Effemeridi. Mary Wigman e l’incarnazione del modernismo reazionario nella danza

Mary Wigman
Mary Wigman

Il ritratto di Mary Wigman, ballerina e coreografa tedesca, maestra di danza  della regista Leni Riefenstahl e dell’attrice Trude von Molo, curato da Amerino Griffini

18 settembre 1973. A Berlino Ovest muore Mary Wigman. E’ stata una delle più importanti rappresentanti della danza moderna, definita dalla storica Laure Guilbert l’incarnazione del “modernismo reazionario” nella danza. Assieme al suo maestro Rudolf von Laban, esplorò nuovi percorsi artistici con l’ambizione utopica di andare contro le degenerazioni della modernità.
In questo senso, i due portarono – come Fidus nel campo della pittura – nella danza moderna il tentativo di rinascita spirituale nel mondo moderno trasferendo nel corpo del danzatore il senso del tempio sacro; un corpo come centro del mondo. Uno spazio sacro in grado di restaurare l’esperienza sacrale primitiva nel senso che gli darà in seguito Mircea Eliade, di restituire al mondo la sua “valenza cosmologica”, il suo “orientamento”.
Mary Wigman usò in questo senso lo strumento della kinosphera vista come il luogo del movimento del corpo dell’artista come dentro una sfera su un piano orizzontale, uno verticale e uno sferico. Il tutto inserito in un tempo astorico.

La gioventù 
Furono i suoi, anni di intensa ricerca sperimentale tra Monaco e Roma, tra Zurigo e lo steineriano Monte Verità, tra 1913 e 1919 nel tentativo di ridare al mondo, almeno nell’arte della danza, l’incanto perduto. Evidente in questa ricerca la matrice dello stesso pessimismo ereditato dalle correnti del pensiero conservatore del XIX secolo.
Rudolf von Laban, il suo maestro, era nato a Bratislava (che allora si chiamava Pressburg), figlio di un ufficiale asburgico chiamato a governare la Bosnia-Erzegovina; si trovò colà a scoprire e restare incantato da una cultura popolare rimasta arcaica, dove la vita quotidiana dei villaggi era scandita da riti e ritmi nei quali la festa e la danza avevano un’importanza fondamentale. La comprensione degli aspetti universali di quel “tempo festivo” e del suo “ritmo cosmico”, portò von Laban a fare i conti con la vita militare che invece gli era stata programmata dalla famiglia, così, quando si ritrovò cadetto dell’Accademia militare di Vienna non resse all’impatto della “tecnica” rispetto al mondo che aveva avuto modo di conoscere e, lasciata la sciabola fu bohèmien, studioso di architettura e delle altre arti, tra Vienna e Parigi per un decennio. Nel 1910 aprì un “atelier” (termine usato invece di scuola) per la danza e la scenografia dove cercò di tradurre la filosofia di Nietzsche nel “danzatore-filosofo”.
Fu in quel contesto e nella colonia utopica di Monte Verità in Svizzera, che elaborò la teoria della kinosfera, come abbiamo detto, fatta di movimenti di danza visti come strumenti per una rinascita spirituale nel mondo moderno travolto dall’industrializzazione.
L’incontro tra von Laban e Mary Wigman portò ad un periodo di sperimentazione della kinosfera sempre più intensamente vissuta come esperienza estetica (ed estatica) del sacro, una via mistica per uscire dalla logica dello sfruttamento capitalistico.
Gli atelier di von Laban e della Wigman furono delle “comunità di lavoro festivo”, come essi le definirono; delle comunità spirituali che non si occupavano solo della danza ma, sulla scia dell’esperienza di Ascona (del Monte Verità) come l’accumulo di un bagaglio di teorie e di pratiche dove trovavano posto Carl Gustav Jung e Rudolf Otto, il comunitarismo di Ferdinand Tönnies, la pedagogia di Martin Luserke, il canto corale, i Wandervogel, l’amore libero, l’antroposofia di Rudolf Steiner, la musica di Richard Wagner…

