Auto-Design. Sei “corti” anni di grandi disegnatori, linee aerodinamiche, auto affascinanti (1934-’39)

È stato un momento unico nella storia dell’automobile, straordinariamente ricco di novità, soluzioni, proposte, provocazioni. Durato sino allo scoppo del grande conflitto europeo e poi mondiale.  Iniziato e generalizzatosi praticamente nel 1934, allorché la Chrysler lancia l’Airflow. Quell’auto sarà forse la sola vettura di serie di un periodo di grandi cambiamenti ed innovazioni estetiche ad avere una reale base aerodinamico-scientifica. Walter Chrysler si servì allo scopo dei consigli di Orville Wright, pioniere dell’aviazione.

La Airflow segna una sorta di cesura tra il car design europeo e quello statunitense: in Europa esso si sviluppa, infatti, a partire dagli studi dell’aerodinamica applicata alle auto, influendo su consumi ed affidabilità in un momento di accentuata contrazione nelle vendite; la Airflow raccoglie, si direbbe, questa sfida, ma non convince il mercato nordamericano che, tra l’altro, non si deve preoccupare del costo dei carburanti alla pari di quello europeo. Peraltro il Cx non incide molto a velocità limitate. La vettura si rivela un fiasco commerciale. Presto delusi, i designers d’oltreoceano torneranno a rivolgersi ad ispirazioni prevalentemente aeronautiche, ma di puro stile o capriccio stravagante. L’Airflow si colloca nell’ambito dello stile Streamline moderno, una derivazione dell’ultimo Art Decò che si sviluppò negli anni ’30, enfatizzando le forme curve, lunghe linee orizzontali ed alcuni elementi nautici. Ebbe il suo apogeo tra il 1934 ed il ‘40, proponendo cambi formali in armonia con un nuovo mondo che stava sorgendo, con i miti del dinamismo, della velocità, dei metalli leggeri, dell’anticonformismo. Uno stile eclettico, sintetico, e al tempo stesso volumetricamente aerodinamico, turgido e opulento, una forma alternativa del Modernismo in architettura. Lo stile streamline si è radicato tanto negli USA da diventare sinonimo di disegno industriale.

Se la nuova linea di Chrysler non fu molto apprezzata negli USA, viceversa lo fu molto all’estero, tanto da venire ampiamente imitata. È il caso, solo per fare alcuni esempi, della Lancia Aprilia del 1936, della Fiat 6C 1500 del 1935, della Volvo PV 36 Carioca (1935-1938); della Toyota AA, del 1936, la prima auto Toyota prodotta; della Citröen Traction Avant, 11 CV, del 1935, disegnata da Flaminio Bertoni, un geniale designer italiano, la prima vettura di gran serie a trazione anteriore, oltre che a scocca portante, preceduta nel 1929 dall’americana Cord L-29, ma di alta gamma; della cecoslovacca Tatra T-97, della famosissima  KdF-Wagen (Volkswagen),  del  1938,  il famoso maggiolino,  voluto da Adolf Hitler, e progettato da Ferdinand Porsche, che s’ispirò alla Tatra T-97                                                     più che non alla Chrysler, della Peugeot 402 del 1935, lo stupefacente «Fuseau Sochaux» dai fari nascosti dietro la calandra del radiatore.

(Chrysler Airflow, sedan, 1934)

Una ricostruzione organica di quell’eccezionale periodo, soprattutto in Italia e Francia, esula dai limiti di un articolo breve. La Isotta Fraschini e la Hispano-Suiza, due grandi marchi di qualità, sono allora giunte al classico canto del cigno. Procederò, quindi, con i bozzetti di alcuni disegnatori, autovetture, carrozzieri a mio modesto avviso significativi, senza pretesa alcuna di completezza.

