Libri. “Non solo La Ciociara”: il dramma delle marocchinate in Italia nel 1945

Sofia Loren ne La Ciociara
Sofia Loren ne La Ciociara

L’Italia ha rinunciato nell’immediato secondo dopoguerra a denunciare i crimini di guerra commessi dalle truppe alleate, per motivi facilmente intuibili. Eravamo stati sconfitti, e ai vinti non è permesso alzare la voce. In secondo luogo, sussisteva l’ingenua speranza che gli ex nemici, divenuti maldisposti cobelligeranti, ci avrebbero potuto assicurare condizioni di pace meno onerose. Tale desiderio fu esaudito solo in minima parte, con la mancata cessione alla Francia della Val d’Aosta, reclamata in un primo tempo da De Gaulle. Sulla rinuncia a sollevare la questione dei crimini di guerra influivano anche sentimenti più nobili, come la riconoscenza per il sostegno che gli Alleati, soprattutto gli statunitensi, avevano recato al rifornimento alimentare delle popolazioni civili e delle stesse truppe del Regio Esercito, e la consapevolezza che sia la solidarietà atlantica sia la prospettata edificazione di una nuova Europa non sarebbero state possibili se ogni popolo non avesse rinunciato a esternare sia pur legittimi rancori. Occorre aggiungere che il nostro silenzio sui crimini di guerra alleati ebbe come tacito corrispettivo la rinuncia di questi a consegnare i nostri ufficiali che sia la Jugoslavia di Tito sia il restaurato Negus reclamavano a loro volta come criminali di guerra. L’unico ufficiale del Regio Esercito a pagare, per altro per colpe che non aveva, fu il generale Nicola Bellomo, fucilato dagli inglesi nel 1945 con l’accusa di aver ucciso un prigioniero britannico in fuga, dopo un processo dalla dubbia legalità.

Da qualche tempo, però, il silenzio quasi omertoso sui crimini di guerra alleati – che vi furono, anche se ovviamente per nulla paragonabili a quelli jugoslavi o germanici – ha perso la sua ragion d’essere. In primo luogo l’apertura degli archivi militari italiani a studiosi mossi spesso da un pregiudizio antinazionale ha condotto alla divulgazione di episodi estrapolati dal contesto storico col risultato di offendere l’onore del nostro esercito. Emblematico è il caso dell’uso dei gas nella campagna d’Etiopia, sbandierato senza rammentare che gli abissini non applicavano la convenzione di Ginevra, utilizzavano pallottole a espansione (dette “dum dum”) proibite dagli accordi internazionali e vendute loro da trafficanti inglesi e francesi, eviravano i prigionieri, quando non li decapitavano. Per tacere del fatto che l’uso dei gas nelle guerre coloniali fu praticato anche dalla “democratica” Francia. Se abbiamo tanto zelo nel denunciare i nostri presunti crimini di guerra, perché dovremmo rinunciare a ricordare quelli di cui siamo stati vittime?

In secondo luogo, se i cosiddetti “armadi della vergogna” sono stati aperti per i crimini di guerra tedeschi, a volte con risultati patetici come la richiesta di arresto per novantenni ex caporali che erano stati comandati per un plotone d’esecuzione, non si capisce perché le violenze degli Alleati, finora note al grande pubblico solo per un racconto di Moravia e per la pellicola che ne fu tratta, debbano rimanere nel dimenticatoio. Le efferate stragi naziste fecero certo più morti, ma avvenivano in genere per rappresaglia. I soldati alleati a volte violentavano o derubavano chi poche ore prima al loro ingresso li aveva acclamati come liberatori.

Sotto questo profilo un contributo di fondamentale importanza è recato dal volume Non solo la “Ciociara”, appena pubblicato per i tipi delle edizioni Fergen (pp.296, euro 15) da Silvano Olmi, giornalista e ricercatore storico con alle spalle una carriera militare che gli è stata senz’altro utile per la valutazione degli eventi narrati. Come si evince dal titolo, l’autore mira a dimostrare come gli abusi delle truppe di occupazione alleate durante la campagna d’Italia non si limitino al caso pur gravissimo delle donne “marocchinate” in Ciociaria. Gli stupri seriali delle truppe coloniali francesi, resi famosi, anzi famigerati in tutto il mondo dalla pellicola interpretata da Sofia Loren, furono solo uno dei tanti casi in cui i principi della Carta Atlantica vennero traditi dagli eserciti che risalirono la penisola. Ovunque, dalla Sicilia alla Toscana e oltre, da Gela all’isola d’Elba e a Marradi, militari e civili italiani furono vittime di violenze inqualificabili da parte degli “Alleati”, che purtroppo non si sentivano troppo tali. Pubblicazioni che esaminassero singoli aspetti del fenomeno non mancavano nemmeno in precedenza: basti pensare al meritorio saggio di Andrea Augello Uccidi gli italiani (Mursia) e a una serie di studi di storia locale o settoriale sulle violenze alla popolazione civile, di cui Olmi rende puntualmente conto nella bibliografia. Merito dell’autore è da un lato comporli in una visione d’insieme, dall’altro integrarli con una vasta serie di ricerche personali condotte nell’Archivio centrale dello Stato, negli archivi provinciali, militari, municipali, nei rapporti dell’Arma dei Carabinieri, nonché con una serie di interviste ai sopravvissuti. Non solo la “Ciociara” non è insomma il solito pur brillante saggio di sintesi, che si limita a interpretare e utilizzare ricerche altrui, ma un’opera originale. Se da un lato “storicizza” il fenomeno degli stupri di guerra, cogliendo un precedente nelle violenze alle donne tedesche da parte delle truppe coloniali d’occupazione al termine della grande guerra, dall’altro sottopone al lettore una documentazione schiacciante e inoppugnabile. Volendo utilizzare un neologismo alla moda, si potrebbe dire che è un saggio “glocal”, in quanto, muovendo dall’analisi di una dolente realtà locale – le violenze delle truppe alleate nel Viterbese, dove l’autore vive ed è stato pubblico amministratore – fornisce un inquadramento globale del fenomeno.

