Effemeridi. Turi Vasile regista libero e cattolico: dai Littoriali al teatro e ai romanzi

Turi Vasile
Turi Vasile

22 marzo 1922. A Messina nasce Turi Vasile, destinato a diventare uno dei pilastri storici della cinematografia italiana come regista, autore e produttore.
Figlio di un maresciallo di Marina guardiano di fari, Turi i suoi studi fino al liceo classico li fece a Messina.
Nella sua città iniziò a lavorare nel Teatro Sperimentale dei GUF fondato da Enrico Fulchignoni (assieme agli altri messinesi Adolfo Celi e Mario Landi), uomo dai tantissimi meriti intellettuali del quale in queste “effemeridi” ci siamo già occupati.  Alla fine degli anni ’30 il giovane Vasile approdò al Teatro delle Arti di Roma voluto da Anton Giulio Bragaglia che operava nella sede della Confederazione fascista professionisti e artisti finanziata generosamente dal Regime.   A Roma, come aveva fatto a Messina, Vasile si dedicò con passione al teatro dei Gruppi Universitari Fascisti, una vera fucina di eccellenze, lui in veste di regista e attore.
Tra quei giovani promettenti attori c’erano anche Ubado Lay, Giulietta Masina, Anna Proclemer, Mario Riva, tanto per citarne qualcuno con cui Vasile ebbe a che fare.
Una logica di vasi comunicanti consentiva il passaggio a quegli studenti fascisti, dai teatri universitari ai Cine-GUF, alla Radio-GUF e all’Accademia d’Arte drammatica. In quell’ambiente teatrale Vasile andò avvicinandosi a quegli autori che sentiva – al di là della politica – più vicini alla sua sensibilità religiosa come Diego Fabbri che nel dopoguerra si sarebbero poi ritrovati nell’ambiente cattolico più impegnato.
Ai Littoriali di Bologna del 1940 si classificò sesto nella sezione Teatro dedicata al tema “Orientamenti di un nuovo teatro fascista e dissoluzione del teatro broghese”. Il suo lavoro teatrale “La procura”, vincitore ai Littoriali fu rappresentato la prima volta al Teatro dei GUF di Firenze con la regia di Alessandro Brissoni. Sempre a Firenze ci fu la prima del suo “L’arsura” nel 1942 messa in scena dagli universitari del Teatro GUF di Roma.
Durante la Seconda guerra mondiale curò trasmissioni radiofoniche destinate a mettere in contatto le famiglie con i combattenti al fronte.
L’esordio nel cinema, Turi Vasile lo fece nel 1942 come assistente alla regia di Augusto Genina nel film “Bengasi” che quell’anno vinse al Festival internazionale d’arte cinematografica di Venezia; riprese quindi l’attività come sceneggiatore a fine guerra, quando fu nel gruppo degli sceneggiatori di “Due lettere anonime”, film romano di Mario Camerini sulla Resistenza, il primo sull’argomento, curiosamente girato negli stabilimenti della Scalera che era stata la società di produzione e distribuzione che durante la guerra si era occupata di film di propaganda fascista, peraltro alcuni considerati capolavori come “Giarabub” di Alessandrini e “Uomini sul fondo” di De Robertis. Una società, la Scalera, che aveva seguito il destino della Repubblica Sociale spostando parte delle sue strutture dalla romana Cinecittà al Cinevillaggio di Venezia e i cui proprietari, Michele e Salvatore Scalera, furono alle prese con la giustizia dei vincitori, paradossalmente per aver….. finanziato la Marcia su Roma nel 1922.
Nel 1948, ai tempi delle temute elezioni del 18 aprile, Vasile proseguì il percorso politico iniziato già ai tempi del fascismo quando era stato addetto stampa dell’Azione Cattolica, una vicinanza con l’ambiente ecclesiastico che dopo l’8 settembre 1943 gli aveva consentito di trovare asilo protettivo in Vaticano.
In quei drammatici giorni della lunga campagna elettorale del ’48 fu quindi con Luigi Gedda il quale gli affidò l’incarico di responsabile dell’Ufficio Psicologico dei Comitati Civici. Anche a lui quindi va attribuito un ruolo determinante nell’esito di quel risultato elettorale cruciale per l’Italia.
Ne pagò poi le consegenze nell’attività cinematografica. La DC ricompensò l’attività di Turi Vasile con un grazie e una Topolino, la prima auto della sua vita. Ma poi, il partito cattolico proseguì nella sua politica soporifera. La miope e bigotta censura democristiana si abbatté anche in quel settore oltre che sulla stampa; ne soffrì e invano tentò di mitigare i danni il Vasile che ben sapeva quale era la posizione della DC rispetto alla strategia gramsciana del PCI: “A loro la Cultura, a noi le Banche!” era la filosofia dei miopi gestori del potere. Un programma che si rivelò imbarazzante per lo stesso mondo del cinema italiano che sicuramente non era comunista nè tra i registi (basti pensare a quanto emerse dall’indagine compiuta anni fa per il Corriere della Sera da Barbara Palombelli con le sue interviste ai registi, a partire dalle affermazioni di Lizzani) ne tra gli attori che perlopiù erano reduci dalla guerra civile combattuta nei reparti della RSI (Walter Chiari, Mastroianni, Vianello, Enrico Maria Salerno, ecc. ecc.) e neppure nel teatro che veniva dall’esperienza sperimentale dei Gruppi Universitari Fascisti e si ritrovava con attori di punta Giorgio Albertazzi e Dario Fo che uscivano anch’essi dall’esperienza militare repubblicana.
