Storia. 29 settembre 1918: l’Armistizio di Salonicco decide le sorti della Grande Guerra

Uno scenario periferico nella tragedia dell’immane conflitto. Quello del fronte macedone.

Tra il 1912 e il 1913 la Bulgaria era stata coinvolta nelle due guerre balcaniche, la prima in alleanza con tutti gli altri Stati balcanici contro la Turchia e la seconda da sola contro gli altri Stati della penisola, durante le quali il territorio bulgaro variò le sue dimensioni, prima in aumento e poi in riduzione. In seguito alle guerre balcaniche il governo di Vasil Radoslavov allineò la nazione con l’Impero tedesco e l’Austria-Ungheria, anche se ciò significava diventare un alleato degli ottomani, tradizionali nemici della Bulgaria. Ma in quel momento non c’era nessuna rivendicazione contro gli ottomani mentre la Serbia, la Grecia e la Romania (alleate di Francia e Gran Bretagna) controllavano delle terre percepite dall’opinione pubblica come bulgare.

La Bulgaria si tenne fuori dal conflitto durante il primo anno della guerra. La Germania e l’Austria-Ungheria avevano, tuttavia, bisogno del sostegno militare bulgaro per sconfiggere la Serbia, per poter aprire nuove linee di rifornimento tra la Turchia e la Germania, per rinforzare il fronte orientale contro la Russia. La Bulgaria esercitò pressioni per ottenere maggiori acquisizioni territoriali nella Macedonia, seppure contro un riluttante Impero austro-ungarico. La Bulgaria intrattenne dei negoziati anche con gli Alleati, che offrirono però compensazioni minori.

Lo zar bulgaro Ferdinando I era un uomo intelligente e colto, studioso di scienze naturali (apertamente omosessuale), nipote di Francesco Giuseppe d’Austria – la moglie Maria Luisa di Borbone-Parma, defunta giovane, era sorella dell’Imperatrice Zita, consorte dell’Imperatore austroungarico Carlo I dal 1916 – e cugino in secondo grado del Kaiser Guglielmo II; il padre, Augusto di Sassonia-Coburgo-Kohary, era, inoltre, fratello del re Ferdinando II del Portogallo e cugino del re Leopoldo I del Belgio e della Regina Vittoria. Egli decise di entrare in guerra a fianco della Germania e dell’Impero Asburgico, firmando un’alleanza nel settembre 1915, insieme con uno speciale accordo bulgaro-turco, che presupponeva che la Bulgaria avrebbe dominato la regione dopo il conflitto. Quindi Sofia, che possedeva l’esercito più grande dei Balcani, dichiarò guerra alla Serbia nell’ottobre di quell’anno. La Gran Bretagna, la Francia e l’Italia (entrata in guerra il 24 maggio 1915) dichiararono a loro voltaguerra alla Bulgaria.  

La Bulgaria ebbe la meglio sulla Serbia e la Romania, occupando la maggior parte della Macedonia (Skopje in ottobre), avanzando nella Macedonia greca e sottraendo la Dobrugia alla Romania nel settembre del 1916. In questo modo la Serbia fu conquistata ed estromessa dal conflitto, mentre la Turchia fu temporaneamente salvata dal collasso. Nel 1917 la Bulgaria mise in campo più di un quarto della sua popolazione di 4,5 milioni di abitanti, in un enorme esercito di 1.200.000 unità, ed inflisse pesanti perdite alla Gran Bretagna, alla Francia, all’Impero russo ed al Regno di Romania. La guerra divenne, tuttavia,impopolare tra la maggior parte dei bulgari, che soffrivano grandi ristrettezze, non gradivano combattere altri cristiani ortodossi ed essere alleati degli ottomani musulmani. La Rivoluzione russa del febbraio del 1917 ebbe poi un rilevante effetto in Bulgaria, diffondendo sentimenti antibellici ed antimonarchici.