 Storie, in fondo, di un sogno futurista fatto di bellezza, plasticità, velocità: quello dei grandi carrozzieri e progettisti – per restare ad anni recenti da Bertone a Zagato, da Michelotti e Giugiaro a Pininfarina – che con il loro stile ed eleganza hanno contribuito a rendere famosi nel mondo gli industriali italiani dell’auto. Con la tristezza di raccontare vicende più o meno importanti o gloriose che hanno un finale quasi comune, al di là della massificazione dei consumi, dei mutamenti del gusto o di qualche piccola ‘nicchia di sopravvivenza’ al servizio di altre imprese o degli ‘sceicchi’. Forse un’epitome della nostra cultura, non solo del nostro modo di produrre: disperso un patrimonio di conoscenze ed abilità troppo sovente al fondo ci sono la cessione, il fallimento, la chiusura.

Prodotta con una carrozzeria berlina (a 4 luci e 4-5 posti oppure a 6 luci e 6-7 posti) realizzata dalla casa stessa, la Lancia Astura (prodotta dal 1931 al ’39, con motore V8 di soli 2,6 litri, un telaio tradizionale ed una meccanica di grande affidabilità, ma non certo avanguardista) sarà la regina delle fuoriserie di quegli anni, alla pari della Bugatti Tipo 57 (8 cilindros de 3257 cm3) e più dell’Alfa Romeo 8C 2300 o di coevi modelli Delage, Delahaye, Talbot-Lago: quasi tutti i carrozzieri italiani e molti esteri ne realizzeranno edizioni speciali. Tra i più noti: Bertone, Boneschi, Borsani, Castagna, Colli, Garavini, Ghia, Stabilimenti Farina, Touring, Viotti e, tra gli stranieri, Weinberger & Buhne, John Charles, Abbott, Kevill-Davies & March. Qualità che sfida il tempo: la versione cabriolet presentata da Pininfarina nel 1936, dopo decenni, ha ottenuto la vittoria nel Concorso d’Eleganza annuale di Pebble Beach, in California, nel 2016. Un’altra versione cabriolet, questa volta eseguita dagli Stabilimenti Farina di Torino, aveva vinto il Concorso d’Eleganza Villa d’Este del 1947.

Flaminio Bertoni (1903-1964) è stato un designer e scultore, universalmente considerato come uno dei maggiori stilisti di automobili di tutti i tempi. Nato a Masnago, presso Varese, appena conseguita la licenza tecnica, nel 1918, Flaminio Bertoni entrò come apprendista nella Carrozzeria Macchi. Cinque anni dopo, alcuni tecnici francesi in visita alla Macchi, vista la creatività del giovane disegnatore, lo esortarono a fare esperienza in Francia, allora il centro della ricerca automobilistica, la fucina delle idee che diedero vita all’automobile moderna. Bertoni si presentò ad André Citroën e venne assunto immediatamente. Un paio d’anni più tardi Bertoni rientrò nella sua Varese ed aprì uno studio di progettazione; aveva idee forse troppo avanzate per l’imprenditoria italiana del tempo, ancora basata sul concetto di famigliaimpresa e su progetti d’immediato utilizzo; di conseguenza ritornò a Parigi, nel 1931.

Rientrato alla Citroën gli venne commissionata la forma della futura ‘Traction Avant’; per la prima volta nella storia dell’automobile, ne realizzò il progetto in tre dimensioni, grazie alle sue doti di scultore. Sappiamo che il lancio della ‘Traction Avant’ praticamente coincise con il decesso il patron André, stroncato il 3 giugno 1935 da un cancro allo stomaco. Il 21 de diciembre 1934, la Citroën era stata posta in liquidazione giudiziale, a causa dell’ingente indebitamento con le banche. Il Governo francese chiese al principale creditore, Michelin, di salvare la marca, 250.000 impieghi, e pure di calmare 1.500 creditori e migliaia di piccoli provveditori. Destino amaro di un innovatore!