Inventò la Tanz-drama
Negli anni ’20 Mary Wigman inventò la Tanz-drama, la danza di gruppo, un “lavoro coreografico incentrato sulle dinamiche corporali e sulle emergie spaziali” partendo dalla concezione della comunità organica di Tonnies. Nella sua idea la Wigman tentò di “riconciliare il principio di autorità con quello dell’autonomia, il peso della comunità e il primato dell’individuo”.
Nacquero così le sue opere: “Szenen aus einem Tanz-drama”, “Totentanz”, “Totenmal” che però andarono progressivamente spostandosi verso una sorta di autoritarismo, verso il “principio del Capo” visto come maestro in grado di modificare “la massa”, infondergli un’anima. Nel suo lavoro “Totenmal” (Monumento ai morti) fu la stessa Wigman a svolgere questo ruolo di Capo, incarnazione della guida ideale in grado di trasformare la massa amorfa in una comunità organica spirituale che nella danza diventa “partecipazione collettiva attiva” dove le decine di danzanti nei ruoli di soldati, madri e ragazze non sono più individui ma “tipi”.
In Europa e in America il ruolo della danza, comprese tutte le sue implicazioni “politiche”andò assumendo negli anni Venti sempre più importanza e diffusione. Al punto che furono organizzati – da von Laban – addirittura dei congressi della danza nella Germania di Weimar, a Magdeburgo nel 1927, a Essen nel 1928, a Monaco nel 1930. A quest’ultimo parteciparono addirittura 1.400 congressisti.
Nel corso di questi incontri emersero però contrasti insanabili tra i nostri due protagonisti e ognuno fondò la sua associazione, Eric von Laban la Lega delle Danzatrici e Mary Wygman la Comumità della Danza. Da tener presente che non si trattava di associazioni chiuse nelle quali entravano solo i ballerini ma comunità nelle quali entravano scrittori, coreografi, pittori, architetti, filosofi, ….. e ambedue i percorsi miravano allo stesso modello wagneriano di “opera d’arte totale”. Le diversità erano nella metodologia di insegnamento dei balletti e sull’avvenire della coreografia teatrale.
Con l’ascesa al governo del Nazionalsocialismo di Adolf Hitler, von Laban, nonostante avesse avuto rapporti con la socialdemocrazia durante il periodo di Weimar, fu accolto nella Camera del Teatro del Reich ma la sua partecipazione agli obiettivi del regime rimase tiepida.
La Wigman invece fu più vicina a quella corrente culturale che nell’ideologia nazionalsocialista situava la danza moderna nei filoni di ricerca dei una identità politica “nazionale” ed ebbe un incarico regionale (a Dresda) nella Lega nazional-socialista degli insegnanti.
Tra gli artisti più noti che erano vicini all’ambiente della danza e che scelsero il nazismo possiamo ricordare l’adesione del musicista Carl Orff, lo scultore Georg Kolbe e la regista Leni Riefensthal che era stata allieva della Wigman a Dresda (ma che aveva abbandonato l’atelier ritenendo lo stile wigmaniano “troppo astratto”); in una posizione diversa si trovò il pittore Emil Nolde che, nonostante fosse aderente convinto al NSDAP fin da prima della conquista del potere, la sua arte fu considerata “degenerata”e dal 1941 ebbe insormontabili difficoltà nell’esporre; ciò nonostante non abbandonò il Terzo Reich.