Al fronte bulgari e tedeschi contro greci, serbi, rumeni (gli ultimi sino alla Pace di Bucarest del 7 maggio 1918), francesi, italiani, britannici. Il contributo italiano era costituito da 3 brigate di fanteria ed un reggimento di artiglieria da montagna, per oltre 52.000 uomini. Nel settembre 1918 le forze armate dell’Intesa si erano rafforzate. Non solo avevano dalla propria parte l’esercito greco al completo (9 divisioni), ma erano forti anche di 6.000 uomini della Legione cecoslovacca, che era stata evacuata dalla Russia e spedita su vari fronti a combattere contro gli odiati austro-ungheresi. Le due parti si equivalevano per numero di soldati (291 battaglioni dell’Intesa contro 300 battaglioni bulgari insieme a 10 battaglioni tedeschi), ma la situazione morale era assaidifferente. Gli alleati dell’Intesa erano sicuri della vittoria imminente, mentre i bulgari scorgevano la sconfitta sempre più vicina. LImpero Ottomano era ormai al collasso, il governo austro-ungarico versava nel caos. Il 14 settembre il Ministro degli Esteri di Vienna, Burian, aveva indirizzato un Comunicato di Pace ai Paesi belligeranti e chiederà, invano, l’armistizio il 14 ottobre sulla base dei quattordici punti di Wilson. Il plurisecolare dominio asburgico si stava sbriciolando nell’impotenza del giovane, debole imperatore Carlo I. Il formidabile esercito tedesco, dal canto suo, era stato sconfitto sul fronte occidentale ed i bulgari non volevano più saperne di combattere per una causa persa.

L’armistizio fu siglato il 29 settembre 1918 a Salonicco, in Grecia, fra il regno di Bulgaria e le forze alleate, a seguito della richiesta bulgara di un accordo per il cessate il fuoco. I termini dell’armistizio prevedevano la smobilitazione immediata di ogni attività militare da parte bulgara, l’evacuazione dei territori serbi e greci occupati, ponevano limiti e restrizioni alla consistenza futura dell’esercito bulgaro. Ferdinando I salvò la dinastia abdicando in favore del figlio Boris III, poi marito di Giovanna di Savoia, e partì per l’esilio in Germania. Morirà a 87 anni nel 1948.

Quello stesso funesto 29 settembre 1918 l’Alto Comando germanico di Spa si rivolse ai politici di Berlino (che sino ad allora avevano svolto un ruolo marginale) ordinando di avviare trattative volte ad un armistizio, sulla base dei 14 Punti enunciati dal Presidente statunitense,Woodrow Wilson, del Partito Democratico. Il 30 il Kaiserannunciava la trasformazione della Monarchia costituzionale in Monarchia parlamentare, con verapartecipazione popolare.

“Quattordici punti” è il nome dato ad un discorso pronunciato da Wilson l’8 gennaio 1918 davanti al Senato degli Stati Uniti e contenente i propositi di Wilson stesso in merito all’ordine mondiale seguente la guerra mondiale, basati su quattordici principi di base. Wilson intendeva promuovere una “pace senza vincitori”, poiché era convinto che una pace imposta con la forza ai vinti avrebbe contenuto in sé gli elementi di un’altra guerra. Doveva trattarsi di una pace basata sull’eguaglianza delle nazioni, sull’autogoverno dei popoli, sulla libertà dei mari, su una riduzione generalizzata degli armamenti. La diplomazia “segreta” doveva essere abbandonata. Il principio di nazionalità – rivisitato con il nome di “autodeterminazione dei popoli” sarebbe stata la base per la costruzione dell’Europa democratica e degli Stati nazionali. Tali princìpi saranno applicati, con eccezioni ed ipocrisie, soprattutto all’Europa orientale ed al Medio Oriente, per riempire il vuoto lasciato dal crollo simultaneo dei tre grandi imperi multietnici (quello Russo, quello Asburgico e quello Ottomano), in un processo che oggi può essere ritenuto concluso con la dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Tuttavia, data la complessità etnica del continente, esso fu anche impropriamente utilizzato come pretesto per vere e proprie pulizie etniche e per la preparazione di nuove guerre, come la Seconda Guerra Mondiale ed i conflitti che hanno insanguinato il Medio Oriente nel corso del XX secolo.