Da allora Bertoni firmò le più importanti automobili Citroën, tra cui la 2CV e la DS, prodotta in un milione di esemplari tra il 1955 ed il ’75.  Nel 1940 egli venne arrestato per il suo rifiuto di firmare un atto di fedeltà alla Francia, in abiura della sua patria d’origine. Nel 1944 fu nuovamente arrestato con l’accusa di aver contribuito al funzionamento della Citroën durante il periodo bellico. Si trattava di una montatura per addossare l’onta del collaborazionismo a cittadini non francesi, col tempo sgonfiatasi. Nel 1961 fu finalmente nominato “Cavaliere delle Arti e delle Lettere”

da André Malraux, allora Ministro della Cultura nel Governo del generale De Gaulle. Colpito da un ictus, Bertoni morì il 7 febbraio 1964 all’età di 61 anni.

Se Flaminio Bertoni sarà il genio assoluto di una nuova tipologia di auto di gran serie, Jean Bugatti e pochi altri lo saranno per le Gran Turismo, le fuoriserie con uno charme unico, anticonformista, destinate all’universo dei ricchi e famosi, mentre il mondo sta per precipitare nell’abisso tragico. Ed insieme essi saranno  i geni dell’innovazione, anche se essa raramente è sinonimo di successo commerciale.

Mario Revelli di Beaumont (1907-1985) nel 1935 firmò la linea, assai innovativa per l’epoca, della Fiat 6C 1500. Ciò avvenne grazie allo stretto rapporto di fiducia instauratosi con il patron della Fiat, Giovanni Agnelli, per il quale, giovanissimo, egli aveva disegnato alcune splendide 525. Presentata nel settembre 1935, la 1500 introduceva nel mondo dell’automobile italiana un nuovo concetto, l’aerodinamica (fu la prima auto studiata nella galleria del vento), sull’esempio della Chrysler Airflow. Altra novità era il motore, un sei cilindri in linea a valvole in testa di 1493 cm3, con testata in alluminio e sospensioni anteriori a ruote indipendenti. L’auto aveva una linea filante, una carrozzeria bassa “audacemente aerodinamica” (così la definiva il periodico “Auto Italiana”); in particolare, nella parte anteriore spiccavano i fanali incorporati nei parafanghi ed il frontale fortemente inclinato.

Non male per l’ “onnivora” Terra, Mare, Cielo, poco propensa all’innovazione e per la filosofia del suo fondatore: “Quello che sulle automobili non c’è non si rompe”! Durante la seconda metà degli anni ‘30 il conte Revelli di Beaumont collaborò in particolar modo con Pininfarina, Viotti e Bertone. In quel  periodo gli orientamenti stilistici miravano alle linee sinuose e particolarmente slanciate, con sfoggio di carenature. Tale stile, conosciuto con il termine francese flamboyant, ebbe in Italia il suo maggior esponente proprio in Revelli di Beaumont. La sua mano ebbe una notevole influenza pure nella produzione degli Stabilimenti Farina, in particolare su tre disegnatori che di lì a poco si sarebbero messi in luce: Giovanni Michelotti, Felice Bianco e Franco Martinengo. Fra i suoi molti capolavori la Astura berlinetta aerodinamica, disegnata nel 1939 per Pinin Farina, su incarico del conte Galeazzo Ciano, allora potente Ministro degli Esteri e genero di Mussolini. Che non fece in tempo a godersela. L’11 gennaio 1944 si ritrovò di fronte ad un plotone di esecuzione, a Verona, condannato per l’adesione all’OdG Grandi, il 25 luglio 1943, ed il successivo colpo di Stato.

(Fiat 6C, 1500, 1935)

Giovanni  Battista  Farina,  dal 1961 Giovanni  Battista  Pininfarina,  (1893 – 1966)  è stato  un celebre imprenditore e carrozziere. Decimo degli undici figli di Giuseppe, il suo soprannome Pinìn (ovvero “Giuseppino” in piemontese) si riferiva alla somiglianza con il padre. La famiglia Farina, di origini astigiane, si era trasferita da Cortanze a Torino sul finire del XIX secolo, a causa della grave crisi economica agraria di quegli anni. Dopo aver frequentato le Elementari, Pinìn iniziò a lavorare nella piccola carrozzeria che il fratello maggiore Giovanni aveva aperto in quell’anno, formandosi come abile carrozziere e presto divenendo una sorta di alter ego del fratello, con ampia autonomia decisionale all’interno dell’azienda, fino ad assumere la direzione degli Stabilimenti Farina nel 1928.

