Western. “Stagecoach” apre un nuovo corso: all’assalto della diligenza

John Ford con Ombre rosse  firma il protocollo del western classico mentre con Sentieri selvaggi firma un bellissimo western moderno. Un film che nel 1939 fece epoca, oltre a essere il film più famoso del regista, è il primo film girato alla Monument Valley ed è stato il suo unico western premiato con il New York Film Critics Award. Nel 1939 i film western prodotti furono 123 e il film di Ford con John Wayne che fino ad allora era stato attore di punta della Monogram e poi della Republic, che erano case di produzione minori riuscì a superare la serie B solo per poco. All’epoca un film era di serie A solo quando superava i $ 400.000 di budget. Inizialmente il budget del film di Ford che venne affiancato nella produzione da Walter Wanger ammontava intorno ai $ 230.000, ma si arrivò infine ai $ 531.374, diventando nel 1939 uno dei nove film di serie A di quell’anno. I soldi non erano molti dato che il western non era tenuto in considerazione né dall’Accademy Award e nemmeno dalle case di produzione che negli anni precedenti avevano preferito puntare alla hillbillie comedy, commedie western musicali con attori radiofonici. L’uscita da questa crisi è rappresentata da Stagecoach.

Fu un film che fece epoca ma nello stesso tempo è ambiguo e conflittuale come ebbe a dire George Lucas nel documentario di Peter Bogdanovich Directed by John Ford nel 1971, in cui individua nell’ambiguità il mezzo con cui si sviluppa il cinema di Ford, anche il critico e narratologo Nick Browne continuando sulla scia di Seymour Chatman consacra il suo studio analizzando l’atto che dà corpo alla narrazione. Per Browne la narrazione altro non è se non uno scambio fra regista e spettatore. All’inizio del suo studio Browne affronta il punto di vista dello spettatore attraverso l’analisi di una sequenza di Stagecoach:

La scena di cui parla Browne è quella del pasto a Dry Fork Station, costituita su una doppia serie di immagini: ci sono da un lato delle inquadrature soggettive su un gruppo di personaggi tra cui Lucy e dall’altra ci sono inquadrature vicine alle soggettive di Lucy su Dallas e Ringo. Le due figure femminili sono trattate in modo diverso nel campo creando uno sbilanciamento. Lucy è un personaggio in azione ed è la fonte di uno sguardo, Dallas da parte sua è oggetto di un’occhiata altrui. Lo spettatore dovrebbe identificarsi con Lucy che gli “presta” i suoi occhi ma la simpatia dello spettatore è per Dallas. Ciò avviene perché la posizione dello spettatore si commisura sia per la presenza di qualcuno o qualcosa che guida la percezione dello spettatore agli eventi raffigurati e per la presenza in scena di quei valori che esprimono l’adesione verso di essi. Vi è quindi una doppia identificazione dello spettatore; allo sguardo e al guardato. In Stagecoach assistiamo ad un conflitto in cui all’inizio lo spettatore non sa se stare dalla parte di Lucy che è il perno della prima o con Dallas, che è il centro della seconda. Man mano che si va avanti nella lettura del film questo nodo verrà sciolto ristrutturando l’una e confermando l’altra.

Nell’azione sarà Dallas l’eroe, e lo spettatore si identifica con l’eroe perché fa quello che in quel frangente avrebbe fatto lui condividendone scelte e movimenti. Il conflitto che si sviluppa indipendentemente dalla volontà dei personaggi si determina per effetto dei rapporti sociali materiali. Questo conflitto viene superato nel finale quando Ringo e Dallas partono per la Frontiera. La ricomposizione apparente del gruppo eterogeneo è solo di maniera, quando Lucy, gentildonna moglie di un ufficiale ringrazia la prostituta Dallas è solo un gesto di cortesia, bon ton, Lucy è una donna di buone maniere, ma Lucy e Dallas restano separate  perché c’è una società a separarle e a dividerle: Lucy rappresenta la civiltà borghese, deferenziale e arborescente, rappresenta il capitalismo che sta arrivando anche nell’Ovest, quel mondo industriale e borghese dal quale Dallas e Ringo fuggono.

