Riviste. Storia in Rete lancia l’allarme sulla follia iconoclasta (che minaccia anche l’Italia)

Claire Meddock, 21, stands on a toppled Confederate statue on Monday, Aug. 14, 2017, in Durham, N.C. Activists on Monday evening used a rope to pull down the monument outside a Durham courthouse. The Durham protest was in response to a white nationalist rally held in Charlottesville, Va, over the weekend. Authorities say one woman was killed Saturday after one of the white nationalists drove his car into a group of counterprotesters. (AP Photo/Jonathan Drew)

La campagna negli Usa contro i monumenti per gli eroi sudisti e le statue del generale Lee
La campagna negli Usa contro i monumenti per gli eroi sudisti e le statue del generale Lee

«Il nostro paese saprà sviluppare gli anticorpi contro l’iconoclastia oppure vorrà “fare l’americano”, agganciandosi come di consueto alle mode che arrivano d’oltreoceano?» si chiede «Storia in Rete» al termine della lunga, desolante inchiesta con cui si apre il numero in edicola in questi giorni. La risposta non è tardata ad arrivare dalle cronache locali, ed è da prognosi infausta: ci stiamo allineando alle mode americane.

«Giaveno, l’ANPI chiede di cancellare la scritta fascista», titolava il «la Valsusa» del 21 settembre scorso. Scopriamo così che in questo borgo di 16 mila anime c’è chi non ha nulla di meglio da fare nella vita che pretendere la scalpellatura di un vecchissimo, quasi del tutto scolorito motto fascista «Credere-obbedire-combattere» da un campanile in centro. Due giorni dopo, il colpo basso: «Torino, sindaco ex An: “D’accordo con Anpi: cancellerò motto fascista”» («Libero» del 23 settembre). Anziché rispondere come meritavano a questi iconoclasti, con uno “Smithers, sciogli i cani”, il primo cittadino ha chinato la testa e poi ha subito passato la patata bollente alla soprintendenza competente. 

Un segnale tragico. L’inchiesta di «Storia in Rete» identificava proprio nel feticista attaccamento degli italiani alle vestigia del passato uno degli scudi contro il dilagare della pazzia contagiosa che dagli USA alla Spagna, passando per Polonia e Ucraina sta facendo impallidire le gesta criminali dell’ISIS contro le vestigia storiche in Medio Oriente. Ora, a quanto pare, i primi buchi nella diga di resilienza italiana (una resilienza in cui anche i vizi nazionali contano come virtù) cominciano ad essere aperti. Anche da noi c’è chi vuol fare l’americano e buttar giù monumenti, scritte, documenti storici appartenenti a un’epoca che non vuol proprio essere consegnata a libri e musei. Anche da noi come negli Stati Uniti cominciano ad esserci amministratori che anziché mandare a quel paese questi mentecatti patologici (val la pena di leggere il ritratto che viene fatto di costoro su «Storia in Rete» per capire chi sia davvero questa sedicente «meglio gioventù» formata da psicolabili isterici), si scappella servilmente.

Il tema della Guerra alla Storia che viene evocato fin dalla copertina di «Storia in Rete» dovrebbe preoccupare ogni italiano. Ben venga dunque il dibattito su «Storia in Rete» lanciato con una provocazione da Pino Aprile, che propone di cominciare a buttar giù qualche monumento risorgimentale anche da noi, e cambiare qualche nome di strada. Non perché lo proponga davvero (Aprile ci tiene a sottolineare, «ci vediamo in piazza ma senza picconi») ma perché attraverso questa paradossale provocazione si può spezzare il velo di annebbiamento delle coscienze che sta spingendo in Spagna a distruggere le tracce di oltre 40 anni di storia franchista, in Europa orientale le vestigia del Comunismo e negli USA a profanare la pace dei morti in una guerra di 150 anni fa, dopo che la pacificazione era stata conquistata fin dalle parole della resa di Appomattox che aveva concluso la secessione sudista.

Si apra dunque questo dibattito anche in Italia. E si apra sparando subito coi grossi calibri. anche perché il giorno in cui toccherà incatenarsi attorno al Monolite Dux del Foro Italico per rallentare l’avanzata dei martelli pneumatici rischia di non essere più solo il sogno bagnato di qualche alta carica istituzionale…

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Alberto Lancia

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