Rivista. Neoborbonici contro filo-risorgimentali su “Storia in Rete”. Uno scontro impari

Ci vuole coraggio a cercare il confronto ad armi pari, di questi tempi. Un coraggio raro dimostrato il mensile di Fabio Andriola, che ha mandato in edicola un corposo speciale intitolato “Savoia Vs. Borbone” in cui si confrontano le tesi dei cosiddetti revisionisti neo-borbonici con quelle di chi invece sostiene l’inevitabilità e la bontà del coronamento dell’unità d’Italia.

Sebbene “Storia in Rete” non abbia mai nascosto la propria linea filo-risorgimentale, il giornale è riuscito a mettere a confronto con equanimità le posizioni di autori quali Pino Aprile, Gigi Di Fiore e Gennaro De Crescenzo con quelle più o meno filo-sabaude, ma tutte pro-risorgimento, di Pierluigi Romeo di Colloredo, Aldo Mola o Sergio Boschiero e altri. Il risultato è tuttavia una quasi-Caporetto per gli avversari dell’unità d’Italia. Pervicaci nel sostenere le loro tesi, finiscono in una ripetizione autoreferenziale di citazioni ed auto-citazioni, che sfiora l’autismo quando si ignorano sistematicamente le smentite per tabulas da parte della storiografia scientifica. Vale per esempio per la questione di Fenestrelle, dove vennero inviati i soldati del disciolto esercito duosiciliano per essere integrati in quello unitario. I neo-borbonici sostengono che Fenestrelle fu una sorta di Auschwitz ante litteram. Ma davanti alle smentite carte alla mano di storici come Bossuto e Costanzo delle fantastiche cifre di “migliaia di morti sciolti nella calce viva” continuano a ripetere la storia di massacri e genocidi. Così come “genocidio” è il termine a cui si sono affezionati caparbiamente autori come Pino Aprile e Gennaro De Crescenzo, nonostante il puntiglioso e quasi pedante studio di Mastrangelo abbia dimostrato attraverso le stesse documentazioni statistiche del Regno delle Due Sicilie che non vi fu alcun “genocidio”, che non mancarono all’appello quelle centinaia di migliaia di cristiani favoleggiati da Aprile e che se perdite di vite umane vi furono – e vi furono – vanno ricondotte allo spirito dei tempi, senza alcuna volontà da parte della dirigenza sabauda di “sterminare” la popolazione delle terre appena unite al neonato Regno.

Il mito della “Borbonia Felix”, con buona pace del lungo articolo di Pierluigi Romeo di Colloredo sembra dunque essere impermeabile a qualunque critica scientifica. A nulla vale l’impietoso confronto fra i km di ferrovia costruiti da nord e sud prima dell’unità per dimostrare che il primato della Napoli-Portici è una “gloriuzza” vanamente covata dai partigiani dei Borbone e doppiata venti volte in appena dieci anni dalle più dinamiche politiche piemontesi (ma anche di altri Stati pre-unitari). Così come viene ripetuto all’infinito il mito delle ferriere di Mongiana, un distretto industriale fuori da ogni rete commerciale (la ferrovia vi arriverà solo grazie al regno unitario, quando oramai era troppo tardi) e comunque di modestissima entità, basti pensare che la produzioni di fucili della reale armeria era pari a quella di una singola fabbrica d’armi di medie dimensioni del bresciano.

In questo dibattito è rimasto invece sullo sfondo un tema meritevole di maggiore approfondimento: quello degli sconvolgimenti sociali alla radice del brigantaggio e dell’emigrazione. Sconvolgimenti portati non tanto dall’unità d’Italia in se stessa, quanto dal “progresso” (come allora si interpretava il liberismo con una dose di ottimistica ingenuità) che accompagnò il processo unitario: la distruzione dei diritti secolari delle comunità rurali nel sud (peraltro effettuato ai danni dei “cafoni” non dai “piemontesi” ma dalle stesse classi parassitarie meridionali: notabili e baroni feudali) che anziché venire capitalizzato in investimenti di sviluppo, come avvenuto per esempio con le “enclosure” britanniche, finì a stagnare nel latifondo, piaga meridionale che dovette aspettare il Fascismo per essere veramente sanata. Ma poiché i periodici esistono non per essere esaustivi, ma per fornire un contributo incrementale al sapere, ci aspettiamo che in futuro “Storia in Rete” possa tornare su questi temi, anche in considerazione della sua vocazione: l’attenzione costante all’attualità.

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Alberto Lancia

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