Stagecoach è una lezione di classicismo del cinema americano che fa allievi oltre che ad essere antico: il 1939 in realtà così antico Stagecoach non lo è, e non è il primo film western in assoluto, ma fa tradizione, classico perché rispetta le regole della scrittura cinematografica, la scena dell’assalto alla carrozza in cui Ford gira le scene manipolando al meglio tutte le risorse e soprattutto gli stuntman coordinati da Yakima Canutt costituiscono una prodezza per quanto riguarda le riprese, per Ford le regole di regia non si devono più rispettare perché la scena in velocità e azione sia resa ancora più magica. All’inizio è l’azione non la regola.

Stagecoach è un classico in quanto perfetto, esemplare, universalmente riconosciuto anche se trasgredisce i precetti della norma diventando regle du jeu. Ford fa di Stagecoach un classico come le opere di Omero e Sofocle, Dante e Shakespeare, Goethe, Balzac, Platone, Aristotele, Descartes, Kant, Michelangelo e Caravaggio. Come le opere degli artisti nominati prima è un’opera tipica e accettata . Lo stesso Goethe disse che è classico a qualsiasi genere appartenga un’opera pienamente riuscita. André Bazin diceva che Stagecoach è il culmine di una tradizione in cui maturano degli stilemi non classici ma che giungono al classicismo. La perfezione classica, quella in cui John Ford arriva all’equilibrio perfetto tra miti sociali, evocazione storica, verità psicologica e le tematiche tradizionali del cinema western. Questi elementi convivono senza prendere il sopravvento uno sull’altro. Stagecoach può essere presentato come una ruota così perfetta da restare in equilibrio sul proprio asse in qualunque posizione la si metta .

Stagecoach non imita modelli antichi, ma li inventa e li porta a compimento inventandoli e ristrutturandoli. Dal 1926 Ford non girava più western perché con l’avvento del parlato la produzione crolla di molti punti e poi perché dagli anni Trenta per via di alcuni western di successo prodotti dalla Republic interpretati dal cantante radiofonico Gene Autry portano a una mutazione di qualità del genere che si esaurisce nel 1939 e che a Ford non piaceva. Lo stesso John Wayne interpretò il ruolo del cowboy cantante in alcuni film degli anni Trenta in alcuni film della Warner.

Ford non imita perché Stagecoach riprende e recupera i temi e le situazioni caratteristiche del genere come l’attacco alla diligenza che veniva rappresentato anche nei dipinti dell’artista americano Frederic Sackrider Remington, il viaggio per esempio riunisce personalità marcate, eccentriche e asociali che non era un tema tipico del genere. Per Bazin la forza autentica di Stagecoach, è un equilibrio circolare un movimento che Aristotele definiva motore immobile, quindi una ruota perfetta con le caratteristiche di armonia, misura e serenità anche se non rispetta i raccordi di regia, nel 1990 anche il critico Leutrat già autore di numerosi saggi sul cinema western definisce Stagecoach una concatenazione di ambienti, spazi tempo, coesistenze e successioni, una tenuta di elementi eterogenei che danno un’articolazione all’opera mettendola sullo stesso piano di Quarto potere. Per Leutrat tutti gli elementi costitutivi il grande gioco del western si trovano in Stagecoach. 

Anche altri filmologi come Browne e Casetti assumono Stagecoach come modello di produzione di vari tipi di narrazioni per la sua struttura archetipica dal punto di vista della narrazione.

In Stagecoach sono presenti una concatenazione di tipi standardizzati di azioni come la privazione perché Ringo ha avuto la famiglia sterminata dai Plummer, l’allontanamento perché Ringo è in fuga per vendicare la morte dei suoi cari, il viaggio che è il tragitto psicologico oltre che fisico, il divieto che rafforza la privazione perché per impedire a Ringo di peggiorare la situazione il marshal Charlie Wilcox lo arresta venendo ostacolato nella sua vendetta, l’obbligo, vale a dire una responsabilità che l’eroe decide di assumere perché durante l’attacco degli indiani alla diligenza Ringo aiuta lo sceriffo a respingere l’attacco dando la sua parola d’onore che non avrebbe tentato di fuggire, la prova perché per il suo comportamento tenuto durante l’attacco alla diligenza Ringo conquista la fiducia dello sceriffo e soprattutto quando scopre il passato di Dallas non la giudica e conquista il suo cuore, la rimozione della mancanza il successo di Ringo con cui viene reintegrato nella società perché nello showdown notturno Ringo uccide i Plummer ottenendo giustizia e liberando la comunità da questi criminali, il ritorno perché Ringo e Dallas si mettono in viaggio verso la loro casa lungo la frontiera, una terra prospera e di pace e infine la celebrazione perché Ringo viene considerato un eroe da tutti.