Il nazionalsocialismo e la danza

In ogni caso, nel sistema totalitario tedesco la danza ebbe un suo ruolo e beneficiò dei sostanziosi aiuti economici del regime, comprese le scuole private come erano quelle della Wigman che furono indirizzate verso le organizzazioni professionali del NSDAP nel Fronte di lotta per la Cultura tedesca assieme ai gruppi ginnici e di educazione corporale mentre l’area di Rudolf von Laban fu inserita nelle strutture teatrali come la danza classica. Da ponte fece il pedagogo Rudolf Bode, “capo nazionale” dei Gruppi di cultura del corpo e direttore della rivista nazista del settore “Rhythmus”.
Un complesso reticolo di competenze e di filoni culturali inglobati nel grande fiume del nazionalsocialismo tra i quali ne spiccavano due: quello della Società tedesca per la Parola e il Movimento, organizzazione fondata nel 1930 che aveva per obiettivo la messa in scena delle tragedie greche focalizzando il ruolo dei movimenti ritmici e la Lega del Reich per il Teatro all’aperto del Popolo, ovvero i teatri Thing dei quali abbiamo già avuto occasione di trattare in queste “effemeridi”; arene teatrali situate come quelle dell’antica Grecia in luoghi naturali, con acustica perfetta e dove ci fossero stati in passato luoghi sacrali. Tipico uno dei pochi ancora visibili, il Thingstätte (per 8.000 spettatori) che si trova sulle colline davanti a Heidelberg nei pressi di una abbazia benedettina del IX sec. e di un antico luogo celtico di culto.
La decisione di far aderire la rete di atelier di danza della Wigman alle organizzazioni ufficiali del nazionalsocialismo fu presa nel luglio 1933 nel corso di un lungo congresso (della durata di due settimane) che vide impegnati in dibattiti, seminari e spettacoli, danzatori, coreografi, pedagoghi, vecchi e nuovi allievi. Al termine Mary Wigman e la famosa ballerina Gret Palucca a nome dei congressisti tutti chiesero l’adesione alle organizzazioni naziste del settore. La Wigman, incaricata della direzione della NSLB (Nationalsozialistischer Lehrerbund) di Dresda fu però costretta a dare le dimissioni un anno dopo a causa del carico di impegni che si era trovata a dover gestire: l’insegnamento in cinque filiali della sua scuola di danza, in varie città e l’organizzazione artistica delle tournées che avevano reso troppo difficile dirigere seriamente anche la struttura locale del NSLB.
Venne poi il momento in cui anche la Wigman dovette fare i conti con le nuove leggi razziali che, nel caso specifico, limitavano ad un massimo del 5% l’iscrizione degli allievi ebrei alle scuole di danza. La Wigman chiese ed ottenne dal Ministero di poter superare questo limite e gli fu eccezionalmente accordato. Nel 1935 però scoppiò un caso che ebbe conseguenze: una ex allieva ebrea trasferitasi in Egitto pubblicò su una rivista a diffusione internazionale un attacco ai metodi educativi di Rudolf von Laban e di Mary Wigman, accusati di autoritarismo ma il vero attacco era sottinteso al regime nazionalsocialista. Dirigenti locali e la stessa Wigman, protestarono con la direzione della rivista “Der Tanz” ma ormai la frittata era fatta e il regime colse l’occasione per un giro di vite sulla frequenza degli ebrei ai corsi. La Wigman e anche la Palucca continuarono ad avere rapporti di amicizia con le loro allieve e le loro assistenti di origini ebree in Germania e all’estero ma non tollerarono le critiche dall’estero a quella che consideravano essere una missione che richiedeva partecipazione senza screzi e dubbi da parte delle allieve (in quel caso circa 600) della loro comunità organica.
Nel 1935 Mary Wigman pubblicò con un editore tedesco il suo libro “L’Arte tedesca della danza” che rappresenta anche il passaggio ad una nuova fase della sua arte ancor più inserita nella visione hitleriana del popolo tedesco come Kulturschöpfer (creatore di cultura); la continua citazione nei suoi lavori di Ludwig van Beethoven, Albrecht Dürer e Johann Wolfgang von Goethe coincideva con quella del regime nazista che portava ad esempio della Germania eterna e guide da seguire i tre grandi. E in questa logica di partecipazione e di riferimenti ideali, la Wigman operò negli annuali festival delle Ore della danza (Stunde des Tanzes), nella scenografia e nei balletti delle sue nuove opere, nel Comitato tedesco per le Olimpiadi del 1936 all’insegna del tema “Lo sport, la salute e la bellezza”.