Si trattò del tentativo tedesco – dopo due anni di dittatura militare di fatto, esercitata dal generaleLudendorff – di addossare ai civili la responsabilità della sconfitta? O dell’unica via ancora teoricamente percorribile? Il tema è rimasto aperto. Il fallimento delle offensive di primavera-estate aveva reso evidente all’Alto Comando germanico che la vittoria sugli Alleati non era possibile. Il crollo della Bulgaria e la situazione sul fronte occidentale, divenuta ancora più grave con l’arrivo in massa del corpo di spedizione americano, fino ad allora sottovalutato, costringeva i vertici del Kaiserreichsheer a cercare una soluzione nonmilitare. Ciò che l’Alto Comando temeva era il crollo del fronte occidentale e l’avanzata nemica entro i confini del Reich.

Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi il 5 dicembre 1917 (favorita dal rientro di Lenin dalla Svizzera, una decisione tatticamente astuta dei tedeschi, che l’avevano materialmente  eseguita, strategicamente fallimentare), Russia e Germania firmarono un Trattato di Pace, il 3  marzo 1918, nella città bielorussa di Brest-Litovsk. La Russia rinunciava a Finlandia, Polonia, Estonia, Livonia, Curlandia, Lituania, Ucrania (che diventava un protettorato tedesco) e Bessarabia. E consegnò Ardahan, Kars e Batumi all’Impero Ottomano. Con questo Trattato la Germania si assicurava future materie prime e poteva trasferire truppe al fronte occidentale. Troppo tardi.

I soldati ritirati dai tedeschi dal fronte orientale furono concentrati sul fronte francese, nel tentativo di ottenere la vittoria prima dello schieramento massiccio delle truppe statunitensi. Nonostante quattro offensive, che portarono i tedeschi a poco più di 60 km. da Parigi, l’ultimo attacco sulla Marna venne respinto dagli Alleati (15 luglio 1918) e l’8 agosto 1918 iniziò la loro controffensiva. Il piano del generale francese Foch prevedeva di liberare le strade strategiche Parigi-Amiens e Parigi-Châlons-Nancy,mediante la riduzione delle sacche di Château-Thierry, di Montdidier e di Saint-Mihiel. Il 3 settembre Foch, deciso a non lasciare respiro all’avversario, ordinò l’offensiva generale e la continuò con tutte le sue forze, in direzione di Mézières. La manovra concentrica si sviluppò, a partire dal 26 settembre, con tre grandi operazioni condotte da Francesi, Inglesi e Belgi nella Fiandra, in direzione di Gand, da Francesi e Inglesi contro la linea Hindenburg, in direzione di Cambrai e di San Quintino, da Francesi e Americani nelle Argonne, in direzione di Sedan. Il 10 e il 20 ottobre Foch ordinerà lo sfondamento delle ultime posizioni difensive tedesche (linee Hermann e Hunding) e l’estensione della battaglia ad est della Mosa.

Si giunse a stabilire una data per un incontro solamente dopo trattative durate settimane e uno scambio di note diplomatiche con il Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che pose come condizione preliminarela rinuncia dell’imperatore Hohenzollern, del KronprinzWilhelm, e la democratizzazione della Germania. Anche se l’effettivo potere politico e militare era scivolato via, almeno dal 1908, dalle mani del Kaiser. Erich Ludendorff, vice di von Hindenburg, che aveva assunto nel 1916 un ruolo centrale nella pianificazione e conduzione della guerra quale “Primo Quartiermastro generale” dello Stato Maggiore, si dimise il 26 ottobre ’18, venendo sostituito da Wilhelm Groener; il Kaiserreich divenne una effimera Monarchia parlamentare, all’inglese.

