Cultura. L’attualità dell’ opera poetica patriottica dello scrittore Robert Brasillach

Il poeta fascista Robert Brasillach in abito scuro al centro della foto
Il poeta fascista Robert Brasillach in abito scuro al centro della foto

Molta poesia per tutti, cioè, Aldo Nove pubblica un libro di versi sul destino drammatico di Mia Martini ( Mi chiamo… ed. Skira, pp. 124) e il suo prodotto gira nelle librerie italiane; Vivian Lamarque, sulla stampa nazionale,  ricorda la bellezza  delle elegie veneziane di Andrea Longega  (Caterina,  ed. L’Obliquo, pp. 53); Valerio Magrelli  assembla  un racconto lirico di frammenti di scrittura, di prosa aneddotiche  e  versi (Geologia  di un  padre, ed. Einaudi, pp. 141).

Ecco, squilli originali di poesia,  mentre il caos estivo moltiplica  le  notti bianche  dedicate all’arte della parola e  la  dea delle arti  continua ad essere  confusa e  felice.

Il tema  non  è il successo effimero delle esperienze del ‘fare poesia’.  Se i  reading  in pubblico sono  diffusissimi,  tuttavia le voci che emergono restano segnate dall’ipertrofia del consueto io  lirico.  C’è uno  tzunami  di  individualismo creativo  di massa che grida,  anche nelle ‘piazze del web’, senza portare alcuna  chiarezza nel dibattito sulle sorti della poesia.

Nelle discussioni sulla dimensione lirica, però,  le  tematiche, da  promuovere  davvero,  dovrebbero essere  quelle dedicate  all’ originalità/oggettività/eticità dei contenuti  per poter  cantare  la contemporaneità .

 

Chi opera nell’università, nelle scuole, nell’editoria ha la sensazione di aver perso la  bussola critica.  Sarà a causa della  iper-produzione letteraria; sarà a causa degli studiosi che hanno ceduto alle ragioni del mercato,  promuovendo poeti non considerevoli di  nessuna attenzione.   Chi opera  in questi ambiti, desidera quasi non pronunciarsi più sul poeta  X  o sulla quella nuova raccolta Y.   In ogni modo   i critici e gli studiosi  restano sì  in silenzio  ma  alla ricerca di qualche  ‘prova’ per dimostrare che l’esperienza  lirica  non vuole morire;  al contrario,  essa invoca  scrittori in versi  disposti  a produrre  testi critici e razionali: testi dedicati alla contemporaneità, la quale, se raccontata,  non può  prescindere dalle condizioni della crisi  in corso nella comunità nazionale.

 

L’idea e l’esperienza  della crisi – come  fu  l’idea e l’esperienza della guerra  per  il ventesimo secolo –  potrebbe rappresentare un  punto centrale di discussione  per il  ‘fare poesia’.  La crisi  sociale attuale  crea  l’occasione per generare  scritture in versi  a cui legarsi, a cui chiedere  pensieri,  per non andare verso il baratro, senza una reazione intellettuale.

La poesia con  la  crisi,   ed  è questo è il  sintagma essenziale  da considerare.  Nel novecento, in Italia,  da Pietro Jahier  sino a Salvatore Quasimodo,  tantissimi scrissero tenendo  di continuo presente un altro sintagma, ovvero  la poesia con  la guerra.

“La guerra  richiama con violenza  un ordine inedito nel pensiero dell’ uomo, un possesso maggiore della  verità. ”  (S. Quasimodo,  Discorso  sulla poesia, 1956).

Travolto dalla  crisi  degli odierni sistemi socio-culturali,   l’intellettuale  appare  forse  come il  giovane del 1940  travolto  dallo scontro tra  Democrazie  e Stati totalitari?   L’intellettuale, nel nostro tempo, sembra un giovane travolto dalle cose che cambiano repentinamente e si scontrano,  creando “ un ordine inedito nel pensiero dell’uomo.”

Perciò,  nostra  Signora fanatica spettatrice,  la poesia,  dovrebbe   far venire fuori  ‘nuovi ordini  artistici’   dalla  vulva  enorme della crisi contemporanea, e non il solito lirismo post-ermetico da  sfiatatoio sentimentale.

Ora,  per rivivere il destino della   poesia in un periodo sociale di  disfacimento, l’opera di Robert Brasillach  si fa attualissima.  La sua è  un’ opera poetica  che racconta di un trentenne consapevole  del   suo mondo atrocemente  mutato;  che narra in versi gli  inganni  dei sistemi politici; che, con purezza lirica,  prova su se stesso la precarietà della gioventù.  Per tutto questo,  Brasillach  scrive  la  celebre poesia  dedicata  alla patria,   Il mio paese mi fa male.

L’esemplarità tematica  del testo di  Brasillach  alimenta  la  speranza di  ‘fare poesia’,  senza vergognarsi,  per uscire dal caos di una letteratura priva di  memoria storica  o di senso comunitario.  L’arte nasce  dalla resistenza di coloro i quali, con il  proprio linguaggio,  scoprono la coscienza del tempo o  la  bellezza di appartenere ad un’ età.

Leggiamo allora  Robert Brasillach,

 Il mio paese mi fa male per le sue vie affollate,
Per i suoi ragazzi gettati sotto gli artigli delle aquile insanguinate,
Per i suoi soldati combattenti in vane sconfitte
E per il cielo di giugno sotto il sole bruciante.
Il mio paese mi fa male in questi empi anni,
Per i giuramenti non mantenuti,
Per il suo abbandono e per il destino,
E per il grave fardello che grava i suoi passi.
(…)
Il mio paese mi fa male con tutta la sua giovinezza
Sotto bandiere straniere, gettata ai quattro venti,
Perdendo il suo giovane sangue in rispetto al giuramento
Tradito da coloro che lo avevano fatto.
(…)
Il mio paese mi fa male per la sua falsità di schiavi,
Con i suoi carnefici di ieri e con quelli di oggi
Mi fa male col sangue che scorre,
Il mio paese mi fa male. Quando riuscità a guarire?
( da  Le poemes  de Fresnes )

Con questi versi  si ha  coscienza di voler cercare  linguaggi poetici che siano in dissenso  con  le produzioni letterarie sfornite di tensioni etico-politiche;  si ha  coscienza di voler tornare a scrivere versi lontani da ogni vuoto sperimentalismo artistico;  si ha coscienza di voler creare  opere  liriche  oneste  o di  dover  tornare a scriver  e  cantar  per la  giustizia  umana.

Renato de Robertis

Renato de Robertis su Barbadillo.it

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