Il caso (di P. Isotta). La storia dello scempio del teatro San Carlo di Napoli

Una rara illustrazione, custodita alla Quadreria del Museo della Certosa di San Martino a Napoli, che mostra i colori originali del teatro San Carlo

Il 13 maggio è apparso sul “Fatto Quotidiano” un articolo di Tomaso Montanari. Egli ha ricostruito la vicenda che ha portato alla condanna di 400.000 euro per danno erariale, da parte della Corte dei Conti, a carico di Marcello Fiori. Costui fu Commissario straordinario degli Scavi archeologici di Pompei, e proveniva dalla variopinta fauna berlusconiana, alla quale tuttora appartiene. Montanari documenta con grande scrupolo lo scempio di cemento perpetrato su di un monumento d’importanza impareggiabile, che ne ha distrutto l’aspetto, l’acustica, la funzione. Tutto, come la sentenza ben commenta, per la folle idea della “valorizzazione economica” di un bene che è anzitutto spirituale.

Montanari ricorda anche che il direttore d’orchestra Riccardo Muti, benché scongiurato da molti uomini di cultura di non avallare con la sua autorità un siffatto crimine, non si peritò d’inaugurare con un concerto sinfonico il “nuovo” teatro. Erano gli anni nei quali il padrone assoluto del Ministero dei Beni Culturali era Salvo Nastasi, pur egli di provenienza berlusconiana in quanto, inizialmente, protetto di Gianni Letta. Dopo gravitò nell’area dei “duri e puri” renziani. Poi lo scrittore adduce altri esempi di distruzione, sempre basata sull’assunto giustificativo dell’ “economia”, di monumenti d’arte del nostro paese.

A conforto desidero ricordare il più grave di tutti. Egli non lo menziona: sono certo perché si aspettava che ne parlassi io. Il Nastasi, allora direttore generale e capo di gabinetto del Ministero, nominò se stesso quale Commissario al Teatro San Carlo dal 2017 al 2011. (È difficile trovare una Fondazione lirica della quale non sia stato, prima o dopo, Commissario). In tal veste effettuò lavori di cosiddetto restauro, che hanno totalmente stravolto la struttura dell’edificio.

Costruito nel 1737, il San Carlo ebbe la fortuna d’essere distrutto da un incendio la notte del 22 febbraio 1816. Dico la fortuna perché scenografo allora era uno dei più grandi architetti neoclassici, Antonio Niccolini, al quale si debbono importanti edifici della seconda parte del regno di Ferdinando IV-I, a cominciare dalla Villa Floridiana. Il 12 gennaio 1817 la nuova sala venne inaugurata. Era diventato il più bel teatro del mondo, dall’acustica migliore del mondo (il Niccolini aveva adottato procedimenti scientifici già dei teatri greci e latini, letti in Vitruvio e Leon Battista Alberti), e dai meravigliosi colori azzurro e argento. Tali rimasero fino alla metà degli anni Cinquanta del secolo, quando si adottò il più volgare rosso e oro.

All’inizio dei lavori una serie di uomini di cultura napoletani (ultimo dei quali io) chiese al Nastasi il ripristino dei colori autentici. Per lui era lo stesso: doveva rifare da capo la tappezzeria. Chiedemmo al m° Riccardo Muti di associarsi alla richiesta, ma non rispose.  Per mera protervia, ossia per dimostrare di poter comandare a capriccio, da vero boss, Nastasi non ascoltò nessuno. Ma nel frattempo, fece una cosa spaventosa. Minò le basi del palcoscenico, ch’era una camera acustica; vi mise del cemento; e costruì un orrendo bar semisotterraneo affidato a una pasticceria napoletana. L’archivio del teatro, d’importanza incalcolabile, si è dovuto spostare: ora giace ammucchiato in un container nella periferia orientale della città, e non può nemmeno essere aperto. Anche allora, quando parve chiaro il progetto di distruzione, uomini di cultura non solo napoletani intervennero pubblicamente affinché il esso venisse fermato. Chiesi al maestro Muti d’interporre la sua autorità. Per tutta risposta egli venne sul cantiere e si fece fotografare con l’elmetto giallo in testa a fianco di Nastasi, che ne fece delle gigantografie. Poi inaugurò egli stesso la sala e dichiarò in un’intervista al “Mattino” che l’acustica non era affatto cambiata. Al San Carlo torna adesso in compagnia della figlia, alla quale vengono affidare regie liriche da parte del teatro.

  Perché Muti ha fatto tutto questo? Non so rispondere. Posso indicare una circostanza, senza sostenere che esista un nesso causale fra di essa e il suo comportamento. All’epoca Nastasi gestiva anche tutto il sistema delle sovvenzioni del mondo dello spettacolo; la moglie di Muti presiede a sua volta un ridicolo festival a Ravenna, riccamente locupletato dal Ministero. La famiglia Muti è ampia.

Nonostante tutte le denunce (allora io ero critico musicale del “Corriere della Sera” e ne feci una battaglia …), nessuno è intervenuto. Se ne parla a bassa voce. Tutti convengono sul fatto, ma pochi lo dichiarano in pubblico.  Il San Carlo giace così: per riparare ai danni dovrebbe star chiuso per anni e occorrerebbe una somma che non so nemmeno calcolare. Muti vivacchia a Chicago e fa i soliti concerti in Europa. Nastasi è vicepresidente della Siae, avendo perduto sia il posto di vicesegretario generale di Palazzo Chigi, sia di Commissario a Bagnoli: e su questo occorre un discorso a parte. Ma i soprintendenti di tutte le Fondazioni liriche, tutti nominati da lui salvo che alla Scala, sono ancora ai loro posti e continuano a ubbidirgli.

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*Da Il Fatto Quotidiano del 25.5.2019

Paolo Isotta*

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