Il caso. L’universalità del Patrimonio Italiano e il Museo missionario cinese di Sava

Il Museo Missionario Cinese di Sava
Il Museo Missionario Cinese di Sava

Dopo lunghi anni di attesa, è stato finalmente riaperto il Museo Nazionale Archeologico di Taranto (MARTA). Stendiamo un compassionevole velo su questa stolta moda, tutta di derivazione americana, di dare delle sigle ai musei, le quali sembrano più spesso nomignoli che ricordano dei farmaci da banco che quelli di istituzioni culturali, e concentriamoci sul tema che ci preme qui evidenziare: la ricchezza storico-artistica della bella Terra di Puglia, che è poi una epitome della straordinarietà delle collezioni italiane, dove abbiamo il meglio del meglio in tutti i settori museali. Tale primato è strettamente legato a quello che noi amiamo definire: “Il contributo universale” della Chiesa per quanto concerne il Patrimonio. Vero, Sancta Romana Ecclesia ha da secoli intorno a sé vicende di vario tipo, alternando luci a ombre, ma chiunque abbia un minimo di buon senso non potrà che convenire sul fatto che essa ci ha lasciato una quantità di tesori che lascia a bocca aperta e che, come avremo modo di vedere, sono talvolta afferenti a culture altre.

Parliamo nella fattispecie del Museo Missionario Cinese e di Storia Naturale. Scoprirlo ci aiuterà a conoscere l’ennesima perla orientale del nostro Paese. Dagli inestimabili ori magnogreci, quindi, sino al Celeste Impero, Taranto e la sua Provincia ci permettono di godere di un Patrimonio vasto, quanto variegato, giacché il museo religioso che andremo ad analizzare si trova a Sava: un piccolo comune situato vicino Taranto; città nella quale ora, dopo la riapertura del Museo Nazionale Archeologico, possiamo nuovamente ammirare una raccolta che offre uno spaccato unico sull’arte della Magna Grecia; ovvero l’apice del mondo ellenico, e tutto ciò sta nella nostra Italia… ma gli italiani lo sanno? Ne sono consapevoli? Ne dubitiamo fortemente.

“E i miei frati si spargano per il mondo”, questo fu il desiderio di Francesco d’Assisi, da lui stesso attuato recandosi in Palestina tra i musulmani, per annunciare il Vangelo. Ormai questo Occidente in piena fase di islamizzazione vive l’enorme portato storico-culturale della Chiesa non solo con diffidenza, ma dimostrando puntualmente una totale ignoranza verso quanto il Cristianesimo abbia contribuito allo sviluppo di questa Europa tanto decantata da quelli che chiamiamo da tempo i benpensanti del progresso: personaggi che si distinguono per una sfacciata ipocrisia e il portafoglio pieno.

Sia come sia, la universalità del Patrimonio Italiano va conosciuta, e non è poi alla fine cosa difficile, considerato che la si trova praticamente ovunque nella Penisola, coprendo quasi sempre ogni possibile tipologia museale. Molta di questa ricchezza è merito per l’appunto della Chiesa, e non ci riferiamo soltanto al numero quasi imbarazzante di edifici di culto che il nostro Paese può vantare. Accanto a basiliche, cattedrali e biblioteche, il Cattolicesimo ha regalato all’Italia una serie di musei religiosi senza eguali al mondo. Ovviamente, il primo tra tutti è il museo dei musei: quei Vaticani, al cui confronto il Louvre dovrebbe quasi “cambiar mestiere”. Tuttavia, nella epoca di Wikimenzogna, vengono portate avanti le peggiori bugie, così che sovente gli stranieri si illudono di avere musei migliori di quelli italiani. Se la verità fosse ristabilita una volta per tutte e i nostri esterofili – non tutti per fortuna –  addetti ai lavori cominciassero finalmente ad accettare il primato assoluto delle Collezioni Papali, beh, questo sarebbe già un bel passo avanti.

Non vogliamo però qui parlare dello strabiliante museo romano. Dicevamo della “universalità” del Patrimonio Italiano e che caratterizza pure i musei religiosi. Tra questi ce ne sono molti di tipo etnografico/etnologico, frutto del collezionismo dei missionari. Persino nella piccola città di Sava troviamo una raccolta di assoluto pregio, quella del suddetto Museo Missionario Cinese e di Storia Naturale, dell’Ordine dei Frati Minori, meglio conosciuti come francescani. Solo in Italia è possibile questo: non ci immaginiamo proprio un museo della stessa rilevanza e originalità in un paesino di provincia della tanto osannata Francia, Paese-idolo della nostra sinistra.

