Cultura. Nasce la rivista “L’interesse nazionale”, l’intervento di Fusaro

 

E’ online, con i primi contributi – tra tutti – di Diego Fusaro, Alessandro Montanari e Claudio Messora, la rivista “L’interesse nazionale“, contenitore, laboratorio metaculturale e approdo sicuro di chi antepone il concetto di sovranità nazionale al resto. Chiara è la volontà di superare la storica dicotomia destra-sinistra in nome di un fine unitario e anti-establishment, critico verso il neoliberismo e la macchina del politicamente corretto. L’humus? Per il sito la soluzione è interpretare tanto Gentile quanto Gramsci in chiave di interesse nazionale, appunto.

Riportiamo l’intervento di Diego Fusaro, in difesa della lingua italiana:

“È ora di reagire all’imperversante tirannia della lingua inglese, emblema della mondializzazione dei corpi e delle menti. È giunto il momento di opporsi criticamente all’invasività dell’inglese coatto dei mercati e dello spread, della spending review e dell’austerity. Apoteosi dell’ “esterofilia” e dell’ “apatriottismo” – parole che prendo in prestito dal Gramsci dei “Quaderni” -, l’inglese operazionale dei mercati nulla ha, ovviamente, a che vedere con l’inglese culturale di Wilde e di Shakespeare: è, al contrario, un inglese aprospettico e asimbolico, che gli inglesi stessi, con giusto disprezzo, chiamano “globish”. L’inglese – si dice – dovrebbe servire a porre in dialogo le culture e favorirne il confronto: il suo obiettivo è, invece, oggi l’annichilimento delle culture e delle identità nazionali, di modo che sopravviva un’unica cultura, quella dello scambio e dell’economia. Che è, poi, l’annullamento della cultura, se è vero, come è vero, che essa può esistere solo nella pluralità delle culture in dialogo tra loro. Non v’è dialogo ove i plurali siano meri riflessi del medesimo, del consumatore apolide e asimbolico. Si crea, anzi, un monologo di massa fintamente multiculturale, che tutto riduce al “monocromatismo assoluto” (Hegel) della società a capitalismo integrale e a pluralità livellata. L’uso coatto della lingua inglese – diciamolo senza perifrasi – serve oggi a rendere subalterni i popoli, conferendo, come con il latinorum, un’aura di sacralità autorevole alle scelte irresponsabili delle politiche neoliberiste (spending review and austerity), presentandole come necessitate, sistemiche, oggettive e addirittura intrinsecamente buone. Riprendiamoci dunque la nostra lingua e, con essa, la nostra dignità sovrana: parliamo italiano e dialoghiamo con le altre culture senza obliare la nostra. Di qui occorre ripartire per un riscatto dei popoli. Nelle lingue nazionali, ce l’ha insegnato Herder, è da ravvisare lo scrigno in cui sono custoditi i tesori delle civiltà, i beni più preziosi del nostro passato”.

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Obafemi Martins

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