Il suo entusiasmo lo manifestò e la sua adesione totale allo “sforzo eroico della nazione” è nelle sue parole: “Sento parlare di crescente impegno, di bruciante ambizione da parte di tutti, non solo per essere presenti, ma per dare il meglio di sé per l’onore della Germania”.
Nelle Olimpiadi di Berlino il suo compito fu l’allestimento di un balletto di 80 ragazze, spettacolo concluso con l’Inno Olimpico scritto e composto da Richard Strauss cantato da 10.000 persone, danza corale tesa a dimostrare l’elevazione naturale di una gigantesca “comunità in festa”.
Gli entusiasmi subirono una prima doccia d’acqua gelata ai primi di maggio del 1937 quando lo scrittore Albert Talhoff gli telefonò per conto del Ministero per affidargli una doppia missione: la preparazione di una danza corale in omaggio al Führer da presentare entro la fine del mese in occasione dell’inaugurazione della Casa dell’arte tedesca a Monaco con una duplice mostra (quella dell'”arte tedesca” e quella dell'”arte degenerata”); secondo incarico relativo alle feste dell’estate, la sceneggiatura da inserire nella coreografia per i “Duemila anni della cultura tedesca”, nel corso della quale 5.000 cavalieri sarebbero sfilati per le strade di Monaco e sarebbero state ricostruite le epoche della storia tedesca; la Wigmam avrebbe dovuto occuparsi della parte relativa all’immediato dopoguerra.
Onorata della scelta la Wigman non accettò l’incarico perché avrebbe dovuto rinunciare all’insegnamento per due mesi cruciali nei quali c’erano anche gli esami di fine anno e i saggi di fine corso per le allieve.  Talhoff interpretò il seppur motivato rifiuto come un segnale di “cattiva volontà” e in questi termini lo relazionò ai suoi superiori. Non fu in discussione la fede politica della Wigman nè tanto meno il senso del suo lavoro perfettamente in linea con l’ideologia.
Ma qualcosa si era rotto, il regime non poteva ammettere diserzioni neppure motivate. Le conseguenze si videro subito; la Wigman aveva in corso una domanda di trasferimento della sua scuola di Dresda a Berlino, la risposta fu negativa, un trasferimento considerato fondamentalmente inutile. Iniziò un braccio di ferro nel corso del quale ci fu chi si prese la briga di analizzare i vocaboli usati dalla Wigman nelle sue repliche e fu letta come irritante la sua posizione di considerarsi capofila della danza tedesca al punto da sentirsi in grado di dettare le linee guida culturali ai suoi superiori gerarchici. La cosa apparentemente finì lì ma l’anno successivo, quando un regista propose alla Wigman un lavoro nel quadro del Festival d’Estate di Berlino, si mise in mezzo addirittura Goebbels per bocciare la scelta.
Ormai Mary Wigman era destinata ad uscire di scena. A niente valse la sua fedeltà pubblica e anche quella privata (come si legge dai suoi diari), a niente il suo gioire per le vittorie iniziali della Seconda guerra mondiale.
Nel 1941, in occasione del congresso della danza a Lipsia era prevista una sua conferenza di apertura dell’assise ma una settimana prima gli fu revocato l’impegno e il suo nome non apparve neppure nel programma dell’evento. Ma la Wigman ancora una volta rimase salda nella sua fede, tenendo separata la sua dedizione alla scelta ideologica dal comportamento ottuso dei burocrati.
Poi il destino si accanì nel privato quando l’amico del cuore l’abbandonò all’improvviso per sposare subito dopo una giovane donna. Il duro colpo ebbe riflessi sulla sua arte e i suoi lavori del 1942 furono bocciati dai critici (“la visione artistica pessimista potrebbe avere delle influenze negative sulla gioventù”). Solo il pubblico delle sue tournée gli era rimasto fedele ed apprezzava i suoi lavori.
Nel 1943 lavorò con il musicista Carl Orff all’allestimento dei “Carmina Burana” ma a dicembre gli Alleati rasero al suolo il Conservatorio di Lipsia e non poté essere rappresentata. Ad aprile gli americani avevano bombardato la Casa tedesca della danza a Berlino. L’umore dell’artista era a terra ma ciò nonostante continuava a partecipare allo spirito di sacrificio collettivo richiesto con la mobilitazione totale.  Tra le sue ultime composizioni ci fu la “Danza di Brunilde”, una sorta di testamento autobiografico con al centro l’amore tradito.
Dopo il disastro del 1945 Mary Wigman si riprese lentamente, nel 1947 riaprì la sua scuola a Lipsia e riuscì a rappresentare ancora suoi lavori, vecchi e nuovi ricevendo anche alcuni premi. Nel 1967 riuscì finalmente a trasferire la sua scuola a Berlino. (dal gruppo Fb Effemeridi)

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Amerino Griffini

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