Cultura (di P. Isotta). Il pagano Natale napoletano, parte seconda: Pulcinella e la Cantata dei Pastori

Il mio articolo sul solstizio d’inverno e sulla rinascita del Sole trattava dell’origine della festa del Natale come frutto di un sincretismo fra il profetismo ebraico e il culto del Sole Invitto, la festa del quale l’imperatore Aureliano aveva fissato il 25 dicembre. Un dio che riassume e simboleggia l’intero pantheon. Fusione creata dalla genialità del cattolicesimo. L’articolo si chiudeva con l’auspicio di affrontare il tema del Natale napoletano, visto che una delle sue celebrazioni vede in scena un’incarnazione di Pulcinella chiamata Sarchiapone.

Pulcinella è una maschera così arcaica da avere origini preindoeuropee. Deriva da un totem animale, il pulcino: i suoi caratteri sono la perpetua fame, l’ambiguità sessuale e l’estrema scurrilità. Nella Roma arcaica, come attesta, fra l’altro, Virgilio, culti agresti festivi contenevano rustici canti e danze e rappresentazioni comiche, con parti che a noi apparirebbero oscene. Maschere venivano attaccate ai rami degli alberi. Anche quella di Totò in parte ne sorge; e infatti uno dei suoi più strepitosi “numeri” è l’imitazione della gallina, madre del pulcino. Totò è antichissimo, viene dal Fescennino e dall’Atellana, da un lato, da Aristofane, dall’altro. Le farse della Roma antica, onde scaturisce poi la somma Commedia classica di Plauto e Terenzio, derivano da questi culti. Commedia e farse rinascono nel Medio Evo, e non in opposizione al cattolicesimo, dal suo seno. Le Sacre Rappresentazioni, sia per il Natale che per la Passione, contenevano parti comiche recitate sul sagrato, pur esse con battute licenziose, e canzoni e giuochi di prestigio. Il vocabolo giullare, poi trascorso a significare il folle che può permettersi di dire la verità, deriva appunto da joculator, quello che danzava, cantava ed eseguiva i giuochi in queste feste: in francese medioevale jongleur. Il pazzo che può infrangere il divieto della verità è a volte Pulcinella, a volte Sarchiapone, a volte Totò. Le sue più sublimi rappresentazioni tragiche sono il Folle del Re Lear di Shakespeare e il Ciampa del Berretto a sonagli di Pirandello.

Reincarnazione di Pulcinella è, ripeto, Sarchiapone. Il nome è mutuato dalla diavoleria comica; un’altra grande maschera italiana, Arlecchino, è l’adattamento addolcito di un diavolo in forma di gatto.  Sarchiapone, gobbo (come Pulcinella e come sarà il tragico buffone Rigoletto di Verdi), sciancato e allocco, dotato d’una crudeltà che ricorda le origini arcaicissime della maschera, partecipa alla Cantata dei Pastori. Questa Sacra Rappresentazione, del 1698, si deve al sacerdote palermitano divenuto napoletano Andrea Perrucci.  La Cantata è il più fortunato esempio di teatro gesuitico, quello principiato per le vie delle città, col fine di evangelizzare un popolo, e una plebe, rimasti fondamentalmente pagani. Il Verbo humanato tra l’Ombre (tale il titolo autentico) è il tema di tale teatro natalizio, colle peregrinazioni di Maria e Giuseppe alla ricerca di un ricovero per dar luce al Salvatore, e le potenze dell’Inferno che cercano d’impedire l’incarnazione, o almeno il parto, o almeno di disturbar quanto possibile tale parto. La coppia santa, l’Angelo che li accompagna, Lucifero e l’altro diavolo Asmodeo, si esprimono in pura favella tosca e stile aulico, pieno di latinismi.  La geniale trovata gesuitica consiste nel mescolare alla vicenda, per renderla attraente al genere di spettatori ai quali è diretta, due personaggi comici che, improvvisando sopra uno schema dato, parlano in napoletano pretto: maschere arieggianti la Commedia dell’Arte: Razzullo e Sarchiapone. Sono popolani napoletani catapultati nella Palestina di Augusto. E che Sarchiapone sia Pulcinella vediamo anche da ciò: come il suo compagno, la sua ossessione è la fame. Ho detto di Pulcinella, di Commedia dell’Arte: ma non solo. Colla loro continua e geniale fantasia verbale, fatta di equivoci lessicali, e vocaboli e verbi di nuovo conio, i due personaggi si palesano anche una reincarnazione aristofanesca e plautina.  Non del Plauto il quale, fantasia verbale a parte, mette nei Captivi in scena una certa borghesia della Roma repubblicana: il Plauto delle origini atellane e fescennine: e lo mostra anche il continuo ricorso, nei dialoghi dei due, a oscenità e coprolalia. Bisogna vedere questo capolavoro nell’interpretazione del grande Peppe Barra, il quale ogni anno lo riprende durante le feste.

L’invenzione verbale ricorda come la Cantata dei Pastori sia coeva del Pentamerone di Giovan Battista Basile, la più bella raccolta europea di favole, e, in certi “numeri”, lo arieggi non poco: per esempio, quello, delizioso della taverna della quale l’oste è uno dei diavoli. Perché, com’è ovvio, dello spettacolo fan parte anche diavoli buffi. Diavoli buffi lottano con Pulcinella negli spettacoli di marionette (detti guarrattelle), quei teatrini ambulanti che ancora c’erano all’epoca della mia infanzia. La plebe temeva il Demonio non in quanto incarnazione del principio metafisico del Male (il grande interrogativo teologico di Agostino di Ippona), ma come potenza in grado di arrecare danno alla vita quotidiana, di gettare su di essa la mala sorte. Ora, l’esorcizzare il Demonio, o i piccoli demonî attraverso il riso, è quanto di più pagano vi sia.

Addirittura La Cantata dei pastori riesce a esser paganamente blasfema. Razzullo e Sarchiapone hanno rubato un cestino di cibo, contenente le squisite polpette. Razzullo riesce a beffare il compare col giuoco del Paradiso e dell’Inferno. Ogni polpetta è di volta in volta un’anima santa o un’anima dannata: l’allocco deve indovinare quale sia la sua eterna destinazione, e ogni volta sbaglia. L’anima, santa o dannata, va in bocca a Razzullo. Ecco quel che occorre per far accettare il Verbo humanato. Non so se Andrea Perrucci fosse un grande evangelizzatore; certo aveva capito l’anima del popolo napoletano: e diciamo italiano; e la natura della sua religione. Noi italiani eravamo – quel che siamo, non so più – irreligiosi e insieme superstiziosi. Lo dicono Machiavelli e Leopardi. E questo non è un antidoto al fanatismo. Uno dei più grandi divertimenti popolari, da noi come in ogni dove, erano i roghi di eretici e streghe. Continuano nelle meno cruente loro trasformazioni attuali.

*Da Libero del 31.01.2019

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Paolo Isotta*

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