Ritratti. Ungaretti tra amori vegliardi e le  passioni travolgenti della storia

Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti

Ungaretti innamorato e vegliardo dolcissimo. Nel 1959, settantenne, scrisse per un anno  intero a Jone Graziani. Le scrisse con l’animo di un liceale coinvolto dalle fantasie amorose. Ma non bastava. Dopo alcuni anni,  ricaricò la sua penna e, tra il 1966 e il 1969, sparò ansie, ricordi, desideri che composero 377 lettere, per un’altra donna, Bruna Bianco. Lui aveva settantotto anni. Lei era una signorina di ventisei anni. Conobbe il poeta italiano in Brasile. Da qui cominciò un’immensa tormenta di epistole pubblicate ora in ‘Lettere a Bruna’ (Mondadori). Cura la pubblicazione Silvio Ramat  che riapre l’attenzione sull’ uomo Giuseppe Ungaretti, sulla sua storia novecentesca, in un 2017 che già segna l’anniversario per i settanta anni della raccolta ‘Il dolore’.

Le lettere di un poeta preso d’amor fanno intravedere un uomo che non smise mai di esaltare la vita, “Sono un furente d’amore. Urlo come una belva – alla mia bella età – d’amore; ma sono un prodigio: La poesia salva un uomo dagli anni, rimane fino all’ ultimo bramoso… T’amo, t’amo, e ti bacio fino all’ oblio di me e di tutto.”

I grandi poeti, in tarda età, amarono senza pudore. Si sa tutto degli amori erotici e bizzarri della vecchiaia dannunziana. Carducci, un po’ goffo ma seducente, si invaghì per Annie Vivanti. Goethe, a settantaquattro anni, cantò l’amore ispirandosi ad una diciannovenne. Gli amori dei poeti, cioè il cuore che resiste alla tirannia del tempo, come il cuore di un vecchio Ungaretti colmo di eccessi psicologici e di rincorse barocche alla ricerca de “l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera…”

Di certo, le “Lettere per Bruna” ricapitolano un’esistenza agitata e complessa; hanno  dentro la forza esistenziale che conosciamo depositata dentro l’opera “Il taccuino del vecchio” del 1960.  Nelle scuole, da sempre, conquistano i versi del poeta che visse tutto intensamente: il volontario della Prima guerra mondiale, la “creatura” che trascorse la notte accanto al soldato ammazzato. E nelle aule gli studenti leggono, in silenzio, le strofe del padre che innalzò il palazzo del dolore per la morte del figlio Antonietto.

Ecco adesso il ritratto del poeta – con  ricordi, inquietudini, ripensamenti – che, nelle “Lettere”, riapre la pagina su Ungaretti e il Fascismo. Con alcune battute sul Fascismo, Ungaretti scrisse a Bruna della sua “complicità” con il Ventennio, della sua passività dinnanzi all ’evento storico italiano. E si esprime così con pensieri ingenui di una tarda autocoscienza. Ma, per memoria storica, sappiamo che il Fascismo gli diede molto e il poeta dopo volle dimenticarlo. Al momento torna  così la voce di un’esistenza vissuta dentro la bufera del ‘secolo breve’. Torna il vagheggiare la gioventù remota. E la sua voce ci porta pura tensione, con il ricordo poetico di un corpo in armonia con la terra, con l’acqua sacra e il “fuoco d’autunno.” E questo ci basta: spinge a resistere ai giorni delle parole di plastica, per leggere queste lettere d’amore di un uomo che scrisse che il poeta è vero solo se “partecipa a rivolgimenti  fra i più tremendi della storia.”

*“Lettere a Bruna”, a cura di Silvio Ramat, pagine 658, euro 21, Mondadori 

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Renato de Robertis

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