Effemeridi. Adriano Romualdi esteta armato della tradizione

Un gruppo di contestatori del tempo

12 agosto 1973. Al tredicesimo chilometro della via Aurelia muore Adriano Romualdi, giovane storico e assistente universitario di Storia contemporanea nelle Università di Palermo e di Roma.
Abbagliato probabilmente dal flusso di auto dei vacanzieri agostani mentre lui in solitudine e in controtendenza proveniva dagli scavi di Ostia antica, uscì di strada capottando e rimanendo fino all’alba agonizzante.
Aveva 33 anni, dedicati allo studio; si era laureato con una tesi sulle correnti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, poi erano stati pubblicati i suoi studi su Platone, sulle migrazioni indoeuropee, su Nietzsche e una biografia di Julius Evola da quest’ultimo autorizzata.
Adriano Romualdi era stato anche un militante politico e di una storia in parte legata a questa militanza voglio accennare in questa effemeride.
Una storia normale in una Italia lontana; ma un Paese che ormai è indegno di qualsiasi bella storia; un’Italia, quella odierna, ormai in grado di compiacersi solo con storie che siano legate in qualche modo al denaro o al successo. alla faziosità e alle canagliate.
Quella di cui scrivo è una storia che ha origine sulle spiagge toscane quando due famiglie iniziarono a frequentarsi sotto gli ombrelloni estivi; un incontro che altrimenti sarebbe stato difficile immaginare tra i due capi famiglia, così lontani a causa delle loro esperienze politiche. Le famiglie Romualdi e Francovich.
La prima quella di Pino Romualdi, padre di Adriano e di Marina, eterno vice segretario: nel Partito Fascista Repubblicano era stato vice del “poeta armato”, il fiorentino Alessandro Pavolini, durante la RSI; poi, nel dopoguerra, vice segretario nazionale del Movimento Sociale. La seconda, quella di Carlo Francovich, padre di Giovanni e Riccardo, che era stato tra i fondatori del Partito d’Azione a Firenze, città nella quale era arrivato da Fiume dopo la Prima guerra mondiale, con il titolo nobiliare di barone di nomina asburgica; campione dell’antifascismo militante ed esponente della Resistenza fiorentina in Giustizia e Libertà, docente nella Facoltà di Magistero, studioso della Massoneria e responsabile dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana.
I bambini e poi ragazzi Romualdi e Francovich divennero amici. Giovanni morì in un incidente analogo a quello di Adriano e anche Riccardo, docente di Archeologia medievale, trovò la morte, un po’ come Adriano, alla ricerca delle antichità a Fiesole, cadendo in un dirupo nel bosco di Monte Ceceri mentre stava facendo delle ricerche su una necropoli.
Il ricordo di questi legami, esempio anche di come si possa essere amici restando fedeli alle proprie radici senza metter nel mezzo buonistiche pacificazioni e superamenti di storici rancori, lo lascio a Franco Cardini, che tutti i protagonisti di questa storia ha conosciuto e della quale scrisse in occasione della morte di Giano Accame.
Scrisse dunque l’amico Franco in occasione di una volgare polemica che – come da consueto copione – seguì il funerale di Accame:
“…desidero narrare un aneddoto di molto tempo fa. Perché tutti noi gente del XX secolo, noi che ormai abbiamo superato le sessanta primavere e più, siamo stati toccati in qualche modo dal “Fattore F” o dal “Fattore K”, siamo stati o fascisti o comunisti, o antifascisti o anticomunisti: e la storia non solo non si cancella, ma non si deve neppure ignorare. E tanto meno tradire.
Nel ’63, l’anno a cui risale la mia amicizia con Giano, avevo ventitré anni ed ero dirigente universitario del MSI di Firenze. 
Oggi so molte cose che allora non sapevo e non credo più in molti dei valori nei quali mi riconoscevo allora: ma mi ci riconoscevo onestamente, quindi non me ne vergogno né me ne pento.
Morì in quell’anno, in un tragico incidente, un venticinquenne mio fraterno amico Giovanni Francovich, (fatalità: in modo analogo, un paio di anni dopo, è venuto a mancare anche suo fratello, l’archeologo Riccardo, un altro amico a me carissimo).
Era un dirigente del Partito Socialista di Unità Proletaria e figlio del professor Carlo Francovich, illustre storico e ex dirigente del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale.
Giovanni ed io ci eravamo conosciuti facendo a pugni ed eravamo diventati amici più che fraterni: era un giovane coltissimo, intelligente, profondamente buono e generoso.
Anche molti miei giovani camerati del MSI di allora lo amavano e lo stimavano. 
Eravamo meno di una decina, noialtri, ai funerali di Giovanni irti di bandiere rosse. Avevamo indossato tutti un maglione nero, per sottolineare la nostra identità e la nostra volontà di render omaggio a un avversario leale ch’era anche un amico carissimo. 
Quando la bara di Giovanni calò nella fossa, tutti alzarono il pugno chiuso nel saluto socialista. Lo alzammo anche noi: era un gesto che ci era odioso, ma lo facemmo col cuore gonfio d’una tristezza orgogliosa e quasi gioiosa: per rendere omaggio non a quell’orrore ch’era stato ed era ancora il bolscevismo, ma alla purezza di quel ch’esso era stato negli ideali di Giovanni.
Alla fine della cerimonia il professor Carlo Francovich, che era stato imprigionato durante il ventennio fascista e che i fascisti li aveva combattuti davvero, venne da noi, ci strinse la mano e ci abbracciò uno per uno, piangendo.
Così, allora, si comportava un galantuomo. Senza buonismi e senza sincretismi. Virilmente.
Per onore di cronaca, aggiungo un particolare che a molti parrà sconvolgente e incredibile. Giovanni Francovich era da molto tempo e sinceramente amico di Adriano Romualdi, il figlio di Pino (altra fatalità: Adriano morì più o meno contemporaneamente a Giovanni, e in modo simile). Si erano conosciuti bambini, dopo la guerra, sulle spiagge toscane. E, attraverso di loro, l’ultimo segretario del PFR e il dirigente del CTLN avevano imparato a conoscersi e a stimarsi.
Come diceva l’Ariosto, “Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!”.
Ma capisco che queste cose possano sembrar roba dell’altro mondo a certi cialtroni di oggi, che amano nascondere il vuoto delle idee dietro l’arroganza manichea di chi crede di star dalla parte giusta e ama combattere i draghi del Male Assoluto: non prima tuttavia di essersi accertati che tali draghi siano, in realtà, solo povere lucertole.
Un’ultima postilla: ero all’estero e non ce l’ho fatta a venire al funerale di Giano. Non me lo perdonerò mai. Ma si sappia che, quel saluto romano, l’ho fatto anch’io. Camerata Giano Accame: Presente! E ora, come dice la vecchia canzone castrista, “que me pongan en la lista, porqué yo estoy con él”. (dal gruppo Effemeridi FB)

@barbadilloit

Amerino Griffini

Amerino Griffini su Barbadillo.it

Exit mobile version