Storie di Mare. “Cristoforo Colombo”: un veliero e un transatlantico orgoglio della marineria italiana

Nave Scuola "Vespucci" (a sx) e "Colombo" nel 1935.
Nave Scuola “Vespucci” (a sx) e “Colombo” nel 1935.

Nella storia della navigazione i nomi delle navi tendono ad essere riproposti per nuove classi di vascelli, specie se i precedenti “titolari” hanno compiuto operazioni gloriose e si sono guadagnati un nome nella tradizione marinaresca. Accadde all’Amerigo Vespucci, nave scuola della nostra Marina Militare che, quando fu varato nel 1931, venne battezzato come un veliero disarmato pochi anni prima e il cui ultimo comandante ebbe l’onore di essere il primo della nuova unità. Ai tempi il Vespucci aveva un gemello, di poco più piccolo della “capo classe” (e più anziano di tre anni), anch’esso intitolato ad un grande navigatore, Cristoforo Colombo.

La Seconda Guerra Mondiale segna uno dei momenti più bui della storia militare italiana; la Marina, in particolare, dopo tensioni, incubi e ripensamenti del suo Stato Maggiore è costretta ad obbedire ad un ordine terribile: consegnare la flotta agli anglo-americani.

Sebastopoli, URSS, 28 ottobre 1955. La “Novorossijsk” (già corazzata “Giulio Cesare”) affondata. Per anni è circolata la leggenda che gli autori dell’affondamento fossero ex uomini gamma italiani. La data della tragedia, d’altronde, ha contribuito ad alimentare tali teorie.

E’ il 9 settembre 1943 quando ciò che resta (in realtà un discreto naviglio) della Regia Marina fa rotta su Malta. Le durissime clausole armistiziali impongono a Roma di cedere buona parte dei migliori vascelli alle potenze vincitrici, fra le quali l’Unione Sovietica che si prende la corazzata Giulio Cesare e la nave scuola Cristoforo Colombo. Riparazioni belliche che, dal punto di vista sovietico, vogliono dire buoni scafi per rafforzare una flotta che nel corso del conflitto ha avuto un ruolo piuttosto marginale, eccezion fatta per alcune operazioni nel Baltico e nel Mar Nero. Ad attendere ambedue le navi italiane, però, c’è un triste destino: la corazzata, urtando una vecchia mina, affonda a Sebastopoli nella metà degli Anni Cinquanta trascinando con sé anche una squadra di vigili del fuoco; la Colombo è usata come Nave scuola per poi essere privata degli alberi e sfruttata quale deposito galleggiante.

Ne Il compagno don Camillo l’irriverente sacerdote emiliano, fintosi comunista in Russia, suscita i malumori di un “compagno” marittimo indicando la Colombo come splendida nave sovietica, con il marinaio che risponde secco di aver lavorato lui stesso alla realizzazione dello splendido e italianissimo velerio, il cui nome non è Djuba (Danubio, nda) ma, appunto, Cristoforo Colombo. E’ forse l’ultima citazione del vascello nella cultura nostrana, perché di lì a pochi anni incuria, abbandono e un devastante incendio trasformano il gioiello dei cantieri navali di Castellamare di Stabia in un tizzone prima posto in disarmo, poi demolito e comunque dimenticato sia in Italia sia in Russia.

La “Stockholm” sperona e affonda l’ “Andrea Doria”. Da “La Domenica del Corriere” del 5 agosto 1956

Ma l’eco del navigatore genovese e della sua impresa oltre l’Atlantico continua ad animare e a rendere orgogliosa di sé la marineria italiana. Infatti, mentre una Colombo attende il suo destino in URSS ecco che un’altra inizia a solcare il mare per conto della Italia-Società di Navigazione. E’ una nave sfarzosa, gemella dell’Andrea Doria (colato a picco nel 1956 di fronte a New York) nonché nave “sorella” della Raffaello Sanzio e della Michelangelo di fatto gli ultimi esemplari naviganti dell’epoca d’oro dei transatlantici. Mentre l’areo sostituisce le rotte marine per coprire grandi distanze, la Colombo cerca di preservare e di portare avanti la secolare tradizione del viaggio via Oceano per raggiungere e collegare continenti lontani. Un compito utopico, quasi quello dell’uomo di cui porta il nome. Ma se il Colombo in carne ed ossa riuscì, alla fine, a vedere la striscia di terra all’orizzonte, il destino riservato al fastoso transatlantico made in Italy fu più anonimo. Infatti, posta in disarmo, verrà anonimamente demolita agli inizi degli Anni Ottanta. Stessa sorte per la Michelangelo e per la Sanzio, quest’ultima destinata allo Scià di Persia quale lussuosa nave da crociera, poi abbandonata dopo la Rivoluzione iraniana e infine bombardata e affondata dai caccia iracheni impegnati nel conflitto con l’Iran.

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