Cultura. Se l'”intellettuale” moderno mette in crisi il concetto di Cultura

Credo sia pacifico ed evidente per tutti come la figura dell’intellettuale, cioè etimologicamente dell’uomo di intelletto, sia la più vituperata, la più negletta e sottovalutata. E, in parte, a ragione. Del resto, la stessa cultura, avvilita e ridotta dal pensiero liberal-progressista al grado di dispensatrice di buoni pensieri per anime belle, o a docile servetta dell’economia, non può che sortire un certo nauseante senso di disgusto per tutti coloro i quali, impossibilitati per natali e status sociale, a nutrire così fini e delicati pensieri, non possono far parte di quel ristrettissimo mondo popolato da signore alto-borghesi dalle pelli avvizzite, pennivendoli con frezze da suore laiche, giovani bru-bru in ascesa (ne parlava già Longanesi), e sciapide e slavate attricette o scrittrici in erba (in tutti i sensi…) colla puzza sotto il naso, spesso già figli di figli di figli di…e tutto quel corollario di varia umanità che impalma vicendevolmente sé stessa in sodalizi endogamici, per preservare i suoi privilegi di casta.

Stando così le cose, ci sembra veramente impresa impossibile riportare la cultura ai suoi antichi fasti (nulla a che vedere con soirée mondane…). L’intellettuale (Se questi sono degli intellettuali??) – credo sia chiaro per tutti – oggi non può giustificare sé stesso, può solo, “miracolosamente” cooptato nel rutilante mondo dell’editoria che conta o facendone già parte per casato, difendere i suoi privilegi, incapace di giustificare socialmente il suo ruolo. E in effetti a guardare quanto espresso da certi imbrattatori di carte di tal fatta nulla potrebbe giustificare il loro status socio-economico…

L’intellettuale quale uomo di intelletto, dovrebbe – a rigor di termini – contraddistinguersi per la propria capacita di “meta-osservazione” sulle vicende umane e universali, il suo animale di riferimento dovrebbe essere l’aquila, non lo sciacallo o la iena, ma siamo ormai nell’era della “post-verità”… Julien Benda già ebbe a parlare della cosiddetta trahison des clercs, ossia di quel voltafaccia compiuto dinanzi a principi gnoseologici, epistemologici ed etici dagli intellettuali del suo tempo, gettatisi anima e corpo in un attivismo discentrato e fatuo.

La colpa è da rintracciarsi invero ai tempi di Voltaire e degli illuministi, ma la strada in discesa già intrapresa un due secoli prima con l’Umanesimo. L’intellettuale, sulla via della modernità, ha preteso svincolarsi da signori, corti e conclavi (per la verità in taluni casi a ragione). Anche se i cosiddetti “philosophes” ebbero in verità di che ben mangiare a corte dei sovrani e furono addirittura protetti da chierici, quando non lo furono loro stessi: si pensi all’abate Meslier che di giorno celebrava messa e di notte scriveva libelli anticristiani…La patata bollente, in effetti, la passarono ai loro colleghi dei secoli a venire che, in un mondo capovolto, senza le cure offertegli da nobili raffinati, o commissioni da parte di prelati ed ecclesiastici in genere, lontani dagli ambienti idilliaci del pre-rivoluzione industriale, insomma, dovettero imparare a darsi di che vivere in un contesto sociale quasi del tutto “desacralizzato”, fatto di macchine, speculazioni finanziarie, e volgarità, spesso finendo a fare la fine del sorcio…

A partire dalla rivoluzione scientifica e dall’età dei Lumi, come genere letterario, a prevalere sul trattato – con la scusa che questo fosse prolisso e noioso, legato a doppio filo con la Scolastica – è il pamphlet, agile e coinciso, ma spesso e volentieri anche frivolo e approssimativo…Si apre così l’era delle “volgarizzazioni”…

E in effetti l’intellettuale moderno è light, ha smesso di indagare le cause, se lo fa è in modo del tutto superficiale, non sia mai che unisca cultura e vita, o meglio, essere e pensiero, egli è un abile operatore culturale (non che non serva esserlo, ma ridursi a questo…), un sofista da salotto (oggi da salotto televisivo), uno che vende la sua immagine e il suo prodotto, come fosse un qualsiasi rappresentante porta a porta, gettando in pasto al popolo dei borghesi semi-colti (che ancor più ignoranti di lui, pendono dalle sue labbra avendo il sogno riposto di essere come lui) il boccone avvelenato impastato di rimasticature tratte dal “manuale del pensiero unico” e distorsioni e pregiudizi dovuti agli evidentissimi suoi ristretti confini mentali (che propugna come fossero il Verbo), con qualche spruzzatina di pop e ironia di quart’ordine che non guasta mai. Insomma – per citare Benn – lo “smalto sul Nulla”.

Il bello (si fa per dire) è che come le “masse” di Ortega y Gasset, che “essendo volgari e non vergognandosene, osavano imporre la loro volgarità dappertutto”, quasi fosse un metro di giudizio, queste figure di intellettuali osano imporre l’unità di misura del proprio cervello nel giudicare chiunque metta in discussione il loro mondo non possedendo le loro “parole di passo” – del resto, trattandosi di consorterie… –  e dunque: finta cordialità e compostezza da bravo/a collegiale capace di tramutarsi nella più bieca invettiva contro lo spauracchio-feticcio “fascista”, superficialità da chi ha forgiato la sua educazione sentimentale tra un film di Ferzan Ozpetek e un’ammucchiata in Erasmus a Barcellona, ignoranza di chi ha fatto di Fabio Fazio il suo precettore in materia di letture.

“Chi comanda fa legge”, dice il detto, e Pareto ci aveva già avvisati con la sua teoria delle elìte… Essi vegliano, guardiani della rivoluzione de-pensante. Non prevalebunt!

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Giovanni Balducci

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