Nel 1930 egli fondò la Società Anonima Carrozzeria Pinin Farina, insieme ad altri soci minoritari, tra i quali Vincenzo Lancia. Fu uno stilista d’innato gusto estetico, ma non fu un designer; mai disegnò una delle automobili da lui firmate. La sua formazione era avvenuta nella pionieristica officina del fratello Giovanni, in un’epoca nella quale la forma delle carrozzerie non veniva predefinita da un progetto, ma modellata pezzo per pezzo, secondo il gusto, l’immaginazione e la visione d’insieme del carrozziere. Il suo metodo di lavoro consisteva nell’affidare contemporaneamente a 4 o 5 figurinisti il compito di immaginare e disegnare la vettura commissionata, fornendo loro solo i dati dimensionali dell’autotelaio. Le tavole dei disegnatori venivano affisse alle pareti di un’apposita sala dove Pinìn valutava, commentava e decideva quale dei progetti meritava di essere realizzato.

(Lancia Astura berlinetta aerodinamica, disegnata da Mario Revelli di Beaumont per il Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, Pinin Farina, 1939)

Dopo la fine della II Guerra Mondiale, conosciuta ormai in tutto il mondo, la Pininfarina ha tracciato lo stile di centinaia di autovetture, alcune delle quali assai famose. L’azienda è poi passata, a partire dal 1961, sotto la guida del figlio del fondatore, Sergio.  Il 14 dicembre 2015 venne comunicata la cessione dell’impresa, in stato di grave insolvenza, al gruppo indiano Mahindra & Mahindra, al prezzo di appena 1,10 Euro per azione.

Stabilimenti Farina sono stati una carrozzeria automobilistica fondata da Giovanni Farina a Torino, nel 1906, e rimasta attiva fino al 1953. Tra gli anni Dieci ed i Trenta, è stata una delle imprese che ha dato lustro all’industria automobilistica italiana sviluppando sistemi produttivi e tecnologie all’avanguardia. Nell’azienda fecero le prime esperienze disegnatori e stilisti, poi diventati grandi nomi del settore, quali Battista Farina, fratello minore del fondatore, Pietro Frua, Mario Revelli di Beaumont, Giovanni Michelotti, Alfredo Vignale, Franco Martinengo. Il meglio della scuola italiana del design automobilistico. Persi ottimi tecnici, la proprietà non seppe adeguare la fabbrica alle nuove richieste del mercato avviandola alla chiusura, avvenuta per fallimento nel 1953.

Chi estremizzò, in modo piacevole, divertente la linea Streamline, facendo letteralmente sognare, furono il figlio del grande Ettore, Jean (ovvero Gianoberto Maria) Bugatti, e Figoni & Falaschi, una carrozzeria di Boulogne-Billancourt attiva dal 1923 a dopo la Seconda Guerra. Prese il nome dai due fondatori, Giuseppe Figoni e Ovidio Falaschi, anch’essi italiani trapiantati in Francia. Nel 1935 Giuseppe Figoni accolse il Falaschi nella sua azienda in qualità di socio e direttore commerciale. Furono quelli gli anni migliori per la carrozzeria, per il suo personalissimo stile, fatto di cromature originali ed ardite, forme curve  ed estremamente affusolate, definite flamboyant o goutte d’eau, per la peculiare forma dei parafanghi che coprivano quasi completamente le ruote. Valide o esasperate interpretazioni di tale tendenza furono varie carrozzerie su base Talbot-Lago, Delage e Delahaye.

