Focus. Evola critico del costume (contro i condizionamenti di un Nuovo Medioevo)

Julius Evola
Julius Evola

Il fatto che, tra le altre cose, nel corso della sua lunga carriera Julius Evola si sia distinto anche come giornalista – scrivendo centinaia di articoli sulle più svariate testate – non è privo di relazione con la sua visione del mondo. Una serie di antologie a cura della Fondazione che porta il suo nome e di altre case editrici hanno valorizzato tale attività, che non può essere tenuta distinta dalla saggistica. Strutturalmente, Evola è infatti un pensatore a cavallo tra modernità e Tradizione, che da un lato attinge a fonti alternative ma dall’altro non ha paura di cimentarsi con il presente. Ed è proprio in questo frangente che si colloca la sua produzione “d’occasione”.

Valga come esempio la sua collaborazione al «Roma» (nato nel 1862 e nel secondo dopoguerra passato ad Achille Lauro), tra le più longeve, con oltre duecento contributi firmati tra il 1934, anno di Rivolta, e il 1973, poco prima della sua scomparsa. Gli articoli del «Roma» coprono molti degli interessi evoliani, tra cui una spietata critica dei costumi nell’Italia “liberata” degli anni Cinquanta, di un’attualità sconcertante. Queste incursioni nel presente – spesso stimolate da libri o fatti di cronaca – sono ovviamente compiute in base a princìpi ben differenti da quelli utilizzati da altri critici.

Studioso dei fenomeni tradizionali, Evola si mette alla prova cartografando quelli moderni. Qualche esempio? L’articolo La razza dell’uomo sfuggente, uscito sul «Roma» il 3 febbraio 1951 e poi raccolto quindici anni dopo ne L’arco e la clava. Si parla di immoralismo: non quello “canonico” descritto da Harold Bloom, beninteso, ma uno sfaldamento senza precedenti, il venir meno di ogni ordine e principio interiore, visto aprioristicamente come dispotico e “liberticida”. Un mutamento inaudito che non coinvolge solo i “massimi sistemi”, ma si riverbera anche nelle piccole azioni quotidiane, «nell’incapacità di mantenere un impegno, la parola data, la direzione già presa, un dato proposito». Chi la pensa in modo diverso è ovviamente un reprobo, un “moralista”.

Ma quella tra moralismo e immoralismo è una falsa alternativa, ed è inutile ricorrere ai vecchi valori (il “regime dei residui” di Cavalcare la tigre, scritto proprio in quegli anni ma pubblicato un decennio dopo) per uscire dall’impasse. E così in altri articoli Evola non manca di criticare la morale stessa, ad esempio quella anglosassone in materia di sessualità, «una specie di odio teologico che ha informato una educazione che fa considerare fin da principio come qualcosa di disgusting tutto ciò che riguarda la vita del sesso» (11 gennaio 1951).

Anche in questo caso, l’analisi dei fenomeni di costume può servire da cartina di tornasole, se è vero che in uno dei suoi articoli Evola parla addirittura della vita notturna – oggi diremmo movida –, vedendovi un contrappunto a un mondo interamente borghese. È quest’ultimo, scrive il 26 maggio 1954, ad aver «creato l’antitesi tra la vita normale diurna, più o meno addomesticata, familiare e conformista, e la “vita notturna”, con carattere di cosa proibita e più o meno peccaminosa, concepita come una specie della compensazione della prima». Una libertà prefabbricata che, tuttavia, finisce per anestetizzare esteticamente, conducendo a una banalissima noia.

