Cultura. Valentino Zeichen, poeta in cerca della Nazione per cui abbiam fatto poco

valentino-zeichen-789980Un passeggiatore austro-ungarico. Un viandante nicciano che comandava alla sua ombra di pensare. Il poeta fiumano non appartiene mica alla tradizione elegiaca. La sua voce godeva del ragionamento, non dell’evocazione. Ironico sempre. Razionale  e sardonico tanto. Tentarono di non farlo entrare dalla porta principale della poesia contemporanea. Lui così anarchico, profugo istriano alla ricerca dei segni della Nazione nella poesia Italia Italia soprattutto. Abbiamo fatto poco per Valentino Zeichen. Dovevamo leggere i suoi versi nelle aule. Gridarli nei convegni di semiologia della scrittura poetica. Per ricordare che la poesia nasce per la comunità, non per gli sfiatatoi sentimentali soggettivi, “Gira, gira la ruota della storia / irraggiata dalla nazione / e noi raggio di gloria / fissato al mozzo del sole. / Italia, Italia soprattutto…”

Il figlio del legionario fiumano. L’orfano appassionato di Cartesio. Lo scrittore di versi che cercava di smontare le verità. Senza fingere di essere engagé. Zeichen doveva sostare di più nelle nostre riflessioni. Invece lo lasciammo solo senza accorgersi che cantava Heidegger, il maggior filosofo del secolo…” Raccontava con i versi La Battaglia di InghilterraIl fronte russo 1941/1943  e Il radar.   E con leggerezza poetica mostrava la historical complexity, “Nella seconda guerra mondiale / non si affrontarono solo le armi, / prima arrivarono ai ferri corti / le idee avverse dei belligeranti. / I neoidealismi dell’Asse / dichiararono guerra totale / alle filosofie neopositiviste…”

La sua voce ragionava di storia, geopolitica, scienza. Voce solida e vera. Era verissima la sua esistenza che non leccava il didietro di nessuno: tutta schiettezza, leggendari sandali ai piedi e il casotto in cui viveva dietro Piazza del Popolo; ma, per lui, la piazza non era del popolo ma del ‘popolus’, ossia del pioppo, come scriveva in una poesia di architetture, obelischi, leoni fiacchi  che “invece di ruggire / spruzzano rinfrescanti / ventagli d’acqua.”

L’editore Fazi ci regala ora una raccolta essenziale, Valentino Zeichen. Le poesie più belle (luglio 2017). Lo fa raccogliendo opere come Area di rigore del 1974 o Pagine di gloria (1983). Ecco Aforismi d’autunno (2010) con lavori inediti. Ecco La mattanza della Bellezza e i lirici tagli per i baroni della cultura italiana. Qui non manca nessuno. Appaiono Giacomo Maramao interprete del “galateo mondano”; Alfonso Belardinelli al quale “G. Manacorda, l’armiere, / gli tiene lustra la vetusta  / attrezzeria marxista”; Umberto Eco, “pifferaio di Hamelin” che fa musica e fa affogare tutti.

A noi manca quello che non abbiamo fatto per Zeichen. Chi prima doveva convincerlo a chiedere l’applicazione delle Legge Bacchelli? È facile scrivere queste parole ad un anno esatto dalla sua morte. Non resta allora che riaprire la ricerca sull’artista che rappresentò se stesso nella foto di Elisabetta Catalano, un’immagine che accompagna la bella edizione Fazi con il volto byroniano di Valentino, il chiaroscuro del suo sguardo antitetico,  un po’ orgoglioso, un po’ malinconico.

Ritornano ora i suoi versi fotografici, gnoseologici, cadenzati dal passo delle camminate romane di un poeta post-moderno vissuto in quel “crepuscolo delle ideologie” che “ha liberato molti schiavi del nano pensiero seriale”.

Per questo, amici, cantiamo alla dolce luna estiva i versi di Valentino, “il nomade di se stesso”, che insegnò ad amar la poesia come il vino, giacché “Gli dei a volte dettano quando l’uomo è ubriaco… / Ma gli dei sono svogliati imprevedibili capricciosi / e quindi non dettano e a volte dettano / e magari il poeta non c’è perché è ubriaco. / Io credo che tutta la poesia classica greco-romana sia opera del vino.”

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Renato de Robertis

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