Questo interessantissimo Museo nasce dalla intuizione di Padre Egidio Santoro, il quale dal 1909 al 1947 svolse la sua attività nella provincia cinese dell’Hubei. Nei circa quarant’anni trascorsi nel Celeste Impero, egli comprò vari oggetti di grande interesse, con l’intento di riportarli in Italia, in modo da far conoscere la bellezza della millenaria cultura cinese. Nelle sale del Convento di San Francesco, dove è ospitato il Museo, possiamo ammirare: armi, arazzi, amuleti, statuette, vasi. Tali reperti furono esposti per la prima volta a Lecce nel 1963, per poi essere trasferiti nella più ampia sede di Sava.

L’aspetto di assoluto rilievo che caratterizza le raccolte del Museo è di essere in buona parte provenienti dall’Isola di Formosa – l’attuale Taiwan – dove per anni è stato presente un nucleo di frati francescani leccesi. Col tempo, si aggiunsero inoltre alcune collezioni naturalistiche: coleotteri, lepidotteri, conchiglie. Qui è il caso di fare una brevissima digressione museologica. Sarebbe a dire, che una caratteristica non certo inusuale dei musei missionari italiani è proprio quella di presentare sì del materiale etnografico, ma frequentemente anche naturalistico, con testimonianze della flora e fauna di quelle terre lontane. Ciò è da considerarsi un contributo di eccezionale valore che questi musei danno al nostro Patrimonio. Un fatto persino più importante è rappresentato da questa collezione, giacché assai raramente i musei orientali espongono opere e reperti provenienti da Taiwan, visto che è quasi sempre la Cina Continentale a farla da padrona.

Il Museo oggi è diviso nella sezione di Cultura Cinese e in quella di Storia Naturale, che è a sua volta così strutturata: fauna marina, fauna terrestre, minerali, fossili, erbario. Nella parte naturalistica, spiccano le pregevoli raccolte di farfalle formosane e africane come anche i cerambicidi, di cui il Museo possiede alcuni begli esemplari: il Melanauster Chinensis e l’Acrocinus Longimanus, quest’ultimo proveniente dalla Colombia. Ricca è altresì la sezione delle spugne marine, dove è presente l’Euplectella, che è considerata in Giappone il simbolo della fedeltà coniugale ed è offerta come dono di nozze. Suggestivo è senz’altro il Palinurus Versicolor, la splendida aragosta cinese. In definitiva, le collezioni naturalistiche qui esposte sono davvero affascinanti, poiché, contrariamente a quanto accade in altri musei, gli animali sono presentati in atteggiamenti molto particolari, dimostrando una grande maestria nella preparazione tassidermica.

La sezione forse più importante è però quella sulla cultura cinese, la quale possiede diverse porcellane antiche (alcune di Epoca Ming). Particolarmente rilevante è la raccolta di monete, rappresentativa delle varie dinastie del Celeste Impero. È anche esposto un autentico altare familiare buddhista. Preziosissimo è, infine, un gruppo di oggetti degli aborigeni Atayal: gli abitatori originari di Taiwan, una vera rarità a livello internazionale. E pensare che da noi ciò si trova in un paesino di provincia; se questo non fa dell’Italia Museale un qualcosa di unico al mondo, allora cosa altro?

Comunque, il Museo, più che esporre opere Belle, si concentra sul far conoscere tre aspetti fondamentali legati alla Cina: la religiosità popolare, il culto degli antenati e la prima presenza del Cristianesimo sul territorio. C’è da dire, che il culto degli antenati – talvolta erroneamente associato dagli occidentali a quello dei morti – è alla base della società cinese tradizionale, ed è una filosofia della vita, non certo escatologica: gli antenati accompagnano il cinese nella sua quotidianità, fungendo da guida morale per l’individuo.

Tirando le somme, qual è il dato principale che possiamo trarre dalla conoscenza di questa autentica perla del Salento? È il fatto che l’Italia nei secoli è sempre stata in contatto con tutto il mondo e non era, perciò, quel paesino secondario e provinciale che è adesso. A dimostrarlo ci pensano le tante e notevolissime collezioni di carattere etnografico che possediamo. Alla intellighenzia gauchiste piace invece dipingere il Belpaese come una Nazione arretrata da sempre ed esclusivamente ancorata alle bellezze romane e rinascimentali, ma questo è palesemente falso. Quello che la sinistra ignora continuamente, a causa del suo limitato spettro culturale, è che la universalità contenuta nei nostri musei è in buona misura merito del contributo dato dal collezionismo ecclesiastico e il museo di Sava ne è un esempio che non teme smentite.

Abbiamo un Patrimonio che abbraccia tutta la Umanità, dalla culla della civiltà occidentale, la Grecia, sino a quella dell’Oriente, la Cina. Jorge Luis Borges soleva dire: “Siamo tutti greci”. Giustissimo, ma le vicende di Marco Polo ci insegnano però che pure la Cina è vicina e fa parte indirettamente di noi; non vi è infatti salotto aristocratico europeo degno di tale nome se privo di una porcellana Ming o Qing.

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Riccardo Rosati

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