Stagecoach valorizza anche il paesaggio che nel film diventa esistente. Ford non è il primo a usare la Monument Valley come location dei suoi film, la riserva dei Navajos tra Arizona e Utah fu già utilizzata in rare occasioni da George Sitz quando nel 1925 girò il film Stirpe eroica e Wild Horse Mesa. Prima del film di Ford nella Monument Valley vennero girati tre film dalla Paramount e uno dalla Fox, ma fu con Ford che divenne un monumento dell’immaginario collettivo e un personaggio. Dopo Stagecoach, nonostante Ford l’avesse valorizzata non furono molti altri i registi che ebbero l’ardire di sceglierla come set dei propri film, sempre Ford nella Monument Valley girerà Sfida infernale, Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord Ovest, Sentieri selvaggi, I dannati e gli eroi, Il grande sentiero. Dal 1939 al 1973 che è l’anno in cui muore John Ford, 16 western di cui ben 7 di Ford saranno ambientati nella Monument Valley tra cui un altro film di Seitz dal titolo La grande cavalcata, in questo film la Monument Valley di cui Ford aveva percorso alcuni tratti della pista nelle scene con la diligenza è stata invece percorsa tutta, Terra selvaggia diretto da David Miller e con Robert Taylor, L’ultima conquista di James Edward Grant e interpretato da John Wayne, C’era una volta il West, Uomini selvaggi diretto da Blake Edwards, ed è sempre Stagecoach a fare scuola.

Questo film ha una esemplarità interna alla catena intertestuale che costituisce i film fordiani. Primo perché è il primo film di John Wayne come protagonista dopo alcune comparsate in alcuni film della fine degli anni Venti. Secondo Stagecoach è un modello un manifesto dell’estetica fordiana del faccia a faccia  che è il canone dell’estetica presente in tutti i film di John Ford secondo il quale il cinema è un mezzo che mette gli individui uno di fronte all’altro permettendo agli individui di definirsi e capire chi sono e scrollarsi di dosso l’indifferenza, l’inerzia e le loro convenzioni . Il viaggio in diligenza viene narrato e modulato da incontri, sfasature e rotture che ritroveremo in un altro western di John Ford che è La carovana dei Mormoni in cui la narrazione di un’azione trasforma, apre e slancia un’esperienza che avviene durante l’azione, per esempio camminando oppure viaggiando per raggiungere una meta e durante il nostro viaggio si è raggiunti da qualcosa che può essere per esempio un sogno o una donna che trasforma e depista il racconto.

Siamo di fronte alla creazione e alla nascita che lo storico Frederick Jackson Turner chiamava Frontiera e che Ford rappresentò in Stagecoach e in altri suoi film in cui racconta l’avanzare dei pionieri e dei farmers. Secondo il critico cinematografico Roger Tailleur Ford non è solo un regista che rappresenta il mito della frontiera ma ne è il poeta. La creazione sta nella misura in cui qualcuno si incontra anche urtandosi come avviene nel clinamen  Lucreziano senza il quale il mondo non potrebbe esistere. Il mondo spinozianamente ha la sua consistenza negli incontri che mediano e veicolano il senso del mondo che ci appare e si presenta. Questa è secondo Ford l’arte cinematografica, gli uni vengono messi di fronte all’altro come nella carrozza di Stagecoach o durante la sosta alla stazione di posta di Dry Fork in una situazione archetipica sia narrativa che ontologica.