Dopo un’attesa durata più di un mese, l’8 novembre una delegazione di funzionari civili

tedeschi, guidati dal Segretario di Stato Matthias Erzberger, ottenne il permesso di recarsi in Francia. Nel frattempo la situazione era precipitata: l’Austria-Ungheria il 4 novembre usciva dal conflitto dopo la firma dell’armistizio di Villa Giusti con l’Italia, a seguito del ritiro delle truppe magiare e slave dall’Esercito Imperiale e dello sfondamento del fronte da parte degli italiani nella pianura veneta, e la stessa Germania era in preda alla rivoluzione.

I francesi decisero che le trattative dovessero svolgersi in un vagone ferroviario, in un bosco di Compiègne. Ai tedeschi furono concesse solo 72 ore per decidere. Le condizioni poste dagli Alleati erano aspre, spietate, poco in linea con i famosi 14 Punti. Erzberger, ritenendotrattarsi di una resa incondizionata durissima, volle consultarsi con Berlino, ma potè mettersi in contatto solo con il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Paul von Hindenburg. L’indicazione del feldmaresciallo fu di sottoscrivere l’armistizio a qualsiasi condizione, vista la situazione interna. La guerra non finì a colpi di cannone: il popolo tedesco ed il suo esercito, entrambi stremati e disperati, abbracciarono qualsiasi forma di armistizio che ponesse fine ai loro tormenti.

L’entrata in guerra degli USA produsse radicali mutamenti nei destini bellici (e non solo) europei. Come ogni grande mossa strategica tra grandi potenze, dietro l’intervento si nascondevano forti interessi geopolitici e finanziari. “Il mondo deve essere reso sicuro per la democrazia. La sua pace deve essere radicata sulle provate fondamenta della libertà politica” aveva proclamato Wilson, al Congresso di Washington il 2 aprile 1917. Il sei aprile 1917, gli Stati Uniti d’America dichiararono guerra alla Germania. Sino ad allora, gli Stati Uniti erano rimasti neutrali. Non si trattava, però, di una neutralità imparziale, poiché gli americani erano i principali partner commerciali dell’Intesa ed il loro ruolo nell’approvvigionamento dei Paesi che lottavano contro la Germania fu fondamentale. Questo esponeva i convogli commerciali americani agli attacchi della marina da guerra tedesca e, in particolare, dei suoi sommergibili. Un caso che fece particolarmente scalpore fu, nel 1915, l’affondamento del transatlantico Lusitania. La guerra sottomarina indiscriminata fu uno dei motivi di maggiore attrito tra gli Stati Uniti e la Germania. Sul piano interno, l’America era profondamente divisa. I repubblicani, avversari del presidente in carica, Woodrow Wilson, premevano per l’ingresso in guerra. A capo della fazione dei “falchi” vi era Theodore Roosevelt, ex presidente,fautore della dottrina del ‘Big Stick’, noto per il suo atteggiamento interventista. L’opinione pubblica, però, era divisa; eventi come quello del Lusitania, la guerra sottomarina e le notizie, vere, esagerate o false, dei crimini tedeschi in Belgiocontribuirono significativamente a muovere il popolo americano verso posizioni interventiste.L’atteggiamento nei confronti del conflitto (almeno dal punto di vista propagandistico) era idealista e plasmato dal carattere personale di Wilson. Gli Stati Uniti cominciarono ad inviare finanziamenti e massicci rifornimenti di materiale bellico, materie prime ed approvvigionamenti alle nazionidell’Intesa. Nell’agosto del 1917 le loro prime truppe arrivarono in Europa, al comando del generale John Pershing. All’inizio del 1918 il corpo di spedizione americano riuscì a dislocare un milione di uomini in Francia. Dal punto di vista tattico e dell’addestramento, i soldati statunitensipagavano la mancanza di esperienza nella guerra di trincea ed i comandanti prediligevano la tattica degli assalti frontali, ormai poco efficace. Le perdite americane, a fine conflitto, furono di circa 110.000 uomini, di cui metà falcidiati dall’influenza spagnola.   (Da Massimo Iacopi, 1917. Il grande gioco americano, 2010).