Vasile fu sceneggiatore nei primi anni ’50, collaborando con Luigi Zampa (in “Processo alla città”) nel 1952, con Alessandro Blasetti (nel film ad episodi “Altri tempi. Zibaldone n.1”) nello stesso anno, assieme a Diego Fabbri e Roger Nimier; sempre nel ’52 con Rossellini sceneggiò l’episodio de “L’invidia” nel film collettivo “I sette peccati capitali”, tra i registi del quale c’era anche Claude Autant-Lara (il regista francese destinato a creare scandalo in anni più vicini a noi con la sua elezione al Parlamento europeo nelle fila del Front National di Jean-Marie Le Pen); l’anno successivo lavorò con Michelangelo Antonioni (ne “I vinti”).
Poi fu produttore con La Ultra Film, la casa di produzione da lui avviata che esordì con un film di fantascienza di Antonio Margheriti, “Il pianeta degli uomini spenti”, al quale seguirono sempre con la produzione della Ultra Film, “Io la conoscevo bene” di Pietrangeli, “I tulipani di Harlem” di Franco Brusati (1970) e il grande successo di “Anonimo veneziano” diretto da Enrico Maria Salerno con la sceneggiatura di Giuseppe Berto, davvero un bel trio di produttore-sceneggiatore-regista. Ed è stato anche produttore e/o sceneggiatore di film di Pietro Germi, di Duccio Tessari, Vittorio De Sica, Florestano Vancini, …..
Tutto ciò però non abbandonando il teatro, nel 1947 il regista Vincenzo Tieri aveva rappresentato il suo “Anni perduti”; nel 1950 era stata la volta di “I fiori non si tagliano” e nel 1957 “Le notti dell’anima”, regista Orazio Costa.
Giunse quindi il momento della regia alla quale si affacciò nel 1952 con “I colpevoli”, un film con Carlo Ninchi e Vittorio De Sica, al quale seguirono “Classe di ferro”, la commedia musicale “Promesse da marinaio” con protagonista Renato Salvadori e “Gambe d’oro” nel 1958 con protagonista Totò.
L’attività di produttore però non era cessata e avrebbe riservato a Vasile molte soddisfazioni ma anche seri problemi economici. Dopo la co-produzione di “Sedotta e abbandonata” di Pietro Germi nel 1964 e “Operazione San Gennaro” di Dino Risi nel 1966, il disastro arrivò nel 1972 con “Roma” con la regia dell’amico Federico Fellini: Vasile, per onorare le spese, fu costretto a indebitarsi e dovette vendere l’attico ai Parioli nel quale viveva e accontentarsi da quel momento di un piccolo appartamento al piano terra sulla Cassia.
Gli ultimi lavori furono con Andrea Camilleri (in “Quiz”), con Carlo Lizzani nella mini-serie televisiva “La donna del treno” e ancora per la tv producendo “Lo scialo” dal romanzo di Vasco Pratolini.
Vasile è stato Presidente dell’Istituto Nazionale per il Dramma Antico che dal Teatro Greco di Siracusa al Teatro Romano di Fiesole cura ormai da un secolo le rappresentazioni classiche.
I suoi romanzi e racconti datano dagli anni ’80, perlopiù pubblicati dalle edizioni siciliane Sellerio. Nel 2003 pubblicò una nostalgica galleria di ritratti di artisti (“Raccontati da Turi Vasile”), visti come li aveva conosciuti e umanamente apprezzati, dal commediografo Rosso di San Secondo a Pasolini, da Ennio Flaiano a Giuseppe Berto, da Enrico Maria Salerno a Vasco Pratolini a…; una chicca di 19 ritratti.
Come critico letterario è stato collaboratore de “Il Giornale”.
Negli ultimi anni di vita espresse il suo parere contro il progetto del ponte sullo Stretto. Lo fece con pubblici interventi e con la raccolta di racconti “Il Ponte sullo Stretto”, rivendicando la salvaguardia dell’insularità non solo ideale della Sicilia, cioè la sua riconosciuta e costante autonomia culturale”, e da messinese di nascita la preoccupazione perché la città “verrebbe dal ponte ulteriormente emarginata, non più una tappa obbligata, ma un fugace passaggio di cui resterebbe solo un cartello sull’autostrada”.
Una battaglia per il momento vinta, dopo la lontana ideona berlusconiana e le vane recenti promesse demagogiche del giovinotto di Rignano sull’Arno.
Turi Vasile si spense il primo giorno di settembre del 2009, pochi giorni dopo la morte di Silvana la moglie che aveva delicatamente accompagnato nell’oscurità della malattia dell’oblio dopo sessant’anni assieme. A lei, citata col suo nome anche nel titolo, dedicò un commovente diario intimo alla fine anche della sua esperienza di scrittore. Il critico Paolo Mereghetti nel recensire “Silvana” scrisse che Turi Vasile aveva con quel libro inteso anche farne un lascito “testamentale, di risarcimento per un padre e una madre che hanno saputo non far pesare ai figli la povertà delle origini: E insieme un riconoscimento per i valori su cui costruire una vita: la famiglia, l’amore per la natura, il rispetto per il cibo povero, l’importanza delle proprie convinzioni”.

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Amerino Griffini

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