Effemeridi. Antonio Riva l’aviatore italiano (e fascista) giustiziato in Cina

Antonio Riva
Antonio Riva con la moglie

EFFEMERIDI – 17 agosto 1951. A Pechino, in piazza, sono “giustiziati” l’italiano Antonio Riva (55 anni), e il giapponese cattolico Ryuchi Yamaguchi.
I due uomini sono condotti nel centro della città in piedi su una jeep, tra folle urlanti e minacciose. Riva e Yamaguchi hanno le teste imprigionate nella gogna, due tavole di legno strette sul loro collo. Giunti sul luogo dell’esecuzione, davanti al Tempio del Cielo, una donna, uscita dalla folla si avventa su Riva e riesce a strappare un occhio dall’orbita dell’italiano e se ne va orgogliosa con il trofeo. Subito dopo i due uomini vengono fucilati. Erano accusati di aver progettato un attentato al Presidente Mao in una congiura della CIA.
Antonio Riva era nato a Shangai, figlio di un commerciante di sete italiano.
In Cina era rimasto fino all’adolescenza, poi la famiglia lo aveva mandato a Firenze a studiare nel collegio La Querce. Con l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, ventenne, si era arruolato volontariamente e aveva frequentato un corso per piloti d’aereo a Pisa.
Si era fatto onore in combattimento, diventando un asso della caccia italiana e guadagnando varie decorazioni; alla fine del conflitto, dopo aver comandato una Squadriglia aerea si era congedato con il grado di Capitano.
Nel 1920 era stato tra gli organizzatori del raid Roma-Tokyo guidato da Arturo Ferrarin.
Nello stesso anno Riva era tornato a Pechino e, mettendo a frutto le sue competenze era diventato istruttore di pilotaggio di aerei per i cinesi.
In seguito, quando Galeazzo Ciano fu nominato console d’Italia a Shangai, nel 1930, Riva fu accreditato presso il Governo cinese, e dall’Italia ricevette l’incarico di far parte della missione militare affidata al Colonnello Roberto Lordi (che finirà fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine nel 1944), per impiantare una fabbrica di aerei in Cina per conto della Forza Aerea cinese.
Negli stessi anni Riva divenne consigliere militare del Presidente cinese Chiang Kai-shek durante la guerriglia contro i comunisti nella provincia di Jiangxi e poi ai tempi della fuga di Mao, quelli della Lunga Marcia.
Fra le tante attività collaterali di Riva negli anni ’30, era anche stato corrispondente di alcuni giornali e riviste italiani (“La Stampa”, “Marco Polo” e altri), inoltre era Segretario della sede di Pechino del Fascio italiano all’estero.
Con la Seconda guerra mondiale si trovò in una situazione imbarazzante, da un lato la fedeltà alla scelta italiana dell’Asse con il Giappone e dall’altro il rapporto di amicizia che si era instaurato con Chiang Kai-shek.
Dopo l’8 settembre 1943 aderì alla RSI e fu rappresentante a Pechino del Fascio repubblicano.
Alla fine della guerra rimase in Cina dove ormai aveva messo radici; del resto, l’Italia aveva tagliato i ponti con lui, era stato addirittura radiato dai ruoli dell’Aeronautica per la sua scelta del 1943.
In Cina si era sposato due volte, la prima con una fiorentina che poi lo aveva lasciato per un olandese e la seconda, nel 1933, con una giovane statunitense (figlia di Bertha Lum, nota pittrice), con la quale ebbe quattro figli.
Nel settembre 1950 Antonio Riva fu improvvisamente arrestato con l’accusa gravissima di un complotto contro Mao. Nella retata finirono anche monsignor Tarcisio Martina, friulano, creatore di oltre 200 scuole in Cina; il pilota pavese Quirino Gerli; il francese Henry Vetch, editore e proprietario di una libreria, il tedesco Walter Genthner, rappresentante della Bosch in Cina, il giapponese Yamaguchi, studioso della Mongolia, il missionario padre Alfeo Emaldi, il commerciante Giulio Borea Regoli (che morirà sotto tortura) e alcuni cittadini cinesi.
Torturati, minacciati più volte di morte, costretti in condizioni di prigionia disumana, furono processati e condannati a varie pene.
Per Riva e Yamaguchi ci fu la condanna a morte eseguita a quasi un anno dall’arresto.
Dopo l’esecuzione, la moglie e i figli di Riva riuscirono a tornare in Italia, raggiungendo Genova, con una nave italiana (in terza classe); il Governo del democristiano Alcide De Gasperi, pretese il rimborso del costo del viaggio alla vedova che a quell’epoca era nullatenente.
Qualche anno fa le acque putride della vicenda si sono mosse e la verità è stata rivelata.
Iniziò Tiziano Terzani a indagare su quella vicenda e ciò gli costò l’espulsione dalla Cina con un pretesto.
Proseguì la corrispondente dell’ANSA da Pechino anni dopo e si imbatté in Zhao Ming ex vice ministro della Polizia che tranquillamente confessò che a quell’epoca serviva una congiura americana da presentare al popolo cinese e il caso se lo inventarono a tavolino.
C’erano varie motivazioni internazionali (la guerra di Corea e l’annessione del Tibet) per imbastire con grande rilievo la montatura al fine di colpire nel profondo l’opinione pubblica cinese e di suscitarne il rancore.
Il processo-farsa imbastito contro i poveretti caduti nella macchinazione cinese, sostenne che gli accusati, pilotati dalla CIA, avevano organizzato una rete spionistica per uccidere il Presidente durante la parata militare del 1 ottobre 1950 in occasione del primo anniversario della Rivoluzione. “Se non ci fosse stato Riva ne avremmo trovato un altro” disse tranquillamente la personalità intervistata dalla giornalista dell’ANSA.
Riva e il giapponese Yamaguchi furono proprio le vittime giuste, il giapponese perché il Giappone, avversario storico della Cina, avrebbe fatto contenti i cinesi, e l’italiano non poteva essere scelto meglio, mollato dal suo stesso Governo come “fascista”.
Del resto, anche oggi, è lecito sospettare che l’Italia guardi sempre quale tessera ha in tasca l’italiano nei guai all’estero.

@barbadilloit

Amerino Griffini

Amerino Griffini su Barbadillo.it

Exit mobile version