La storia. Corridoni (raccontato da Gennaro Malgieri): un arcangelo del lavoro per la rivoluzione nazionale e sociale

Filippo Corridoni
Filippo Corridoni

Nel giorno in cui si celebra il lavoro che non c’è ricordiamo Filippo Corridoni con il saggio “metapolitico” di Gennaro Malgieri 

Nell’epoca in cui le “sintesi sociali” avvengono sì ma solo per sottrazione – come quella dell’ultimo governo “di sinistra”, guidato da Renzi prima e Gentiloni dopo, che ha sacrificato uno dei simboli, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sull’altare della “flessibilità”, sol dell’avvenire 3.0 predicato nei Paesi nordici – le celebrazioni di una festa in piena crisi di identità (e di lavoro), come quella del Primo maggio, rappresentano un’occasione ghiotta per portare l’attenzione su una delle figure centrali – ma colpevolmente censurata, oscurata e rimossa dal dibattito ufficiale – dell’inquieto ‘900 che ha tradotto in prima persona e fino alle estreme conseguenze l’azione sindacale, legando coscienza di classe e interesse nazionale lì sulla trincea del Carso. Lo scopo? Portare il proletariato – nel nome del conflitto inteso come mutamento, rigenerazione – a diventare «soggetto di primo piano nella vicenda nazionale e dunque legittimato a decidere del destino della più vasta comunità». Ossia della Nazione.

Con queste parole Gennaro Malgieri – studioso attento, giornalista, già parlamentare del Pdl – restituisce di Filippo Corridoni ciò che «l’arcangelo sindacalista» ha donato alla “comunità” operaia degli anni ’10 del secolo scorso e poi agli interpreti di quello «spirito nuovo» che su questo costruirono il solidarismo fascista, e nel dopoguerra, la Cisnal, la confederazione “di destra” sorta nel solco tracciato dal rivoluzionario marchigiano (ancora oggi richiamato dall’Ugl). Non solo un esempio eccezionale di “milite” del lavoro quindi, ma una sintesi incarnata e ragionata di etica ed estetica, di pacifismo ed interventismo, di socialismo e nazionalismo così come di ricette che ritornano attuali oggi, come l’antiparlamentarismo e la democrazia diretta, o di presunte antinomie, il liberismo inteso come “medicina” antiborghese e la scuola «libera» dai condizionamenti dello Stato.

C’è stato tutto nella vita avventurosa di questo sindacalista rivoluzionario: ispirato da Sorel, e quindi diversamente marxista; giunto poi a sposare la causa nazionale, minacciata dagli Imperi centrali e dall’accidia dello Stato giolittiano, intesa come forza liberatrice della classe operaia; morto, dopo una gioventù trascorsa su posizioni anti-interventiste, da volontario e a soli ventottanni sulla Trincea delle Frasche nel 1915 perché intravvide nella guerra, come ricorda chi lo ha conosciuto, «quella rivoluzione nazionale e sociale che egli predicò nelle piazze».

Il percorso, affascinante, spericolato e come vediamo pieno di vitalistiche contraddizioni, è tracciato con precisione e con una chiave di lettura diacronica in Corridoni (edizioni Fergen, pp. 105, €10), un’opera agile ma significativa dove Malgieri aiuta ad andare oltre la parabola dell’eroe santificato dopo la morte dal fascismo (Corridoni fu amico e sodale del Benito Mussolini socialista e agitatore), per restituirci la figura completa di un rivoluzionario “morale” e non moralista che ha individuato nel sempreverde trasformismo parlamentare e nell’accomodamento delle élite, che fuggono dalla loro missione storica per accasarsi sotto il mantello dello Stato ieri e dell’Ue oggi, quel freno a mano tirato che blocca lo sviluppo e annichilisce gli elementi vitali, la vena viva di una Nazione: i suoi lavoratori. (da Il Tempo)

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Antonio Rapisarda

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