                   

(Delahaye MS 165 V12, Roadster, Figoni & Falaschi, 1939)

I carrozzieri con sede in Italia non erano certo da meno. Nel 1935 Castagna di Milano, quella che Gabriele D’Annunzio definì “la fabbrica dei sogni che dona eleganza alla velocità”, dove fu installato il primo reparto di cromatura galvanica della penisola, realizzava, ad esempio, una splendida Lancia Astura Aerodinamica. Una vettura sportiva di una bellezza ed equilibrio quasi assoluti, anche se il carrozziere milanese appare molto influenzato dalle creazioni di Jean Bugatti, a partire dalla favolosa Aérolithe

La Carrozzeria Castagna nacque nel 1849 quando Carlo Castagna rileva la prestigiosa bottega “Ferrari”, nella quale si producevano carrozze per famiglie aristocratiche. Nel 1919 la carrozzeria è la prima in Italia, con 400 dipendenti ed un’area lavorativa di 32.000 m2. Nel 1939 lo stabilimento passa sotto il controllo di Emilio Castagna. Oltre che allo stile, Emilio dà molta importanza anche alle nuove soluzioni, tecniche ed ingegneristiche, ed investe molto nella ricerca di soluzioni originali – collaborando con professionisti al di fuori del mondo automobilistico, come lo stilista francese Jean Patou e l’ingegnere tedesco Bergmann – che conduce alla creazione di numerose carrozzerie aerodinamiche. Molte cause hanno poi  portato Castagna ad un graduale declino: il primo segnale è provenuto dalla chiusura della Isotta Fraschini, in seguito al crollo del mercato americano: così l’impresa perse prima il mercato migliore e, successivamente, un telaio eccellente sul quale era abituata a creare i propri modelli. Nel 1954 la Carrozzeria Castagna cessò l’attività. 

Un’altra rinomata carrozzeria milanese, la Touring Superleggera, contribuì a creare e diffondere il mito dell’eleganza italiana, con Bertone, Garavini, Ghia, Allemano, Schieppati, Viotti, Zagato, Boneschi, le già menzionate Stabilimenti Farina, Pininfarina ed altre. Il metodo “Superleggera” venne introdotto dalla Touring nel 1936. La tecnica (mutuata dalla costruzione di aeroplani) prevedeva una scocca in sottili, ma resistenti, tubi d’acciaio alla quale venivano applicati i pannelli in alluminio della carrozzeria. Telaio e scocca, inoltre, erano un tutt’uno. Ne è eloquente esempio di stile aerodinamico l’Alfa Romeo 6C 2300B del 1938. La Touring era stata fondata a Milano nel 1926 da Felice Bianchi Anderloni, dall’amico Gaetano Ponzoni e da Vittorio Ascari, fratello maggiore del pilota dell’Alfa Romeo, Antonio. Dopo alcuni tentativi di rilancio, effettuati nei primi anni 1980 senza successo, il marchio Touring è stato rilevato nel 2006 dalla società belga-olandese ‘Zeta Europe BV’, operante in Italia nel settore del restauro delle auto d’epoca,  homologation services ecc. 

Torino e Milano furono sede di molte carrozzerie prima del II Conflitto Mondiale. A Torino si lavorò essenzialmente su telai Fiat e Lancia, a Milano su Alfa Romeo. Nasce, tra le molte, nel 1908 a Torino, la Carrozzeria Garavini per opera di Eusebio Garavini con la denominazione “Carrozzeria Piemonte”. Nei primi anni di attività l’impresa allestisce in esclusiva i telai prodotti dalla Diatto e ben presto le due aziende si fondono. Nel primo dopoguerra l’azienda crea alcune vetture per Itala, Isotta Fraschini, Alfa Romeo, Fiat, OM, Bugatti, oltre ad autobus. Durante la crisi del 1929 l’attività delle varie carrozzerie patisce un arresto. In quel periodo la Garavini ha un organico di 30 impiegati e 230 operai. Nella seconda metà della decade l’attività riprende e viene realizzato il cabriolet su meccanica Fiat 508 “Balilla”,  che ottiene un notevole successo, anche all’estero.  Essenzialmente la Carrozzeria realizza fuoriserie su telai di vetture medie. Nel 1947 Aldo Garavini prende le redini dell’azienda dopo la morte del padre. Le carrozzerie artigianali sono in crisi ed il giovane Garavini preferisce dedicarsi a quelle per bus. Anche se le commesse ed i riconoscimenti non mancano, negli anni ‘50 l’impresa cessa la sua attività.

