Cultura. Dominique Venner e l’etica del ribelle come unico destino

Dominique Venner e Mishima
Dominique Venner e Mishima

In un’intervista di qualche anno fa, a chi gli chiedeva cosa significasse essere al giorno d’oggi un Ribelle, Dominique Venner, come prima cosa rispose: “mi chiedo soprattutto come si possa non esserlo!”. Il Ribelle come unica via, come l’uomo sano di evoliana memoria.

Dominique Venner, il 21 maggio del 2013, si tolse la vita nella Cattedrale di Notre Dame. Una morte volontaria, attuata serenamente con quel freddo distacco proprio di una visione olimpica ed eroica di chi non è oggetto di altrui dominazione, mantenendo invece una ferma volontà e padronanza dello spirito. Certamente, Venner aveva avuto modo di approfondire gli insegnamenti di Seneca.

Lo fece per “risvegliare le coscienze addormentate” degli europei, una sorta di tavolo ribaltato quando le cose vanno a farsi benedire. In questo caso a farsi benedire è l’Europa. L’Europa come unità di destino, delle patrie e delle nazioni, delle tradizioni ancestrali, quelle tradizioni, che non passano perché eterne, sempre presenti.

Di contro c’è questa disgraziata Europa, quella mercantilistica della finanziarizzazione della vita, della dittatura della BCE, dell’invasione di genti straniere che sistematicamente sciamano sulle nostre terre, della terribile prospettiva di un Melting Pot che inquinerebbe la sostanza dei nostri popoli, del perpetuo edonismo, del materialismo spicciolo, dei valori che stanno precipitando su di un piano inclinato. Il tramonto dell’Europa, il concludersi drammatico di un ciclo, la possibilità di un ferale ed incombente destino che secolarmente aveva destato le preoccupazioni delle più grandi figure nate nelle nostre terre. Osservatori attenti della natura umana e di quella dei popoli.

La sua profonda personalità, ultima manifestazione radicale di una etica di milizia volta all’oltreumano, richiama alla memoria altre figure scolpite da un medesimo sentimento olimpico, esemplari nello stile come nel portamento, parliamo di Drieu La Rochelle, Jan Palach, Alain Escoffier, Yukio Mishima, Bobby Sands, accomunati nelle loro specifiche differenze da un comune percezione, dalla medesima drammaticità.

Il primo dei tre patrioti europei, Drieu, che scelse di completare l’unione mistica dell’anima individuale con l’anima universale attraverso il superamento della soglia della vita, non tollerando oltre la gravità della sconfitta dell’Europa e con un ultimo sguardo rivolto alle pagine delle Upanishad; gli altri due, giovani anime che si arsero in un fuoco purificatore per mondare l’Europa dal sudiciume della vigliaccheria che mostrava nei confronti dell’oppressione comunista che schiacciava i popoli dell’est; Mishima, un purissimo figlio del Sol Levante, che con il rituale del Seppuku, il suicidio rituale, in perfetta aderenza con la tradizione degli antenati, si toglie la vita per protestare contro la decadenza del Giappone, che piegato all’occidentalizzazione dei costumi imposta dal colonialismo americano stava irrimediabilmente perdendo il senso di quei valori spirituali, identitari ed eroici che da sempre lo avevano identificato; e l’ultimo, patriota e rivoluzionario irlandese che morì il 5 maggio del 1981 dopo sessantasei giorni di sciopero della fame nel carcere di Long Kesh, dopo una protesta non violenta contro il brutale regime carcerario al quale erano sottoposti i detenuti repubblicani.

In “Un Samurai d’Occidente, il breviario dei Ribelli” (per l’edizione italiana ed. Settimo Sigillo, Roma, 2016) Venner, ci da una panoramica della situazione attuale, ma soprattutto ci dice da dove ripartire per contrastare il caos che impera. Dobbiamo ripartire dalle nostre origini autentiche che ci sono state portate via (e che molti fanno finta che non siano mai esistite), dall’Iliade e dall’Odissea, poemi fondatori. Ma soprattutto ci dice che dobbiamo far leva su noi stessi. Infatti, tra gli innumerevoli esempi da seguire, cita Epitteto con il suo Manuale e l’imperatore Marco Aurelio con i suoi Pensieri. Due stoici un greco e un romano che con queste opere invitavano al raccogliersi quotidiano in noi stessi e a capire chi siamo, perseverando nel nobile percorso senza curarsi né soggiacere agli ostacoli, di qualunque natura essi fossero.

Il Ribelle, quindi, deve partire da se stesso, con dedizione, perseveranza e conoscersi sino in fondo, senza dar troppa importanza alle conseguenze, a costo di mettersi il mondo contro. Per il Ribelle   è  vietato strisciare. Nonostante i tempi che corrono deve insistere, deve incombere e combattere contro il nulla che avanza. Portare un’identità e la propria personalità verso la propria nazione e la propria stirpe. Un ritorno alle origini, appunto, ma senza incorrere in banali o stucchevoli nostalgismi, la Tradizione riverbera se stessa nel tempo sempre in forme e manifestazioni inaspettate. La Tradizione delle origini, quindi della perennità, deve vivere qui ed ora. Combattendo quotidianamente la piccola e la grande guerra santa.

Pensiero e azione sono imperativi esistenziali. Esistendo solamente attraverso ciò che lo distingue dalla massa inerme e omologata, deve essere un faro nel buio, una personalità attiva che con la sua Weltanschauung riesce ad affrontare tutti gli aspetti della quotidianità, soprattutto quelli più difficili. Lasciare da parte il banale e tornare all’essenziale. Poiché, come molti maestri hanno detto e scritto in passato, per un qualsiasi tipo di cambiamento, prima di un generico programma politico, servono uomini, uomini nuovi.

Tali uomini avranno fatto proprio, traducendolo nei fatti un celebre aforisma di Nietzsche, che sollecita appunto al raccoglimento e alla lotta: “A voi non consiglio il lavoro, bensì la battaglia. A voi non consiglio la pace, bensì la vittoria. Sia il vostro lavoro una battaglia, sia la vostra pace una vittoria! Solo chi ha la freccia e l’arco è capace di assidersi silenzioso: tutti gli altri sono chiacchieroni litigiosi. Sia la vostra pace una vittoria!”

Dominique Venner ci ha trasmesso una grande responsabilità: salvare la Civiltà della nostra patria continentale. Salvarla facendo appello al suo autentico significato, alla sua reale natura. Un impegno che noi europei, da un po’ di anni, oramai, abbiamo già colto con onore e con coraggio. Un coraggio che di questi tempi vale il doppio.

Trovando nell’indubbio valore delle sue opere (di queste solo quattro sono state tradotte in italiano) l’insegnamento e le motivazioni necessarie.

“Gli uomini si definiscono quindi, secondo il bello e il brutto, il nobile e il vile. O, per dire le cose altrimenti, la bellezza è la condizione del bene. Ma la bellezza non è niente senza lealtà né coraggio”.

E con questo presupposto, ci incamminiamo, con passo deciso e distaccato, come il Cavaliere del Dürer, attraverso i pericoli e le sfide che ci attendono. Sapendo che questa è la nostra strada e che non abbiamo alternative. All’essere ribelli, soprattutto oggi, non vi è alcuna alternativa.

@barbadilloit

Nicola Sgueo

Nicola Sgueo su Barbadillo.it

Exit mobile version