Cultura. Il simbolismo del cervo, il re della foresta

Simbolismo del cervo
Simbolismo del cervo

In tempi dove i simboli e i miti vengono volontariamente cancellati, dimenticati o rinchiusi in maniera amorfa dentro i musei per divenire, in maniera stantìa, eterna prassi del quotidiano fine a se’ stessa, vogliamo mettere in evidenza uno degli animali che hanno fatto e fanno riferimento alla ancestrale cultura indoeuropea. Stiamo parlando del cervo.

Animale nobile e con portamento aristocratico, ha fatto parte del patrimonio simbolico, esoterico e religioso della cultura indoeuropea (e non solo).

Come si può leggere molto chiaramente in un vecchio articolo di Alberto Lombardo, apparso su “La Padania” del 16 settembre 2001:

“Il nome di questo animale ci viene dal latino cervus: parola dalle origini assai lontane, risalente a un’antica forma indoeuropea *ker-wo- (che è ampliamento in -u di *ker, “testa”), attestata in più aree, ossia in quella celtica (gallese carw, cornico carow, bretone karo), germanica (antico alto tedesco hiruz), baltica (prussiano sirwis, “capriolo”) e greca (xeraós, “cornuto”)”.

E sempre nello stesso articolo, Lombardo, mette in evidenza altri aspetti, secondo noi da mettere assolutamente in primo piano:

“Questa importanza centrale del cervo è stata spiegata egregiamente da Adriano Romualdi, un profondo studioso della preistoria indoeuropea: egli identificò il cervo con l’animale dei cacciatori del Nord, contrapposto nel simbolismo al toro, elemento della forza cieca generatrice e tipico delle precedenti civiltà matriarcali. Lo scontro tra i due opposti simbolismi, tanto chiaro in Irlanda, in Scandinavia, in Val Camonica, è la raffigurazione nei simboli di due civiltà e anche di due diversi principi, e il cervo in questa contrapposizione assume l’emblema di animale tipico della civiltà indoeuropea. Scrive Romualdi: «Dietro a questo urto di simboli, dietro all’espansione dei popoli dell’ascia da combattimento e alla diffusione dei linguaggi indoeuropei, si cela un avvenimento di grande importanza spirituale. È il principio paterno che si urta contro la “civiltà della madre”; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità; l’ethos delle “società degli uomini” contro la promiscuità entusiastica dell’antico matriarcato»”.

Il cervo è anche uno degli animali più importanti della cultura celtica, per la sua connessione con il mondo dei morti e con Cernunnos, dio della virilità, della fecondità, della guerra. Dio presente e raffigurato anche nel Calderone di Gundestrup, manufatto celtico della fine del II secolo a.C., ritrovato nel 1891 nello Jutland.

Adorato anche in molte altre aree, questo animale cornuto è legato, per esempio, anche alle leggende legate all’eroe di Leinster Finn: i suoi discendenti si chiamavano Oisin-ovvero cerbiatto- e Oscar, che significa “amante del cervo”.

Ma anche nella tradizione cristiana la perdita periodica dei palchi, è associata alla Resurrezione del Cristo. Episodio famoso, sempre per la tradizione cristiana, è quello di Sant’Eustachio. Placido, generale dell’esercito dell’Imperatore Traiano, mentre si trovava nel bel mezzo di una battuta di caccia, si imbattè in un cervo, il quale in mezzo alle sue corna, figurava il volto del Redentore. Quest’ultimo gli disse: “Placido perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere”. Da quel momento, il generale cambiò il nome in Eustachio, facendosi battezzare.

L’essenza, la divinizzazione e la figurazione di questo bellissimo e nobile animale, la possiamo ritrovare anche in tradizioni come quella sciita, indù, nello shintoismo. Qui, ad esempio, i cervi sono considerati i messaggeri degli dèi. Ma anche nella tradizione germanica ed ellenico-romana è presente, con i cervi associati alla dea Artemide.

Il cervo bianco, invece, è simbolo di purezza. Acquistò notorietà nel ciclo arturiano, quando appare nelle foreste attorno alla corte di Re Artù, incitando i cavalieri all’avventura.

Anche nella toponomastica e nelle manifestazioni folkloristiche nostrane, possiamo trovare riferimenti a questo animale. Come scrive Cristina Coccia, infatti:

“Numerose anche le testimonianze nella toponomastica. In Campania esistono due paesi che, nell’origine etimologica del loro nome, richiamano l’immagine del cervo: Cervino, in provincia di Caserta e Cervinara in provincia di Avellino. A Cervino, tra l’altro, nella frazione di Carmiano, sono conservate le rovine di un antico tempio dedicato a Diana. Più incerta è l’etimologia di Cervinara, che potrebbe derivare sia da ara Cereris che da ara cervis. Gli stemmi comunali di entrambi i paesi riportano l’immagine di un cervo.
Esistono, inoltre, elementi residuali dell’arcaica funzione iniziatica e sacra del cervo nelle manifestazioni folkloristiche molisane: in particolare, a Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta al Volturno (provincia di Isernia), ogni anno, in occasione dell’ultima domenica di Carnevale, si tiene una manifestazione in cui è presente un Uomo-Cervo, il quale, durante una rappresentazione rituale, è ucciso da un cacciatore. Gli abitanti del luogo spiegano questo rito ipotizzando che il cervo rappresenti la forza distruttrice della natura, che può improvvisamente scatenarsi e contro cui l’uomo deve combattere. Più probabile potrebbe essere la presenza, in questi paesi, di residui di riti pagani o di ricordi risalenti alle popolazioni italiche e al ruolo totemico del cervo, testimoniato dal gentilicium Cervidius risalente all’epoca in cui, in queste aree, si parlava la lingua osco-sannitica”.

Rinascita, ciclo eterno della vita, rinnovamento, coraggio, nobiltà d’animo. Questo è il cervo.

Che, tra gli altri, dovrebbe essere preso come simbolo di rinascita europea. L’Europa, infatti, come i suoi palchi, dovrebbe rinnovarsi, trasmettere e vivere il mito di rigenerazione verso un cammino accompagnato dai tempi che furono: stoica, cavalleresca, regale, aristocratica e cortese. Incamminandosi così, verso una nuova primavera.

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Nicola Sgueo

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