Bertone fu una carrozzeria fondata nel 1912 a Torino da Giovanni Bertone. Nuccio (1914-1997), figlio del fondatore la rese celebre. Fra i designer nati in Bertone Marcello Gandini e Giorgetto Giugiaro, poi famosissimo nel mondo con la sua Italdesign (Torino, 1968). Dopo la morte di Nuccio, la società affrontò problemi economici ed organizzativi, specialmente per l’annullamento del contratto produttivo con la Fiat, che non acconsentì alla Bertone di produrre, a partire dal 2003, l’Alfa Romeo GT, basata sulla piattaforma della 156 che proprio Bertone aveva sviluppato preferendo il proprio stabilimento di Pomigliano d’Arco. La società (all’epoca con 1100 dipendenti) fu dichiarata in stato d’insolvenza nel 2008 e nel luglio 2014 venne dichiarato il suo fallimento.

          

(Lancia Astura, Aerodinamica 233C, Castagna, 1935)

Diventa quasi inevitabile, scrivendo di grandi auto degli anni Trenta, soffermarsi su Ettore Bugatti e sul figlio Gianoberto o Jean o Jean-Marie (nato a Colonia, in Germania, nel 1909). A personaggi come Ettore Bugatti – un nome universalmente conosciuto, un costruttore di vetture sinonimi di opere d’arte – sono stati  non casualmente dedicati centinaia di libri, di articoli, di siti web.

Ettore Bugatti (Milano, 1881-1947) proviene da una famiglia di artisti; è il figlio primogenito di  Carlo Bugatti (1856–1940), un importante designer di mobili e gioielli in stile Art Nouveau, nonché inventore della bicicletta da corsa. Suo fratello minore, Rembrandt Bugatti (1884-1916)  è stato un importante scultore, di animali soprattutto; sua zia, Luigia Bugatti, detta Bice, era compagna del pittore Giovanni Segantini, e suo nonno paterno, Giovanni Luigi Bugatti, fu scultore e architetto. È in questo contesto culturale che matura il convincimento profondo, diventato poi caposaldo della sua filosofia aziendale, che l’attività creativa debba essere manifestazione della personalità e non mero mezzo di guadagno.

Grazie ad una diffusa anedottica sappiamo quasi tutto sul geniale italiano d’Alsazia, del suo stile sontuoso di vita, da principe del Rinascimento,  che rifiutò, tra l’altro, di vendere una costosissima Royale a Re Zog d’Albania perchè il sovrano non sapeva comportarsi a tavola in modo consono al galateo ed al preteso ‘rango reale’!  Imprenditore e per certi versi artista, secondo la tradizione familiare, lavoratore infaticabile, eccentrico, esigente, cocciuto, impulsivo, collerico, innamorato del bello più che del denaro: «Rien n’est trop beau, rien n’est trop cher» proclamava. Creatore di automobili eleganti e magnifiche, con il tipico radiatore a forma di ferro di cavallo, prototipo del patron paternalista, che conosce tutti i suoi 1400 dipendenti, disgustato dall’ ‘ingratitudine’ degli operai, che gli occupano la fabbrica durante lo sciopero nel 1936, all’epoca del Front Populaire. Offeso, indignato, Ettore si rifugia a Parigi, lasciando la direzione dell’impresa al figlio di appena 27 anni ed occupandosi dell’Autorail Bugatti, le locomotrici ferroviarie dotate dello stesso motore della Royale. Tornerà raramente a Molsheim e di preferenza il fine settimana.

