Musica. I Coldplay e la mistica di Viva la vida, gioiello spirituale nell’oceano profano

Coldplay in concerto
Coldplay in concerto

In passato, fin da quando Papa Gregorio Magno ebbe codificato i canti sacri nell’Antifonarium Cento, musica e religione sono spesso andate di pari passo, la prima devota ancella della seconda. Ciò è particolarmente chiaro per quanto riguarda l’immensa tradizione liturgica della Chiesa Cattolica, ma non è meno vero per quegli splendidi monumenti di spiritualità che sono le opere di Palestrina, di Bach, di Charpentier, di Mozart. Il cardinale Bartolucci, il maestro perpetuo della Cappella Pontificia Musicale Sistina, l’ultimo grande interprete odierno del gregoriano, è scomparso da quasi tre anni, e grande è il vuoto da egli lasciato nella musica sacra. La liturgia, purtroppo, è stata troppe volte distorta risentendone in carisma e bellezza, ma, al di là della grave ed annosa querelle intorno alla musica ecclesiale, qual è la condizione del mondo musicale laico in materia di spiritualità?

Bruce Springsteen, a suo modo un cattolico, ha tentato di ravvivarne la forza con The Promised Land e le sue ballate della working class del New Jersey, le quali, più che un invito alla lotta di classe rappresentano forse un’accorata preghiera a ritrovare la terra promessa dell’anima nel deserto ferrigno e plastificato della modernità urbana. Non a caso l’uomo affranto di Badlands non solamente vuole liberarsi delle catene che lo legano ai bassifondi, della società così come dell’anima, ma crede in una fede che possa salvarlo, nella speranza…e prega (…I believe in the faith that can save me\I believe in the hope and I pray\That someday It may raise me\Above these badlands…). Tuttavia la più recente affermazione di spiritualità all’interno della musica proviene da un gruppo, i Coldplay, che è certo nuovo a sorprese di questo genere.

Il mondo è pieno di contraddizioni, certo lo sappiamo. A volte il destino vuole che uomini, nella loro infinita incosapevolezza, si facciano latori della parola di Dio ferendo nel profondo le proprie convinzioni. Federico II di Prussia, forte del suo machiavellico cinismo, riammise in terra calvinista la Compagnia di Gesù, soppressa negli Stati retti dai cattolicissimi Borbone e Braganza. Il principe Metternich, a lungo teista e libertino, rappresentò per oltre vent’anni il principale sostegno di un ordine temporale basato in gran parte sulla difesa di principi cattolico-romani. E, in ambito musicale, il Signore elargì dolci note di speranza, malinconico de profundis per un mondo presto stroncato dalla tragedia, attraverso le opere del massone Mozart.

Il mondo è pieno di contraddizioni, e così i Coldplay, i quali nel 2008 dedicarono quello che forse è il più bello dei loro album, Viva la vida or Death and all his friends, a Frida Kahlo, una pittrice messicana anarchica e femminista, elargendo al suo interno quelli che sono tra i più toccanti versi di spiritualità in musica degli ultimi anni. È proprio il brano da cui prende il nome la raccolta, Viva la vida, quello cui ci si riferisce.

Viva la vida. Eppure nessun’altra canzone potrebbe trattare più dappresso la morte. La dolcezza che tanto contraddistingue il gruppo, si sposa qui con un misticismo la cui portata forse lo stesso frontman, Chris Martin, non è del tutto conscio. Il bassista Guy Barryman sottolinea come le parole parlino di un re, in netto contrasto con l’andamento dell’album basato su rivoluzionari e guerrieri, del quale viene espresso il sentimento dinnanzi alla morte, dinnanzi alla perdita del suo regno e alla presunta futilità del passato. Eppure quel passato è davvero futile? Egli sedeva innanzi al mare e persino quest’ultimo gli obbediva (I used to rule the world\seas would rise when I gave the word), e quando lanciava il dado ecco la paura negli occhi dei nemici (I used to roll the dice\feel the fear in my enemy’s eyes). Possedeva la chiave per ogni porta, un vento selvaggio le abbatteva ed esse erano aperte per lui: It was the wicked and wild wind\blew down the doors to let me in\shattered windows and the sound of drums. Egli era il Re, il potere gli giungeva forse da Dio, forse dal suo ingegno e dalla sua forza. Tuttavia i giorni del comando ebbero termine, non restò che spazzare le strade sulle quali aveva regnato  (I[…]\sweep the streets that I used to own), forse braccato, forse in attesa del nemico in una torre assediata. Il Re è prossimo a morire, attende la cavalleria nemica che si appresta, rimbomba il clamore degli zoccoli ferrati sul selciato, le campane di Gerusalemme suonano, suonano a morto, forse al Re non resta che ricercare, nel vuoto di una cella monacale uno specchio che ricordi al vecchio signore l’antica gloria, e la spada e lo scudo, portatori della sua autorità in terra straniera, ma essi non sono che un peso inutile e grave nelle sue mani: I hear Jerusalem bells are ringing \Roman Cavalry choirs are singing \Be my mirror my sword and shield \My missionaries in a foreign field. Il Re è morto, il suo castello, ora in fiamme, era di sale e di sabbia (And I discovered that my castles stand \upon pillars of salt and pillars of sand), la sua gloria nulla di fronte alla morte, di fronte alle campane che lo chiamano al Giudizio finale. La sua vita è stata sangue, polvere e peccato, persino le porte dei Cieli gli sono precluse: for some reason I can’t explain\I know Saint Peter won’t call my name.

