoforte leggermente stonato del saloon e il fischio disincantato di Alessandroni.

Il personaggio di Jill rappresenta la nuova America, o almeno così la vedeva Leone, una personalità individualista che vuole salvarsi la pelle e mettere le mani sui soldi. Pensiamo al canto di Edda Dell’Orso che ricorda quello di una sirena in L’estasi dell’oro che per Leone rappresenta l’America, affascinante, ambiziosa come Jill che è allo stesso tempo prostituta, madre, amante che oscilla tra la bellezza rassicurante e il sogno.

La voce straordinaria di Edda Dell’Orso lo convinse ad utilizzare anche la voce nei film western: da binario si passa al ternario su una melodia modulante che rilancia sé stessa per dare senso di una rincorsa accesa. I flashback sulla giovinezza di John Sean Mallory erano riempiti dalla musica che si sostituiva ai dialoghi. I temi entravano e uscivano dal film come meta – personaggi come se gli stessi personaggi potessero sia comunicare che ascoltare la musica. Grazie al controllo armonico e contrappuntistico le sezioni si potevano sovrapporre ogni volta in modo diverso in un contesto paratonale e la partitura diventava un potenziale progettuale. Dopo la morte di Sergio Leone: “Dopo tanta cura e minuzia per il suono nei suoi film, oggi c’è solo un profondo silenzio”.

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Giovanni Di Silvestre

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