È dunque il costume a rivelare le contraddizioni di un mondo borghese che si finge trasgressivo, una società vecchia che s’immagina giovane. Basta leggere l’articolo Col passare degli anni la forza d’inerzia prevale (24 maggio 1957), dedicato alla giovinezza e al suo culto, a cui di recente ha dedicato pagine auree Riccardo Paradisi nel suo Un’estate invincibile, edito da Bietti. Nella società “libera” degli anni Cinquanta i giovani vengono considerati «esponenti e portatori per eccellenza della visione moderna della vita». Sennonché la gioventù di cui si sta parlando è «quasi esclusivamente fisica e fisiologica», ancorata (e condannata) al trascorrere del tempo e non diretta alla ricerca di ciò che si sottrae al divenire. Ma la vera giovinezza, osserva Evola, non è una fase della vita ma un modo di vedere le cose, «una inclinazione per l’incondizionato, è l’essere liberi e aperti, è l’esser capaci di un certo slancio o impulso per cui si ripugna al compromesso, ci si impegna a fondo, non si agisce in base a un piccolo egoismo ed a un basso interesse». È alla luce di questa Weltanschauung che la stessa libertà – di cui tutti, oggi come allora, si riempiono la bocca – muta radicalmente, sublimando la sartriana condanna a essere liberi nell’idea che la libertà sia quel compito e destino di cui ha parlato Nietzsche (e che Evola riprenderà soprattutto in Cavalcare).

Nulla di più distante, ovviamente, dalla società qui descritta, che nell’incapacità di attuare una simile libertà preferisce comprarsela, eleggendo a guru i persuasori occulti descritti da Vance Packard, i quali, come titola un articolo evoliano del 19 settembre 1958, studiano come farvi comprare ciò che non vi servirebbe affatto. Tra i pezzi più significativi e attuali del «Roma», è dedicato alla Motivational Research, che crea desideri da soddisfare attraverso nuovi prodotti, mescolando l’anarchia del capitale, «una superproduzione non assorbita dal mercato» e «la virtuale standardizzazione di molti prodotti». Ma l’aspetto che interessa a Evola della MR è l’immagine dell’uomo che trasmette. Secondo la MR, infatti, l’Io è diviso in tre strati. Nel primo, siamo padroni delle nostre azioni e reazioni. Il secondo è invece preconscio: l’Io è parzialmente padrone di sé, agisce in base a sentimenti che percepisce in modo chiaroscurale. Del terzo e ultimo, infine, siamo completamente all’oscuro. Ebbene, la MR manipola gli ultimi due livelli, influenzando sotterraneamente il primo, volitivo.

Basandosi sui classici del pensiero psicanalitico, da Adler a Freud, vengono in sostanza aperte faglie all’interno dell’Io, che si trova a obbedire in maniera semicosciente a “influenze subliminali” eterodirette, come accade coi fenomeni spiritistici – e non è un caso che in Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo vi sia un capitolo dedicato al freudismo. Il risultato è lo stesso, e quest’articolo può così essere considerato un piccolo aggiornamento del libro del 1932, analisi di influenze sottili che conducono l’umanità a uno stadio, descritto da Orwell o Huxley, in cui «l’individuo viene sempre più condizionato attraverso la sua parte irrazionale, determinato da suggestioni esterne». Se consideriamo la potenza dilagante dei social network e la costante virtualizzazione delle nostre esistenze, capiremo che queste righe non sono invecchiate di un giorno.

Ma non è tutto. Il meccanismo si fa particolarmente insidioso se dall’economia si passa alla politica: «Nelle ultime campagne elettorali americane sono stati applicati gli stessi metodi spregiudicati basati sulla MR. Analoghe sono le tecniche con cui i partiti offrono agli elettori un candidato, un programma o perfino un presidente». Tecniche assai inflazionate anche da noi – e la stagione elettorale che si è appena chiusa ne è il tragico inveramento – indici di un mondo nel quale «si “fabbrica” l’opinione pubblica» e la libertà si risolve nell’aderire a una voga (oggi si direbbe un brand) e non in uno sviluppo interiore.

La nostra è una civiltà che celebra il nuovo che avanza facendo leva, per una singolare eterogenesi dei fini, proprio su quelle forze derubricate ai “secoli bui”. Un Nuovo Medioevo, schiavo di altri dogmi che possono essere discussi e criticati solo facendo riferimento a un differente ordine di idee, che non si esaurisca nella dimensione materiale dell’uomo e della storia. Una dimensione di cui Julius Evola si fece testimone, muovendosi tra alto e basso, Tradizione e Modernità, percorrendo un iter che, a centoventi anni dalla sua nascita, è più vivo che mai, radicale alternativa alla volgarità dilagante e stracciona del nostro presente.

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Andrea Scarabelli

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