Jean  è  un  giovane  appassionato,  competente,  creativo,  pieno  di  talento,  amato e rispettato. A meno di vent’anni ha disegnato per il padre il favoloso Royale Coupé Napoléon; a 22 il non meno straordinario Royale Roadster per il fabbricante di moda Armand Esders, con impressionanti pinne lungo tutta la carrozzeria. Senza fari, perchè Esders non amava viaggiare di notte! Jean è anche una capace collaudatore ed esperto di meccanica, azzimato come il padre, ma meno stravagante. Assai pretenzioso era stato il progetto della Royale, la immensa vettura di lusso – con un motore 8 cilindri in linea di 12,7 litri, un peso eccedente le tre tonnellate, ed il prezzo più che doppio di una Rolls – per i re, i grandi del mondo, il cui obiettivo era quello di surclassare le auto più prestigiose del momento. Il risultato fu appunto la Type 41 Bugatti Royale, una delle più lussuose auto di sempre, rimasta celebre nonostante si sia rivelata alla fine dei conti tutt’altro che un buon affare (infatti vennero vendute solo 3 delle 6 unità prodotte), anzi una vera débâcle finanziaria. Le vetture di Ettore erano molto care, per una élite, tuttavia il sistema di produzione artigianale causava costanti perdite.

(Bugatti Aérolithe, 1935, Concept Car di Jean Bugatti, sparita nel 1941)

Nel 1935 Jean Bugatti realizza uno studio stilistico e aerodinamico per futuri modelli di produzione. La Bugatti Tipo 57 Coupé Aérolithe era una concept car aerodinamica. Allo scopo venne utilizzata la meccanica di una normale Tipo 57, alleggerendone e accorciandone il telaio e dotandolo di una carrozzeria in Elektron; lega di alluminio e magnesio particolarmente leggera che conferiva alla vettura un’immagine tecnologica decisamente d’avanguardia. Essendo l’Elektron refrattario ai sistemi di saldatura conosciuti all’epoca, si provvide a costruire l’intera scocca e i singoli parafanghi in due semigusci, con bordi rialzati e ribattuti l’uno sull’altro, assemblati con 1.200 rivetti. Presentata al Salone dell’automobile di Parigi dell’ottobre 1935, la vettura ottenne il voluto effetto di suscitare grande clamore nel pubblico e sulla stampa specializzata. Molti dei concetti aerodinamici e tecnici della Aérolithe vennero ripresi per la realizzazione dei modelli Atlantic e Atalante. Il prototipo scomparve intorno al 1941, dopo che l’Esercito tedesco assunse la gestione della Bugatti per trasformarla in fabbrica per produzione bellica. (Cfr.http://www.club-bugatti-france.fr/saga-bugatti.html).

La Bugatti Type 57 fu presentata al Salone di Parigi del 1933, entrando in produzione l’anno seguente con un motore a 8 cilindri. Ettore ha accettato alcuni suggerimenti di Jean (come il doppio albero a camme sulla testata dei cilindri) mentre ne ha rifiutato altri (sospensioni independenti, freni idraulici, ammortizzatori idraulici telescopici), insistendo inoltre nel mantenere la tradizionale ed obsoleta calandra verticale del radiatore a ferro di cavallo, appena consentendo che il figlio la rendesse “più aerodinamica” in alcuni modelli, adottando un tenue angolo diedrico! Curiosamente, lo stesso conflitto opponeva, oltre Atlantico, Henry Ford a suo figlio Edsel; il vecchio Henry non autorizzó i freni idraulici per la Lincoln Continental di Edsel fino al 1939 e per la Ford addirittura al 1941!

La Type 57 arresta temporaneamente la decadenza della Casa. Sublimi alcune realizzazioni su base 57S (con telaio ribassato) e 57SC (con compressore), le varianti Ventoux, Galibier, Stelvio. Spiccano la 57SC Atlantic, disegnata da Jean, con le sue vistose nervature rivettate longitudinalmente, già caratteristiche dell’Aérolithe; la coupé Atalante, opera di Georges Gangloff, maître carrossier a Berna e Ginevra; la 57C cabriolet della Carrosserie Van Vooren di Paris-Courbevoie, del 1939, che schizza vistosamente l’occhio alle coeve realizzazioni della Figoni & Falaschi per Delahaye…

