Finendo di leggere “Mezzaluna sciita” (Edizioni Gog), ultima opera di Sebastiano Caputo, uno dei rischi è quello di mollare tutto, licenziarsi e partire all’avventura, ma forse è meglio non agire d’istinto. È la stessa narrazione a suggerire prudenza, soprattutto quando l’autore narra episodi dove il sangue freddo gli è valsa la testa sul collo. Il libro si presenta come una serie di appunti raccolti nei viaggi che Caputo ha compiuto negli ultimi anni fra le terre di Siria, Libano, Iran e Iraq, una regione sconvolta da anni di guerre ma che sta tornando ad essere protagonista nello scacchiere geopolitico internazionale anche grazie al forte spirito identitario dei suoi popoli. Gli sciiti, infatti, sono gente fortemente legata alla propria terra e questa loro caratteristica li ha portati ad essere fra i più determinati combattenti contro il fondamentalismo islamico. Non è un caso che nella recente guerra in Siria il tributo di sangue di hezbollah libanesi e pasdaran iraniani è stato fortissimo. Ma quando si parla di Medioriente si devono per forza ricordare i cristiani che vivono queste terre, in particolare in Siria, culla del cristianesimo dove ancora si parla la lingua di Gesù. La realtà dei cristiani siriani è diventata molto problematica negli ultimi anni ma è davvero interessante il rapporto narrato nel libro fra i seguaci del Cristo e le popolazioni sciite, in particolare con gli hezbollah.
Il racconto di Caputo è molto coinvolgente, con uno stile semplice ma incisivo riesce a portarti quasi per mano a scoprire queste terre lontane del Medioriente ed a farti vivere le sue esperienze in prima persona. «Si Abu Ali, in Italia faccio il giornalista ma qui vengo come un viaggiatore alla scoperta del vostro universo interiore ed esteriore», risponde l’autore ospite prima di partire per il pellegrinaggio di Arbaeen, il maggiore pellegrinaggio del mondo sciita, anche più importante di quello verso La Mecca. Questo pellegrinaggio sarà una delle esperienze più intense vissute e raccontate dal nostro protagonista che ha voluto calarsi pienamente nella realtà sciita e della sua teologia chiamata anche del duodecimano.