Antares. “Sottomissione” di Houellebecq tra Guenon e l’Occidente nemico di se stesso

Michel Houellebecq
Michel Houellebecq

Il recente Sottomissione di Michel Houellebecq, che ha fatto molto parlare di sé, specie in relazione ai tragici fatti di Parigi – i quali, in obbedienza a un canone diffuso quanto antico, hanno calcisticamente diviso le stelle della vita politico-culturale italiana in «semi-apologeti» e «catastrofisti» – è un testo passibile di diverse letture. Non è sufficiente bollarlo come «islamofobo», in ossequio a un «politicamente corretto» che oggi non convince più nessuno, né, come affermato da scrittori «creativi» improvvisatisi critici letterari di alto livello, definirlo «scritto male», e neanche farne il vessillo di un huntingtoniano «scontro tra civiltà».
Occorre invece farvi i conti, in un’ottica priva di pregiudizi che sappia anzitutto ascoltare, prima di emettere scomuniche o profondersi in levate di scudi in nome di un come eravamo (ma quando, poi?) inutile quanto paralizzante. Diverse sono le chiavi, si diceva, per affrontare queste pagine: dalla costante presenza di Huysmans, il quale può essere considerato, a tutti gli effetti, un personaggio del libro, cui il protagonista in carne e ossa (si fa per dire!) dedica la carriera, alla critica del sistema accademico, con tutti i suoi convenzionalismi e settarismi, piuttosto attuale anche da noi.
Ma ve n’è un’altra, che fa capolino nelle ultime pagine del romanzo: François, professore «in rottamazione» a seguito dell’ascesa della Fratellanza Islamica, incontra il primo rettore musulmano della Sorbona, sulla cui facciata svettano ora una mezzaluna e una stella. Nell’attenderlo, s’imbatte in una serie di tesi di laurea, che inizia a sfogliare. Una di queste – peraltro, quella discussa proprio dal rettore, come lui stesso gli confiderà – reca un titolo assai significativo: Guénon lettore di Nietzsche. Dopo averlo colto con le mani nel sacco, il rettore gli confida: «Guénon, a pensarci bene, non è stato influenzato più di tanto da Nietzsche; il suo rifiuto del mondo moderno è altrettanto forte, ma viene da fonti radicalmente diverse» (p. 209).
A nostro avviso, non è per nulla casuale la presenza di questi due autori, crocevia di futuri alternativi per un Occidente che ha cessato di credere in se stesso e nei propri valori. Sbaragliato il Front National, ultimo suo concorrente elettorale, la Fratellanza Islamica percorre vie alternative a quelle moderne, inseguendo il sogno meta-politico della Translatio Imperii, mirato alla «ricostruzione dell’Impero Romano» (p. 170), pur secondo nuove prospettive geopolitiche. Questo progetto sorge proprio dalla catastrofe dei valori moderni – in primis, la demonia dell’economia, che nell’universo fantapolitico di Houellebecq viene subordinata ad altri valori e riformata secondo le leggi del distributivismo di Chesterton e Belloc.
Lo stesso dicasi per il materialismo, dogma laico del nostro tempo, ridimensionato nell’ottica della riscoperta di una nuova concezione «verticale» dell’esistenza. Attraverso le lenti dell’Islam, della Fratellanza e dalla fantapolitica, insomma, Houellebecq parla di noi, di quel che siamo. E qui si potrebbe tornare a Guénon, il quale ne La crisi del mondo moderno affermò, facendo il verso a Henri Massis, come l’Occidente non avesse da difendersi che da se stesso, prima di temere irruzioni esogene. Nella narrazione dello scrittore francese, la Fratellanza Islamica non è che la proiezione esterna di uno squilibrio interno, di una debolezza congenita, di una guerra civile intrapresa dall’Occidente contro se stesso.
È forse in questo contesto che va inquadrato Sottomissione, ad onta dei dogmatici a destra e a manca, preoccupati unicamente di «essere o non essere Charlie».

*Michel Houellebecq, Sottomissione, tr. di Vincenzo Vega, Bompiani, Milano 2015, pp. 256, € 17,50.

(«Antarès – prospettive antimoderne», n. 9, Lune d’acciaio. I miti della fantascienza, Edizioni Bietti, Milano 2015 http://www.bietti.it/riviste/lune-dacciaio-i-miti-della-fantascienza/)

Andrea Scarabelli

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