Da Non solo la “Ciociara” si scopre che la violazione delle convenzioni internazionali più che un’eccezione fu la regola nella conduzione della campagna d’Italia. Si comincia con la consegna di non fare prigionieri fra gli italiani da parte del generale Patton, si continua con gli stupri delle donne siciliane da parte delle truppe di colore – contro i quali in taluni casi mariti, fratelli, padri operarono una riedizione rusticana dei Vespri, – si continua con una catena continua di violenze carnali, saccheggi, violenze, persino su uomini, bambini, religiose  e sacerdoti, che accompagnano le poco eroiche gesta delle truppe alleate nella campagna d’Italia. Responsabili furono in prevalenza le truppe coloniali del Corps Expéditionnaire Français al comando del generale Alphonse Juin. Juin era un ambizioso e opportunista ufficiale che in un primo tempo aveva aderito al governo di Vichy e forse anche per farsi perdonare i suoi trascorsi pétainisti pur di mietere successi non esitava a motivare le sue truppe marocchine promettendo loro dopo un assalto vittorioso il diritto di saccheggio e di stupro. Il fatto che una sala del Musèe de la Guerre degli Invalides sia intitolata a suo nome dovrebbe costituire motivo di un incidente diplomatico, per una Repubblica meno invertebrata della nostra. 

Dal saggio di Olmi si evince però che gli stupri, i furti, le sodomizzazioni non si limitarono in molti casi alle 48 ore successive alla battaglia, ma furono compiuti anche da reparti non combattenti, in molti casi con la tolleranza francese. La Gendarmerie, infatti, invece di perseguire razziatori e stupratori spesso inquisiva gli italiani che avevano cercato di difendersi. Emerge anche il fatto che non ci furono solo le “marocchinate”: a operare le violenze carnali furono un po’ tutte le truppe di colore, in particolar modo gli indiani inquadrati nei reparti britannici e gli afroamericani arruolati nell’esercito statunitense. Sono necessarie però alcune precisazioni, non per giustificare l’operato degli Alleati, ma per onorare la verità storica. In primo luogo, nonostante il comportamento inqualificabile di Juin, che provocò anche le proteste di Pio XII con De Gaulle, non tutti gli ufficiali francesi si comportarono allo stesso modo. Vi fu tra loro (e purtroppo si trattò della maggioranza) chi avallò o tollerò o fece finta d’ignorare le violenze delle truppe di colore, scorgendo magari in esse una forma di nemesi storica, di punizione della “pugnalata alla schiena” del 10 giugno 1940. Ma vi fu anche chi cercò di frenarle, e vi riuscì, magari a scudisciate (nell’Armée si andava poco per il sottile, con la truppa, specie se di colore…), né mancò il caso di goumiers sorpresi in flagrante fucilati sul posto, magari dopo essere stati costretti a scavarsi la fossa.

In secondo luogo, molto più corretto fu il comportamento degli statunitensi, nelle cui truppe erano presenti per altro molti italo-americani. La Militar Police, com’è noto, non guardava in faccia a nessuno e in molti casi con le sue ronde mise a posto, oltre ai propri uomini, anche molti militari delle truppe coloniali sorpresi in flagrante nelle loro violenze contro le cose e contro le persone. Questo non bastò a impedire gli stupri e i saccheggi degli afroamericani della Buffalo, anche oltre l’area territoriale esaminata da Olmi, per esempio a Viareggio; a limitarli e spesso a punirli sì.

Infine, chi ha esperienza di governo di uomini, anche in tempo di pace, può immaginare come non sia facile tenere a freno soldati esasperati da lunghe privazioni, anestetizzati moralmente da una lunga convivenza con il pericolo e la morte, esasperati da una protratta castità forzata e per giunta provenienti da subculture contraddistinte da un’atavica mancanza di rispetto per la donna. Non si tratta di giustificare un comportamento, ma di storicizzarlo, comprendendo che i parametri del bene e del male purtroppo divengono più elastici dopo svariati anni di guerra. Occorre aggiungere, come emerge dal saggio di Olmi, che nemmeno le autorità italiane e gli stessi concittadini delle vittime fanno sempre una bella figura nella vicenda delle “marocchinate”. Basti pensare al tristo strascico dei risarcimenti per le vittime, utilizzati dalla nascente partitocrazia come strumenti di controllo clientelare, alle vite stroncate da atavici pregiudizi, che impedivano di trovare un marito alle ragazze “disonorate”, per quanto senza colpa, alle  povere donne che per pudore evitavano di farsi curare le malattie veneree contratte con lo stupro, da cui sarebbero potute facilmente guarire con l’ausilio degli antibiotici o dei sulfamidici dispensati dalle truppe statunitensi. 

Questo non toglie nulla alle dimensioni agghiaccianti  di una tragedia fatta di porte sfondate, di bestiame razziato, di donne violentate dinanzi ai mariti, di ragazzini sodomizzati, di monasteri violati. Una tragedia che ci fa capire come gli Alleati, pur senza giungere certo alle abiezioni dell’Armata Rossa in Germania, fino all’ultimo si sentirono in Italia più occupanti che liberatori.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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