L’intervista (di A. Di Mauro). Sylos Labini: “Liberare la cultura dalle strumentalizzazioni politiche”

Quando la polis rinascimentale – fondata su una concezione tradizionale del mondo in cui ogni cosa trova un senso e una collocazione – è diventata prima metropoli e poi megalopoli multirazziale, senza più un nucleo identitario, la frammentazione di senso ha finito per erodere anche l’arte e la cultura.

Del resto un mondo globalizzato, nel quale ogni certezza si dirada e regnano sovrani solo l’instabilità e il dubbio, non può concepire il Partenone. Già l’inizio del secolo scorso si è aperto con una serie di teorie che hanno contribuito a far assumere dimensioni abissali alla voragine del nichilismo: la relatività di Einstein, l’inconscio freudiano, il principio di indeterminazione di Heisenberg, solo per citarne alcune, hanno gettato le premesse per la frantumazione di ogni antico ancoraggio e della nostra stessa realtà.

In questo scenario post-moderno e post-umano, in cui l’uomo – privato di ogni riferimento mitico, religioso e ideologico – vaga da solo tra le macerie senza più contezza di sé, c’è chi intende ripartire proprio da quell’identità perduta, proponendo un parallelismo che di questi tempi suona come una specie di eresia: Cultura-Identità, appunto. Questa è la formula controcorrente, e anche il nome, che l’attore ed editore Edoardo Sylos Labini ha scelto per la propria associazione culturale.

Un laboratorio d’idee che dall’inizio di quest’anno è diventato anche un magazine, distribuito nelle edicole di tutta Italia il primo venerdì di ogni mesi con il quotidiano Il Giornale.

 

Allora, Sylos Labini, la cultura passa dal recupero dell’identità negata dai diktat della globalizzazione?

Iniziamo col dire che il nostro Paese ha vissuto trent’anni sull’Io. La classe dirigente che abbiamo adesso è cresciuta con quel dogma che non contempla più i partiti, distrutti da un disegno politico ben preciso chiamato Tangentopoli. Un processo di demonizzazione delle ideologie che viaggiando sulle ali della globalizzazione ha contagiato il mondo intero. Il macro ha finito per soppiantare ovunque il micro, nel nome di una strategia di omologiazione non tollerabile. Del resto la globalizzazione impone un pensiero unico, mentre la bellezza sta nella diversità. Conservare la diversità, non è chiusura e razzismo come il mainstream vuole farci credere. È esattamente il contrario. È proprio nella difesa della propria identità che c’è amore e apertura nei confronti del prossimo. Se siamo tutti uguali, se i nostri figli fanno gli stessi giochi dei figli di un giapponese e dei figli di un australiano, il mondo – meraviglioso proprio per la sua eterogeneità – è destinato a dissolversi. È per questo che a un certo punto lo spirito di un popolo dice basta. Cultura-identità non sta facendo altro che dare voce a questo popolo che si è stancato.

 

Un popolo che la sinistra sembra aver abbandonato…

Il problema della sinistra è che ha sempre guardato al popolo attraverso il filtro di un’ideologia egualitaria che a noi non piace per niente. Per noi il popolo è inteso nella sua eterogeneità. C’è il ricco, c’è il povero, c’è la media borghesia, ci sono tutti. Come nelle trincee della Prima Guerra Mondiale dove, per la prima volta, s’è incontrata l’Italia senza distinzione di classi sociali. Si sono incontrati i dialetti e si èè acquisita la coscienza di essere tutti figli del Paese più bello del mondo. Un Paese che va difeso.

 

Eppure concetti come identità, populismo e sovranismo, per certa intellighenzia, continuano a essere evocativi di pulsioni pericolose e antidemocratiche…

È un classico. Questi signori, spesso in malafede – ricordiamoci che dietro la globalizzazione si muovono enormi interessi economico-finanziari – sono soliti riempirsi la bocca con la parola democrazia, quando poi la visione di mondo che cercano di imporre con ogni mezzo a livello planetario, di democratico non ha assolutamente niente. La democrazia nasce proprio per armonizzare, e dunque tenere vive, tante realtà diverse. Al contrario della globalizzazione e del pensiero unico che invece, livellando, annientano.