Disegnatore e collaudatore  del padre, Jean ebbe l’incidente mortale verso le 23 di venerdì 11 Agosto 1939, cercando di schivare un ciclista mentre stava provando tra Strasbourgo e Molsheim, in una strada aperta, ma vigilata, la  Type 57C sport  che aveva vinto la ‘24 Heures du Mans’ il precedente 18 giugno (l’ultimo grande successo di Bugatti, attribuibile interamente a Jean) e la stava adattando per participare al ‘Grand Prix de La Baule’ del seguente 3 settembre (l’inizio della II Guerra Mondiale fece cancellare la gara). Con i suoi  guanti di cuoio, un foulard al collo, una sigaretta spenta tra le labbra, a capo scoperto, il pilota sta raggiungendo i 200 Km/h nel rettilineo tra Duttlenheim ed Entzheim.  È notte fonda. In quel momento appare un ciclista, forse ubriaco – che si suiciderà tempo dopo – circolando senza luci sul ciglio della strada. Jean dà un brusco colpo al volante y si schianta contro un platano. Muore sul colpo. Il suo stato d’animo era forse depresso per vari fattori: la fabbrica del padre attraversava delle notevoli difficoltà economiche, con cattive prospettive. Ettore aveva trovato una soluzione parziale (trasferirla in Belgio, su invito dell’amico Re Leopoldo), che non  piaceva al figlio. D’altro lato, la sua girlfriend, Reva Reyes, attrice e cantante messicana, non era stata accolta dall’esigente famiglia Bugatti. E su quel tratto di strada, ad inizio anno, Jean aveva investito ed ucciso un ciclista, venendo processato e condannato con la condizionale. Qualcuno giunse a scrivere di  un possibile suicidio, ricordando quello dello zio Rembrandt nel suo studio di Montparnasse, a soli 31 anni, inalando del gas. Ma è un’ipotesi con scarso fondamento, deboli indizi.

(Bugatti Type 57SC Atlantic, 1938, disegnata da Jean Bugatti)

L’assurda fine del trentenne erede dell’illustre famiglia ci riporta, in ogni caso, alla brutalità del momento storico. La cruda spigolositá della guerra al posto delle sinuose, sensuali  rotondità del tempo di pace, verrebbe quasi da pensare, osservando l’opera d’arte di un maestro carrozziere degli anni Trenta. La fine delle illusioni di bellezza, di mondanità, di evasione in un mondo dell’automobilismo di alta gamma, seppure ancora per pochi privilegiati. Fino all’ultimo giorno di pace nessuno parrà rassegnarsi ad altri lunghi e penosi anni di sofferenza, paura, fame, morte, che si riveleranno peggiori di quelli vissuti tra il 1914 ed il ’18. Con il tragico incidente del brillante rampollo Bugatti, venti giorni prima dell’invasione tedesca della Polonia, finisce metaforicamente un’epoca, si potrebbe dire, come nel 1914 terminò la Belle Époque sulle spiagge di Deauville e Biarritz.

Dopo l’occupazione germanica, e la riannessione dell’Alsazia al Reich, la fabbrica di Molsheim fu messa a disposizione della Wehrmacht. A Bugatti non rimase che cedere l’azienda per evitare la vendita giudiziaria all’asta. Ne ricavò 150 milioni di franchi, circa la metà di quanto sembra  fosse stimata. Proprio a causa di questa vendita forzata, al termine del conflitto egli fu processato per collaborazionismo e gli vennero confiscati i beni personali. Ettore venne poi assolto al processo d’appello, nel 1947,  ma solo dopo il suo decesso, probabilmente accelerato per l’onta subita, avvenuto il 21 agosto all’ospedale americano di Neuilly-sur-Seine.

Contro di lui, come contro Luis Renault e molti altri, si accanì l’odio vendicativo e postumo dei cosiddetti “vincitori” francesi di De Gaulle, alla disperata ricerca di “colpevoli”, meglio se italiani conosciuti, come Bertoni o Bugatti! Ettore Bugatti ora riposa nel cimitero di Dorlisheim, in Alsazia, accanto al fratello Rembrandt ed all’amato figlio Gianoberto Maria Carlo, da tutti conosciuto come Jean.

*Già Ambasciatore in El Salvador e Paraguay

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Gianni Marocco*

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