Con l’intervento gli Stati Uniti si apprestavano a succedere alla Gran Bretagna come grande Potenza marittima mondiale e misero piede in Europa, ove la loro presenza diventerà dominante a seguito del II Conflitto Mondiale. Sulla vexata quaestio della responsabilità della I Guerra Mondiale sono stati versati fiumi di parole e scritti. Vi contribuirono, soprattutto, l’intenzione austro-ungarica d’impartire una severa lezione alla Serbia, dopo l’assassinio dell’arciduca ed erede al trono Francesco Ferdinando a Sarajevo, il 28 giugno 1914, il desiderio della revanche francese dopo la perdita dell’Alsazia e della Lorena nel 1870, il panslavismo dei generali dello zar russo Nicola II, la determinazione britannica di non perdere il controllo dei mari di fronte al notevole incremento delle costruzioni navali germaniche (la Hochseeflotte, la flotta d’alto mare voluta da Von Tirpitz,con l’appoggio determinante dell’Imperatore tedesco). La Weltpolitik (politica mondiale) fu una strategia politica più aggressiva della Realpolitik di Bismarck, che pure aveva forgiato il nuovo Impero “col ferro e col fuoco”. Essa ebbe una notevole parte di responsabilità nelle crisi diplomatiche fra le grandi Potenze che condussero infine al conflitto. La Weltpolitik mirava a conferire “un posto al sole” per la Germania, proporzionale alla sua crescente forza industriale, e questo principalmente sviluppando un impero coloniale che potesse rivaleggiare con quelli delle altre grandi Potenze.

L’elemento più importante in questa strategia era la costruzione della Hochseeflotte, che avrebbe dovuto eguagliare la Royal Navy britannica. La prima legge navale organica, il Flottengesetz del 1898, scatenò una corsa agli armamenti navali germano-britannica. Un Dreadnought accanto (e potenzialmente contro) ad un altro Dreadnought, senza limiti. Cioè poderose navi corazzate con una dotazione di artiglieria di molti cannoni pesanti, di calibro uniforme, ed un apparato propulsivo basato su turbine a vapore, un sistema di nuova ideazione.

Il nazionalismo si era nel XIX secolo concentratosull’unificazione politica della Germania. Quando questa divenne effettiva, nel 1871, i dirigenti tedeschi cercarono di accrescere il potere della nazione sul piano internazionale. Russia e Francia non stavano a guardare ed incrementarono i loro effettivi in eserciti agguerriti e modernizzati (un po’ meno la Russia), e che ora potevano essere trasferiti su strade ferrate sconosciute in passato (la costruzione della Transiberiana ebbe, ad esempio, un impatto geopolitico straordinario). La Germania fu sempre più isolata, con un regime politico anacronistico ed un imperatore assai poco equilibrato e diplomatico, più utile, in fondo, col suo elmo a chiodo ed i baffoni aggressivi, alla propaganda avversaria che al suo Paese.

Il darwinismo sociale diffuse l’idea che la selezione dei più adatti s’applicasse tanto agli Stati come agli individui. Se uno Stato non si fosse sforzato di estendersi, si sarebbe indebolito o autodistrutto. Tutto questo portò ad una forte politica espansionista che si sviluppava anche in senso commerciale con una concorrenza assai estesa per i mercati globali. Il Regno Unito pervenne ad intese con la Francia e poi con la Russia zarista, creando la divisione dell’Europa in due alleanze rivali: l’Intesa della Francia, la Russia ed il Regno Unito; e la Triplice della Germania, Austria-Ungheria ed Italia. Le clausoledelle alleanze aumentarono considerevolmente il rischio di una guerra generale. Fu quello che si produsse a partire dal 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra di Vienna a Belgrado. La Germania appoggiò l’Austria-Ungheria: feceroseguito la mobilitazione russa e poi quella francese. La guerra fu dichiarata dalla Germania alla Russia il primo agosto ’14. La Germania imperiale ricorse al suo Piano Schlieffen. Il piano, ideato dal generale Alfred von Schlieffen nel 1905, prevedeva di attaccare la Francia da nord attraverso il Belgio, così da evitare la linea fortificata alla frontiera. Ciò implicava la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo, fornendo il casus belli al Regno Unito per il suo intervento, che si formalizzò il 4 agosto 1914.         (Cfr. Daniele Scalea, La sfida totale, 2010, in https://books.google.com.uy/books?id=OVt9Y58LJPcC&pg=PT25&lpg=PT25&dq=quando).