 

Spesso, anche su queste pagine, si è detto che il peccato capitale della destra italiana sia sempre stato la scarsa considerazione per queste fondamentali battaglie culturali. Sei dello stesso avviso?

È innegabile che dal dopoguerra in poi le cose siano andate in questo modo. L’unico partito che ha mostrato un po’ di attenzione e sensibilità per i temi culturali è stato il Movimento Sociale, mentre per il resto si è lasciato che fosse la sinistra ad avere il monopolio della cultura.

Il mondo berlusconiano – per essendo Berlusconi il più grande editore culturale degli ultimi quarant’anni – è sempre stato orientato alle logiche del profitto. Il grande impegno del Cav sul terreno culturale ha avuto, e ha tutt’ora, come unico obiettivo quello di fatturare il più possibile, senza alcuna strategia di carattere politico-culturale.

È per questo che spesso abbiamo assistito al paradosso di vedere i nemici più acerrimi di Berlusconi lavorare nelle sue stesse aziende. Così, l’intellettuale di destra, l’artista di destra, non hanno avuto negli ultimi quarant’anni alcun punto di riferimento.

 

Qualcosa però, in questo senso, sembra che stia cambiando…

Concordo. Tanto per fare un esempio abbiamo in Commissione Cultura alla Camera il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone che si sta impegnando molto con un grande lavoro di sensibilizzazione in questo settore. Alla fine di febbraio, tanto per dirne una, ha ricordato in Aula i 110 anni del manifesto futurista. Parliamo della prima Avanguardia artistica internazionale del Novecento nata in Italia e celebrata in tutto il mondo, ma che da noi non ha nemmeno un museo fisso e una esposizione permanente.

 

Colpa della damnatio memoriae per tutto ciò che è stato legato al fascismo?

Sicuramente. Cultura-identità nasce anche per questo: per liberare la cultura dalle strumentalizzazioni della politica e per impedire a quest’ultima di occupare questo settore come ha fatto militarmente la sinistra dal dopoguerra a oggi, impossessandosi di tutte le postazioni di potere del settore.

 

Molto triste se si considera che lo spazio dell’arte e della cultura dovrebbe coincidere con quello della libertà assoluta…

Oltre che triste direi devastante. Non è un caso se ci ritroviamo un Paese così inaridito culturalmente al punto che oggi queste lobby della cultura di sinistra debbono ridursi a fare la ola per la vittoria di Mahmood al Festival di Sanremo.

 

La politica, insomma, piuttosto che strumentalizzare la produzione culturale dovrebbe iniziare a promuoverla per bene. In fondo per il nostro Paese sarebbe anche una grande opportunità economica…

Parliamo per la precisione di più di 90 miliardi di Pil. Senza considerare l’effetto moltiplicatore che il settore ha sugli altri comparti dell’Economia. Creatività, cultura e turismo, in Italia, producono imsieme 250 miliardi di prodotto interno in un anno, il 16,7%. E tutto questo senza una strategia precisa del nostro governo.

In sintesi dovremmo vivere di questo. Lo si dice sempre ma non lo si fa mai.

 

Cultura-Identità ha delle idee in merito? Una strategia da segnalare alle Istituzioni?

Noi, un anno fa, dal palco del teatro Manzoni di Milano abbiamo lanciato il manifesto “Idee che diventano azioni” con delle proposte concrete. Due temi su tutti: detassare il settore culturale ed educare alla bellezza. Insegnare, cioé, le materie artistiche fin dalle scuole primarie.

Nel Paese che da sempre è la culla dell’arte e della bellezza nel mondo ci sembra un punto di partenza davvero ineludibile.

*Da Il Candido di marzo 2019

Alessio Di Mauro*

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