Effemeridi. Sinopoli direttore d’orchestra che amava Pound e i pensatori della Tradizione

Giuseppe Sinopoli e Wolfgang Wagner
Giuseppe Sinopoli e Wolfgang Wagner

20 aprile 2001. A Berlino, mentre sta dirigendo l’ “Aida” di Verdi al Deutsche Oper Berlin, muore per un infarto a soli 55 anni Giuseppe Sinopoli.
Era nato a Venezia, luogo magico nel quale nelle sue passeggiate di studente incrociava l’Ezra Pound silenzioso poeta tornato in Italia dopo la vergognosa detenzione americana.  E a Venezia iniziò per Sinopoli il percorso di ricerca del filo della Tradizione tutto fatto di simboli da rintracciare nel labirinto della città sull’acqua.
Era partito dalla filosofia di Schopenhauer ma presto si era gettato nella lettura di Julius Evola, René Guénon e Mircea Eliade, un percorso proseguito fino alla fine che non gli impedì di laurearsi in Medicina e Psichiatria a Padova per accontentare i genitori, ripreso studiando Armonia al Conservatorio veneziano e proprio alla fine avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea in Archeologia nella Facoltà di Lettere alla Sapienza di Roma, appuntamento previsto per il giorno dopo…. la sua morte (gli verrà concessa la laurea post mortem).
Ricercatore, studioso, lettore, da Evola a Borges e Joyce, dalla poesia di Pound alla musica di Wagner, dalla filosofia greca a Dante e alla Storia, in una continua ricerca culturale dell’identità europea.  Incontrò la musica in modo inusuale, restando affascinato, attorno ai dieci anni a Messina – dove era stato trasferito il padre – dalle bande musicali dei funerali. Strano inizio per chi era destinato a diventare per tutto il mondo l’uomo della Musica che egli abbracciò come “una compagna di solitudine” nella quale il concerto da dirigere non era un evento mondano ma “un autentico rito”.
L’amico ideologicamente opposto, il “rosso” Luigi Nono lo metteva in guardia per quella sua ricerca. “Diciamo che sentiva l’affettuoso dovere di sconsigliarmi avventure intellettuali che gli parevano rischiose. L’ho molto amato, senza tuttavia farmene ideologicamente condizionare” dirà al giornalista Marzio Breda. Eppure, nonostante questo background, Sinopoli fu attaccato da ambienti romani di Alleanza Nazionale, rozza e sciocca prosecuzione di un comportamento visto anche in altre circostanze, dalla idiota campagna contro Federico Fellini ai tempi della “Dolce vita” o in epoca più recente contro Franco Battiato in Sicilia; artisti fuori dalle mischie politiche ma chiaramente con una sensibilità che una certa parte avrebbe dovuto/potuto sentire vicina. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano, a crude valutazioni e forse anche ingenerose.
Tornando a Sinopoli, studiò Direzione d’orchestra a Vienna dove fu anche allievo di Karlheinz Stockhausen (un altro musicista dalle letture e dalle sensibilità “pericolose”), poi la lunga serie di incarichi nei più importati luoghi della musica, dal primo a Siena (dove aveva anche studiato all’Accademica Chigiana) alla direzione della New Philarmonia di Londra all’Accademia di Santa Cecilia di Roma; dall’Opera di Berlino dal 1990 alla Staatskapelle di Dresda.
Nel 1998 aveva accettato l’incarico di direttore artistico e musicale dell’Opera di Roma, dopo una lunga trattativa condotta dall’illuminato assessore alla Cultura Gianni Borgna della giunta di Francesco Rutelli, da quest’ultimo voluto anche come consulente; un incarico gratuito (è il caso di sottolineare questa scelta di gratuità) che mantenne fino al 2000. Contemporaneamente riuscì a mantenere gli impegni precedenti di direttore artistico e musicale a Dresda e la gravosa e affascinante direzione del “Ring” wagneriano a Bayreuth.
A Roma aveva messo radici, lì si ritagliava ogni anno qualche mese di riposo con la moglie e i figli.
Alla fine dell’esperienza all’Opera di Roma e dopo aver rotto in precedenza con il Maggio musicale fiorentino, si produsse lo strappo con l’Italia. Se ne andò polemicamente: “Un teatro d’opera italiano, pur avendo gli stessi costi di gestione di un teatro europeo, come per esempio quello di Vienna, non fornisce un servizio adeguato e paragonabile. (…) E’ un problema di malcostume italiano. Da noi, poi, vige la politica dell’annuncio, il fare è un elemento secondario”; tristi conclusioni finali che lo portarono a riconsiderare anche una esperienza passata che così confessò al “Gazzettino” di Venezia: “Sono stato costretto a lavorare per 16 anni all’estero perché il Partito Comunista ufficiale mi disse che in Italia non avevo assolutamente nulla da cercare nella direzione d’orchestra” (…) “Mi dissero che ero un intellettuale, che avrei potuto fare tante cose con la Biennale, ma che per la direzione d’orchestra loro sarebbero stati sempre ostili”.
Cecità e stupidità dei politici italiani di ogni colore, intolleranti nei confronti di chi non si mette in vetrina, prono, nelle Leopolde di turno.

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Amerino Griffini

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