L’ 11 novembre 1918, la Germania firmò l’armistizio con le Potenze Alleate. Si trattava, di una resa senza condizioni, dettata dall’impossibilità materiale di proseguire lo sforzo bellico. Tuttavia, l’esercito tedesco non era stato sbaragliato in una grande battaglia campale: piuttosto, a crollare era stato il cosiddetto fronte interno, cioè il morale della popolazione, stanca di sopportare la fame e la miseria che la continuazione del conflitto aveva imposto.

Due scioperi generali, uniti a violente manifestazioni, avvennero nell’estate del 1917 e all’inizio del 1918. La proverbiale goccia che fece traboccare il primo vaso fu quella della drastica riduzione del pane, dopo un inverno passato nutrendosi di rape e ben poco altro. La seconda occasione per le manifestazioni a furor di popolo fu offerta dalla prolungata limitazione di tutti i tipi di alimenti, associata a disumane condizioni di lavoro imposte agli operai. Scioperi di minore importanza, ma frequenti ed organizzati con regolarità, videro fino a 100.000 lavoratori incrociare le braccia, una volta al mese, per tutto il 1918.

I  sintomi del crollo divennero evidenti non solo con i crescenti scioperi nelle industrie promossi da attivisti comunisti ansiosi d’imitare la Rivoluzione russa di Leninma nella Base navale di Kiel, sul Baltico, ove i marinai della Kaiserliche Marine si ammutinarono il 3 novembre, rifiutando di prendere il mare, perchè era chiaro che si sarebbe trattato, nella migliore delle ipotesi, di una battaglia dimostrativa, ma cruenta, tanto per alleggerire il conto della resa finale. Seguirono le rivoluzioni di Monaco (7 novembre) e di Berlino (9 novembre), che provocarono l’abdicazione, a lungo rifiutata (e di fatto imposta), diGuglielmo II, presto seguita da quella degli altri sovrani tedeschi. Il Cancelliere, Maximilian von Baden, trasferì i propri poteri al socialdemocratico Friedrich Ebert. L’idea era di salvare la dinastia attraverso un nipote del Kaiser ed una Reggenza. Guglielmo II rifiutò l’ipotesi e fu allora proclamata la Repubblica da un altro socialdemocratico, Philipp Scheidemann, ministro del Governo Provvisorio, d’intesa con il generale Groener, anche per svuotare di significato la ‘Repubblica Socialista’, annunciata, quello stesso 9 novembre, dal balcone dello Stadtschlossberlinese, dalla sinistra rivoluzionaria, quella degli ‘spartachisti’ Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin. Il giorno seguente Guglielmo II, pur gridando al tradimento, riparò in treno nei Paesi Bassi, dove sarebbe rimasto fino alla morte, nel 1941.

A firmare la capitolazione della Germania non furono,dunque, gli esponenti del vecchio regime o i generali dell’esercito imperiale, bensì gli uomini del nuovo governoprovvisorio. Ciò permise alla propaganda di destra di bollarli successivamente con l’epiteto di criminali di novembre, che avevano pugnalato alla schiena la patria tedesca: se essi non avessero incitato il popolo alla rivoluzione, alla fine della Monarchia, il Reich avrebbe potuto proseguire il conflitto e vincerlo (o, almeno, non perderlo).

