Pippo Pattavina è uno dei nostri più grandi attori tragici. Gli attori tragici sono sempre grandi attori comici; il reciproco talora non si dà. Ora egli si è concesso il lusso – lo spettacolo è in scena al catanese “Brancati” – di una serata quasi florilegio, una propria antologia. Canta, recita poesie in lingua e in siciliano, comiche e tragiche; e regala tre sketches d’avanspettacolo avendo quale compagno, assai più che spalla, il dotatissimo Santo Pennisi, catanese di Acireale.
Certe scenette dei De Rege noi vecchi le abbiamo viste interpretate da Totò, poi da Walter Chiari con Carlo Campanini; quindi il confronto è intimidatorio come con Randone e Ferro nel “tragico”. Pattavina ha per cifra stilistica l’understatement, un elegante procedere sotto tono; la sua padronanza dei toni vocali – ovviamente recita senza microfono, uno dei pochi rimasti – gli consente quella voce sommessa che gli è propria, ma anche una serie si sfumature timbriche di rara raffinatezza. Così la grassa comicità delle scenette – per esempio la vendita di penne pornografiche: atmosfera anni Cinquanta – diviene talora astratta. Dietro ogni siciliano può esserci un naturale surrealismo, forse inventato da Gorgia da Lentini e poi incarnato supremamente da Pirandello. Di tale surrealismo Pattavina è l’ultimo erede isolano.
Egli è un grande anche fuori da Pirandello. Se ho fatto l’auspicio di poter vederlo impersonare il protagonista del Berretto a sonagli (egli mi dice di aver “fatto” solo Fifì e il Delegato Spanò), allo stesso modo vorrei che qualche teatro riallestisse Il malato immaginario con la sua regia, La governante di Brancati, e tanto altro. Non ne esistono nemmeno registrazioni; e di testimonianze come queste abbiamo bisogno, per memoria storica. Saranno manoscritti messi in una bottiglia, nella speranza che in un improbabile futuro qualcuno li legga.
*Da Il Fatto Quotidiano