Aeronautica. Ganda e l’Alitalia degli Anni ’50: niente tintarella e disciplina militare

dc8 Airlift“Settemila metri? Scherziamo! Volava a quota molto inferiore!” la signora Minci Ganda è stupita da quel che sente: impossibile che un DC3 potesse volare tanto in alto. Mi giustifico dicendole che su internet è indicata quella quota, mi risponde: “un aereo ottimo, gran bei motori, si era fatto tutta la guerra ed era usato da molte compagnie. Un apparecchio affidabile ma, con le turbolenze, i passeggeri spesso stavano male”. E se le turbolenze le beccava è probabile che la signora abbia ragione. Ah, non ve l’ho presentata: lei è un’assistente di volo, ma non la incontrerete sui 737 per Ibiza, Mykonos o Hurgada perché che quando ha cominciato, nel lontano 1956, si decollava su bolidi a pistoni e fare quel lavoro voleva dire essere parte di qualcosa di molto ristretto e di molto selettivo, a cominciare dalla Scuola Assistenti di Volo di Milano: per accedervi dovevi conoscere l’inglese e almeno una seconda lingua… negli Anni ’50!
Classe 1936, alla mano ma sempre ed estremamente educata, la signora ha servito per sette anni in Alitalia in tempi in cui “la disciplina era militare. I capi cabina, che fino alla metà degli Anni Sessanta erano solo uomini e provenienti da esperienze o da scuole del settore ricettivo, imponevano una disciplina ferrea ed esigevano il massimo della cura, della presenza e della professionalità. D’altronde, i low cost non esistevano e la clientela era di un certo tipo: una volta, rotta sud America, portammo la Famiglia Agnelli. Nessuno volava a meno che non avesse disponibilità o non dovesse farlo per lavoro. E anche chi saliva e sedeva sulle poltroncine era solito mantenere un certo distacco: è successo, sì, che qualcuno si sia preso qualche libertà ma le parlo di casi rari e comunque un po’ più avanti nel tempo”.
Il volo Minci l’ha nel sangue: ricorda gli aerei come i Vickers, il già citato DC3 e i DC6 e DC8 per il lungo raggio; ha sulle labbra la terminologia di chi si è fatta un’esperienza fra le nuvole e ricordi di chi ha vissuto anni senza tempo, i primi del boom e della rinascita post bellica, di grandi eliche su motori a pistoni e di Come Fly With Me di Sinatra che celebra il mondo dell’aviazione civile. In fondo, percorrere in furgone strade polverose per raggiungere una delle spiagge dell’Isola del Sale (Ilha do Sal, Capo Verde, nda) non capitava tutti i giorni a tutte le ragazze italiane… degli Anni ’50.

Revival. Il mito del volo, vintage, torna oggi sulle ali di fiction come “Pan Am” della ABC, dedicata alla nota compagnia statunitense. Nella foto Christina Ricci, classe 1980 nei panni di una av degli Anni 50

“Al mare e a cena si andava insieme. Nonostante il comandante fosse la “voce di Dio”, malgrado l’assoluta disciplina, lui  il primo ufficiale, il navigatore, il marconista e il personale di cabina avevano il piacere di ritrovarsi al tavolo (dove il comandante sedeva a capotavola, mai gli assistenti di volo!) o in giro. C’erano affiatamento e voglia, indispensabili in un team specie quando le regole imposte dalla Compagnia sono molto dure. A New York, Parigi e Londra, poi, a noi ragazze era concesso andare a fare shopping; diverso per le località come Khartoum (Sudan, nda) dove ci muovevamo accompagnate. In spiaggia era proibito il bikini così come non era bene abbronzarsi troppo: talvolta indossavamo creme per coprire tracce di sole perché, a bordo, i passeggeri non gradivano un colore troppo pronunciato. E non dia retta a chi parla di flirt fra assistenti e comandanti: una cosa assolutamente da evitare; semmai, poteva accadere che le colleghe si sposassero con i co-piloti, in genere più vicini a noi come età”.

Stemma del Corso Rostro dell’Accademia Aeronautica (1956), che prende il posto del Corso Rex il cui nome è modificato al termine della guerra e del passaggio monarchia-repubblica.

Già, i comandanti. Chi pilotava a quel tempo? Alcuni nomi li conosco già: veterani della SISA e della LAI con un passato, glorioso, nella Regia Aeronautica e nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana. La Ganda: “Miani, Drago, Conti, Pecoroni, Dazzo sono solo alcuni di quelli con i quali ho volato e che ora ricordo. Gente in gamba, carismatica, molto discreta e con la quale ti sentivi sicura anche perché il pilota automatico non c’era e si prendeva il punto con le stelle. Poca tecnologia, dunque e molta perizia umana. Ricordo che durante un volo per New York fui chiamata in cabina: – abbiamo due eliche in bandiera, tirare le tendine degli oblò -. Fu necessario uno scalo a Parigi cui arrivammo con i passeggeri peraltro felici di quel contrattempo. Paura? Mai avuta: mi piaceva moltissimo ciò che facevo, seppure mi rendessi conto che rischi c’erano e che ci si poteva restare. A mollo in Atlantico, ad esempio, dopo pochi minuti la vita finiva. Comunque, ho lasciato quella vita nel 1963, sposando l’allora mio fidanzato, pilota dell’Aeronautica Militare sugli F104 (il comandante Amos Ghisoni del Corso Rostro, nda). Inseguito, anche lui finì in Alitalia. Quanto a me resto legata alle “ragazze” di allora e ai piloti dell’AM che continuo a frequentare perché la nostra  amicizia è andata oltre gli anni e oltre la morte di mio marito. Loro del Corso Rostro erano come fratelli e questo legame dura tutt’oggi. Rimpianti? Uno solo (sorride, nda): andavo matta per l’F104 ed ero contentissima quando ne sentivo parlare da mio marito proprio perché gli aerei sono una grande passione per me. Avrei voluto farci un volo, non fu possibile: lo fu però per la figlia di Moro. Ecco, quello mi spiacque: che lei abbia potuto volarci e io no!”.

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