Quando iniziarono a tuonare i tragicicannoni d’agosto”, nel 1914, le rotte commerciali tedesche furono immediatamente bloccate dalla volontàcongiunta dei due principali Paesi dell’Intesa. Un proclama britannico sancì il diritto incontrastato dimpedire alla Germania qualsiasi scambio, commercio o contrabbando di ogni genere di merce, non solo armi ed equipaggiamenti bellici. Durante il ventennio precedente Sarajevo, si era assistito ad un’esplosione demografica tedesca che registrava ora una popolazione di circa 70 milioni. Lo sviluppo industriale si era analogamente incrementato, imponendo un radicale cambiamento economico al Paese. La propria agricoltura non soddisfaceva i crescenti bisogni. La produzione di grano raddoppiò, ma si dovette importarne grandi quantità dagli Stati Uniti. Gran parte dell’esplosione demografica si verificò nei centri urbani, a scapito delle zone rurali. In sostanza, nel 1914 l’industria tedesca prese il posto dell’agricoltura e gli effetti di tale radicale mutamento economico non tardarono a manifestarsi quando fu chiaro che la guerra non sarebbe finita in pochi mesi. Gli effetti  dell’embargo dell’Intesa determinarono la mancanza di cibo per la popolazione e le truppe di una nazione altrimenti in grado di sopperire al proprio fabbisogno bellico, in termini di armi, munizioni e rifornimenti. L’embargo fu una delle componenti chiave della guerra di logoramento. Una volta impantanate le truppe nelle trincee, all’Intesa sarebbe bastato resistere, fino allo sfinimento del popolo tedesco. Che alla fine si verificò, accelerato dall’esempio della Rivoluzione bolscevica e dalla terrificante epidemia dell’influenza ‘spagnola’, inconsapevolmente portata in Europa dai soldati statunitensi. Si calcolano 763.000 morti per denutrizione/malattia, causate dall’embargo, per la sola popolazione civile tedesca durante gli anni di guerra. Il commercio estero crollò dai 5 miliardi di dollari del 1913 a 800 milioni di dollari nel 1917. In seguito al blocco totale causato dall’embargo si dovette attendere fino al 1930 prima di riprendere gli scambi commerciali internazionali. (Da Alessandro Gualtieri, La Grande Guerra 1914-1918, 2009, in: http://www.lagrandeguerra.net/ggembargo.html).

In pratica, la Prima Guerra Mondiale fu una guerra di logoramento ed annientamento, che vide contrapposti non solo due eserciti, bensì due apparati produttivi, due sistemi sociali, impegnati a garantire alle forze armate le risorse umane e materiali indispensabili per continuare a combattere. Nell’inverno 1916-1917, la situazione alimentare in Germania si fece drammatica, come detto. La mortalità infantile, rispetto al 1913, salì del 50%.

La Conferenza di Pace portò alla firma dei trattati tra le varie nazioni belligeranti a Versailles con la Germania (28 giugno 1919), che venne considerata lunica colpevole del conflitto, anche se non lo era più di altre Nazioni belligeranti, anzi, lo era di meno. Il Diktat imposto dalle Potenze vincitrici, oltre a essere oltremisura pesante per l’economia tedesca, fu talmente umiliante da alimentare quel sentimento nazionale di rivincita e riscossa che il nazismo poi sfruttò per ascendere al potere nel 1933 e per consolidarlo.

Il 29 settembre 1918 l’Armistizio di Saloniccolontano dagli inferni di Verdun, del Chemin des Dames, d’Ypres, dell’Isonzo, dei Laghi Masuri anticipò e determinò il crollo degli Imperi Centali; forse non decise,ma pose un punto di non-ritorno alle sorti della Grande Guerra, ai suoi immani sacrifici ed eroismi, a 17 milioni di morti e a più di 20 milioni di feriti e mutilati, sia militari,sia civili.

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Gianni Marocco

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