Musica. Gabbani e la riscoperta del “karma” con le note di Sanremo

La scimmia e Gabbani sul palco di Sanremo
La scimmia e Gabbani sul palco di Sanremo

Karma. La ruota gira, analoga alla legge causa-effetto. Sono tante le suggestioni che nascono attorno a questo concetto. Il karma è il prodotto delle nostre azioni, concetto millenario che da sempre caratterizza gli interrogativi di chi si pone in uno stato di ricerca. Non conosce barriere geografiche o culturali, è universale. L’orientamento delle azioni dell’uomo verso una maggiore armonia, la sua ricerca verso una consapevolezza che lo porta ad affrancarsi dagli istinti e dai comportamenti più beceri,  sono, sono i capisaldi delle tradizioni spirituali di tutto il mondo. La ricerca è fatta di pratica ma non richiede necessariamente l’adesione a dogmi o ideologie. Per iniziare basta approfondirsi e l’arte può essere uno dei mezzi per approfondire e dare forma alla ricerca e, al tempo stesso, prendere consapevolezza dei propri abissi.

Ritrovare la parola Karma inserita nella forma canzone, contornata dal luccichio dei riflettori di un’istituzione (nel senso sociologico del termine) nazionalpopolare come il Festival di Sanremo, può rivelarsi a dir poco sorprendente. Francesco Gabbani, classe 1982 da Carrara, con un retroterra rock e vincitore della categoria nuove proposte  nell’edizione del 2016 con il brano Amen, sorprende e scombina le carte, proponendo un brano anomalo per gli standard del Festival. L’artista carrarese da voce e suono ad un testo del contadino/pittore Fabio Ilacqua, già autore del singolo Amen, dal titolo Occidentalis Karma, con il quale dipana un ritratto istrionico e antropologicamente dinamico, incentrato sul comportamento umano; un brano che sarcasticamente smembra lo stile di vita dell’uomo occidentale e il suo tentativo di depurarsi dal peso superfluo e stantio del complesso e nevrotico pezzo di mondo, le cui correnti sembrano costantemente condannarlo ad un’evoluzione fallimentare ed irraggiungibile.

Il ritmo dance e gli spunti coreografici, come la scimmia che balla, trasformano e diffondono un brano classificabile come indie, più adatto magari a contesti di altro genere, in un brano orecchiabile che incanta platea e giuria. Cita con disinvoltura il libro La Scimmia Nuda, dell’antropologo Desmond Morris. Francesco Gabbani si è presentato perseguendo quella ricerca di serenità e di leggerezza che diventano il perno attorno a cui ruota la sua esistenza. La musica diventa la chiave di volta per trovare l’equilibrio, il fuoco che brucia tutto ciò che non serve, la miscela esplosiva davanti a cui le perversioni del senso comune subiscono un arresto, oltre a radiografare, con una precisione quasi sociologica, le tendenze e le mode. Gabbani non è il fustigatore di costumi di catoniana memoria ma un osservatore che annota una serie di comportamenti diventati ormai cronici, se ne fa beffe, proponendoli ad un pubblico eterogeneo ed  appartenente ad un altro universo. Ha fatto centro. Balliamoci sopra allora.

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Stefano Sacchetti

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