Nello stile di Ford la situazione è eterogenea perché abbiamo il banchiere corrotto Gatewood, lo sceriffo Charlie Wilcox amico del padre di Ringo che vuole catturarlo non per intascare la taglia ma per proteggerlo dalla vendetta dei fratelli Plummer, il postiglione buffo, il rappresentante morigerato di liquori Samuel Peacock, il medico beone Josiah Boone, il fuorilegge  Ringo Kid evaso in cerca di vendetta e bandito per necessità, il gentiluomo decaduto e baro Hatfield, Lucy Mallory moglie incinta e frustrata di un ufficiale dell’esercito, la prostituta Dallas, una prostituta si, disincantata forse, ma che al momento necessario dimostrerà coraggio e generosità assistendo Lucy nel parto, restando tutta la notte accanto a lei e badando alla bambina appena nata  e pronta a fare da scudo alla piccola durante l’attacco degli Apache alla diligenza. Questo insieme eterogeneo dà vita a una virtus, un incontro che dà luogo a un fatto compiuto. Nel finale lo sceriffo con la complicità del dottor Boone non riporta in cella Ringo ma lo libera. Questo sistema di forze contrastanti, queste differenze e tensioni che rivediamo nella scena del pasto e del viaggio in diligenza fanno scaturire la sorpresa di questi personaggi in azione messi uno di fronte all’altro, sono colpiti dalla discontinuità, dalle interruzioni e dagli imprevisti, dagli assalti in virtù dei quali un evaso, una prostituta e un medico beone che sono stati scacciati dalla comunità per mano di un comitato di megere la cui presidente peraltro è la moglie del banchiere disonesto Gatewood, il cui furto verrà scoperto una volta giunti a Lordsburg, diventano degli eroi e si riscattano, lo stesso accade con il baro Hatfield dedito a campare di partite a carte truccate e sospettato  di aver colpito un uomo alle spalle ritrova la sua dignità morendo per difendere la diligenza dall’assalto degli Apache. 

Ford raffigura questa presa che fa mondo e umanità, quello che precede ogni legge è l’azione. Nel finale Ford riprende quei temi già proposti da Machiavelli, da Rousseau, da Montesquieu e da Marx in cui contingenza, congiuntura e condizioni esterne portano gli uomini ad associarsi e a entrare in rapporto. E’ l’origine del mondo o il suo senso dato dalla corsa della diligenza e dall’assalto in cui viene compiuta un’azione che riscatta Ringo, Dallas, il dottor Boone e anche Hatfield. Per Ringo e Dallas quell’azione rappresenta anche la libertà. Il filosofo francese marxista Louis Althusser analizza la visione cristiana di John Ford, in cui si può parlare di materialismo dell’incontro che costringe ai personaggi del film un ordine di sviluppo diverso in cui le carte vengono rimescolate proprio come recita Ludwig Wittgenstein all’inizio del suo Tractatus logico – philosophicus “Il mondo è tutto ciò che accade”. E in Stagecoach tutto accade in modo imprevedibile salvando dal loro destino Ringo, Dallas, il dottor Boone e riscattando Hatfield. Il mondo di Ford nel cinema è aperto. Nel film l’evento è l’entrata in scena di Ringo al guado di Church Rock , questo diventa un avvenimento perché urta gli altri corpi e sviluppa la storia e fa la storia del film. Questa è la storia che Ford racconta in Stagecoach.

La comunità messa in scena da Ford nasce da questo rimescolamento in grado prolungare e rilanciare la forza e il sogno delle singolarità. Sia in Stagecoach che nei successivi film di Ford la comunità non soffoca ma prolunga il processo di individuazione.