Il mondo che egli conosceva, il mondo che lo aveva conosciuto e che aveva lasciato sbalordito con le sue imprese (People couldn’t believe what I’d become), non era più: anarchia, disordine e la folla che attende la sua testa su di un piatto d’argento (Revolutionaries wait\for my head on a silver plate). La Regalità è morta (Oh who would ever want to be king?) e con essa, seppur con la crudeltà, la sete di dominio e di potere che recava con sé, ogni forma di verità e di giustizia: For some reason I can’t explain\ once you go there was never, never an honest word \that was when I ruled the world. Il Re, umano peccatore, è soggetto ad un destino più ampio rispetto a quello che riguarda la sua persona fisica e spirituale: il mondo si frantuma dinnanzi ai suoi occhi increduli e a lui, uomo, non resta che tornare polvere.

Abbandonandosi alla musica i passi non potranno ricordare alcune scene di The Waste Land di Eliot, The Fisherking nella sua terra arida e sterile destinata alla morte, o le pagine che Lytton Strachey dedica a Filippo II di Spagna in Elisabeth and Essex: il re morente, il ragno dell’Escurial si abbandona alle litanie che cento monaci cantano per lui nella cappella mentre il cero si consuma e, sì, le campane di Gerusalemme suonano anche per lui. O forse ci rammenteranno Carlo V nella solitudine del monastero di San Jerònimo, contemplatore penitente di una gloria di sale e di sabbia, un Carlo V che, nella finzione ucronica dei nostri pensieri, non trionfa a San Quintino ma viene braccato dalle armate francesi di re Enrico fino in Estremadura, mentre l’eresia, la peste e la violenza si scatenano nelle campagne. Coloro che amano Tomasi di Lampedusa richiameranno alla mente gli ultimi momenti di vita del principe di Salina ne Il Gattopardo: la morte di un vecchio gentiluomo, un ordine che tramonta, un’esistenza posta di fronte all’orizzonte ultimo.

In molti hanno voluto individuare nel testo precisi riferimenti storici e biblici: Canuto d’Inghilterra e Danimarca, Napoleone, Luigi XVI e i Capetingi, Mosè e San Giovanni Battista… Non sta a noi sindacarne la validità: sono buoni tutti e forse non lo è nessuno. Ciò che Viva la vida, un malinconico canto alla morte, esprime i misteri della Regalità infranta e di un ordine, ingiusto, severo, spietato e splendido al tempo stesso che viene infranto, mentre il nulla travolge l’esistente ed il Re, augustus senex, è posto innanzi alla povertà del suo essere.

Turning and turning in the widening gyre

     The falcon cannot hear the falconer;

     Things fall apart; the centre cannot hold;

     Mere anarchy is loosed upon the world,

     The blood-dimmed tide is loosed, and everywhere

     The ceremony of innocence is drowned;

     The best lack all conviction, while the worst

     Are full of passionate intensity.

 

    Surely some revelation is at hand;

     Surely the Second Coming is at hand.

     The Second Coming! Hardly are those words out

     When a vast image out of Spiritus Mundi

     Troubles my sight: a waste of desert sand;

     A shape with lion body and the head of a man,

     A gaze blank and pitiless as the sun,

     Is moving its slow thighs, while all about it

     Wind shadows of the indignant desert birds.

 

    The darkness drops again but now I know

     That twenty centuries of stony sleep

     Were vexed to nightmare by a rocking cradle,

     And what rough beast, its hour come round at last,

   Slouches towards Bethlehem to be born?

The Second Coming, William Butler Yeats

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Niccolò Nobile

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