InTreno. Al Museo di Pietrarsa, quando i Borboni presero la Ferrovia

PietrarsaC’era una volta un Meridione d’Italia che credeva nelle proprie forze economiche. Le sue industrie metallurgiche erano così ricche e all’avanguardia da spingere lo zar Nicola I a visitare il Reale Opificio Borbonico di Pietrarsa, nei pressi di Napoli, una delle più grandi fabbriche di locomotive d’Europa. Il 22 maggio 1843 il re Ferdinando di Borbone aveva decretato: “È volere di Sua maestà che lo stabilimento di Pietrarsa si occupi della costruzione delle locomotive, nonché delle riparazioni e dei bisogni per le locomotive stesse, degli accessori dei carri e dei wagons che percorreranno la nuova strada ferrata Napoli-Capua.” Si pianificò una riconversione degli stabilimenti siderurgici di Pietrarsa per produrre locomotive a vapore e puntare all’innovazione tecnologica.

 

Per il progresso del Mezzogiorno

 

Il re Ferdinando era tutt’altro che un sovrano disinteressato alla sua terra. L’obiettivo della riconversione industriale di Pietrarsa era l’affrancamento del Regno di Napoli dalla dipendenza estera per la fornitura di rotabili e di binari, soprattutto dall’Inghilterra. I Borboni, dopo la costruzione della prima ferrovia italiana, la Napoli – Portici, progettarono di costruire una rete ferroviaria che collegasse le principali aree industriali del regno sullo Jonio, sul Tirreno e sull’Adriatico. Nel Regno di Napoli non mancavano le attività artigianali e i porti, ma le infrastrutture erano in pessimo stato. La ferrovia avrebbe garantito tempi e mezzi di movimento più rapidi e efficienti.

 

Una fabbrica di primati

 

La produzione di locomotive a Pietrarsa iniziò nel 1845 e in pochi anni impiegò circa 700 operai, provenienti da Napoli e dalle regioni circostanti. I mezzi prodotti era commerciati in tutta Europa e i sovrani si contendevano i modelli migliori. Gli Zar, così come papa Pio IX, visitarono l’industria e acquistarono le locomotive più preziose dell’intera. Nel 1856 Pietrarsa era il primo stabilimento in Italia a produrre rotaie e fino al 1860 i suoi profitti crebbero. Dopo l’Unità d’Italia la gestione delle industrie meridionali subì un netto ridimensionamene che causarono una perdita di fatturato e di quantità di merci prodotte. In particolare la crescente dipendenza economica con l’estero (Gran Bretagna) aumentarono i costi di produzioni, causando una diminuzione della domanda.

 

Conservare la memoria

 

Il 15 novembre del 1975 si decretò la chiusura del Reale Opificio Borbonico di Pietrarsa. Per decenni, dopo l’Unità, le industrie avevano continuato a produrre locomotive a vapore, ma le crisi e l’evoluzione tecnologica dei trasporti imposero la chiusura dello stabilimento. Il 7 ottobre del 1989, in occasione del 150° anniversario delle ferrovie italiane, gli ex edifici dell’opificio furono riaperte per ospitare un museo e, dopo quasi due decenni di restauri, venne inaugurata la nuova esposizione nel 2007. In una bellissima scenografia, il golfo di Napoli, è possibile visitare i padiglioni industriali dismessi che conservano vagoni d’epoca e locomotori a vapore e a gasolio. E’ un percorso attraverso la storia dell’industria ferroviaria italiana che raggiunse (e raggiunge) tanti primati tuttora incontestati.

 

Un monumento in ghisa del re Ferdinando fu posto nel 1852 dagli operai all’esterno delle officine a ricordo di un sovrano che seppe coniugare il progresso con l’amore per la sua terra.

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Alfredo Incollingo

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