Ford coglie nel suo cinema storico, sociologico e politico una verità in cui il soggetto va oltre ciò che l’individuo prova soggettivamente e la verità della sua storia non è tutta nella sua particina. La comunità dei protagonisti non è una totalità compiuta, non è chiusa ma Ford la apre esponendola al pericolo, le certezze dei protagonisti in quei frangenti sono fragili anche a causa dei loro pregiudizi esclusivi ed escludenti. Secondo Ennio Flaiano nel suo saggio Ombre fatte a macchina il viaggio è una scoperta dell’altro, del fatto che il Sé, l’identità non è sufficiente e nemmeno si può classificare o catalogare una volta per tutte come fanno le signore della Lega per la moralità di Tonto, la cui presidente è la moglie del banchiere che nel finale del film si rivelerà non solo un ladro e un truffatore ma anche un gretto egoista piccolo borghese. In realtà Ford questo banchiere lo aveva colpito inquadrandolo in primo piano due volte a pochi minuti di distanza rivelandone la statuificazione dopo che come un retore aveva sentenziato che “quel che è vantaggioso per la Banca lo è anche per il paese” . Questo primo piano per la sua durata è un coupe che mostra il banchiere in uno straight shooting che lo inchioda determinandolo nel personaggio. In un primo piano che lo isola, facendone un’eccedenza che supera la referenzialità e il senso drammatico dell’episodio. Lo scopo dell’inquadratura del banchiere non serve a sviluppare la narrazione o a informare ma è una valutazione, una firma con cui Ford sfregia questa statua e i falsi valori che rappresenta, in realtà con Gatewood, Ford rappresenta quegli industriali e quei banchieri che durante il New Deal osteggiavano la politica di Roosvelt, facendo dichiarare nulli alcuni suoi provvedimenti attraverso la Corte Suprema, lo sfregio di Ford è la contro – storia. Questa inquadratura si si raccorda con la scena relativa alla lega della moralità che allontana dalla città la prostituta Dallas, Ford cerca di smorzare introducendo delle variazioni di leggerezza e smorzare l’intolleranza delle vergini vestali del comitato di salute pubblica che tentano di dissuadere Lucy dal viaggiare in compagnia di una prostituta e di un medico ubriacone. All’inizio del viaggio Lucy condivide il pregiudizio di quelle donnette, ma sarà costretta a ricredersi dopo aver flirtato con il baro Hatfield da cui forse era attratta nonostante lei si ritenesse una donna per bene, per giunta sposata e incinta e forse annoiata. Lucy sarà salvata con il bimbo appena nato da Dallas che è una prostituta ma assisterà il dottor Boone considerato da tutti un medico inaffidabile e un ubriacone, veglierà tutta la notte Lucy seduta accanto al letto e cullando la bambina appena nata, e se proprio non vorrà mantenere rapporti con loro quantomeno dovrà ringraziarli. 

Ford fa liberare Ringo dai ceppi e fa di Dallas una donna con uno spiccato senso materno e riscatta il medico ubriaco interpretato da Thomas Mitchell che con la sua vitalità e il suo nichilismo nietzscheano si contrappone al perbenismo ipocrita e piccolo borghese della Lega e del banchiere. “Siete ubriaco” grugnisce con tono rancoroso il banchiere Gatewood al medico “Ma mi sento felice” risponde il dottor Boone in tono gaio. 

La liberazione parte con l’abbandono della civiltà, quando Ringo e Dallas partiranno alla volta della Frontiera, questa partenza oltre che fisica è uno stadio mentale per poter liberare energia e amore lungo la linea di americanizzazione che fluidifica la società di uomini canalizzati all’arricchimento e banchieri corrotti che riaccoglie Lucy al suo arrivo a Lordsburg, quando appena giunta le nobildonne e le governanti circondano Lucy e tolgono subito la bambina dalle mani di Dallas. Ma nonostante il cordone sanitario che la circonda, Lucy non condivide più i pregiudizi che aveva prima di partire ma è costretta a condividere un mondo con quelle donnette ipocrite e insoddisfatte incapaci di tenersi i mariti che frequentano di nascosto donne come Dallas. La salvezza di Ringo e di Dallas nasce ai limiti della città, quei limiti che rappresentano la salvezza, hanno modo di conoscersi, e in questo senso Ringo e Dallas rappresentano la nascita della Nazione Americana. Questa rinascita è data dal viaggio che culmina con l’highlight in cui il bad guy Luke Plummer che aveva fatto incarcerare con prove false Ringo dopo avergli sterminato la famiglia viene giustiziato da quest’ultimo, grazie alla complicità del marshal, che rinuncia alla taglia e viola la legge lasciando libero Ringo, e del postiglione che informa i Plummer dell’arrivo di Ringo a Lordsburg, e del dottore ormai sobrio, il tutto violando la legge degli uomini. Ringo e Dallas rinascono grazie all’allontanamento dalla Polis e dai benefici della civiltà, dalla Lega della Moralità e dal Red Light District di Lordsburg. 

Ringo ha finalmente raggiunto Dallas, sono su un percorso a senso unico da cui indietro non si torna. La partenza del calesse è un’espulsione dalla scena, sono scampati ai benefici della civiltà e partono per un nuovo Eden, lontano dagli Eldorado Saloon.

@barbadilloit

Giovanni Di Silvestre

Giovanni Di Silvestre su Barbadillo.it

Exit mobile version