Il caso. Il nichilismo abortista di Marina Abramovic

Marina Abramovic
Marina Abramovic

Poche ore fa, la celebre artista contemporanea Marina Abramovic ha raccontato di aver abortito tre volte per lavoro, perché i figli uccidono l’arte. La tesi è che conciliare famiglia e passione per lei sarebbe stato impossibile, e ora, a circa settant’anni, si dice felice.

Bene. Con la sua opinione si può essere d’accordo. Non bisogna fare i superficiali, in queste cose. Non è detto che tutte le donne siano portate a realizzarsi attraverso la maternità – è una scelta del tutto intima, che deve essere presa in base a molti, moltissimi fattori; c’entrano il carattere, le energie personali, le predisposizioni, il tipo di lavoro che si è scelto, gli aiuti familiari, il grado di sopportazione di un carico di fatica. Quante tristezze sono nate dalle “campagne per la maternità” che spingono tante donne a fare figli solo per esasperazione, per tacitare il/la parente di turno che reclama un pargolo da esibire come prova di fertilità! Oppure da una delle altre soluzioni partorite dalle menti brillanti dei contemporanei: il Figlio che Incastra il Compagno, subito seguito dal Figlio che Salva il Rapporto (vorrei davvero che una volta mi spiegassero bene come può una situazione di maggiore delicatezza e asperità rinsaldare un legame sul punto di spezzarsi, che è un po’ come immaginare di andare in coma etilico davanti a un amico per riparare a una baruffa o farsi investire e trascinarsi fino alla casa paterna per aggiustare un Edipo irrisolto…)

Sarà che sono una di quelle antiquate persone che pensa che fare un figlio sia una cosa preziosa, grande, da non prendere come un semplice dovere biologico, e che oltre a consapevolezza e desiderio richieda nelle coppie anche quella cosa strana che si chiamerebbe amore. Ma qui il discorso si fa impervio ed è meglio mollarlo subito.  Quello che davvero mi lascia di stucco, più che di fronte a una qualsiasi delle performance estreme della Signora, è la storia degli aborti che hanno costellato la sua vicenda personale. Tre, per giunta. Numero perfetto. Una scelta artistica?

Eppure, mi sembrava una donna moderna. Di cultura. Sempre informata e sulla cresta dell’onda. Una che pretende di dare significato a cose e persone – e che quindi, a maggior ragione, si immagina che se la sappia cavare nella minima quotidianità. Ha abitato ad Amsterdam, non nelle capanne della profonda Africa. È nipote di un patriarca ortodosso proclamato santo e figlia di un eroe nazionale e della direttrice del Museo di Rivoluzione e Arte di Belgrado, non l’orfana un po’ confusa e traumatizzata di una coppia di alcolizzati. Infine, immagino sia più che benestante, e che il problema non sia mai stato quello dei soldi.

E le meravigliose, addirittura incantevoli nella loro candida idiozia, voci di intellettualini e intellettualine progressisti che si levano sui social, a difendere Marina, a darle sostegno – perché mai perdere un’occasione per dimostrarsi impegnati – a urlare al sessismo, all’ingiustizia e alle discriminazioni, a slanciarsi a rivendicare il diritto di cambiare opinione (di preciso, in che senso? Che una si può addormentare una sera volendo un figlio e svegliarsi, la mattina dopo, che ci ha ripensato?), a parlare della debolezza della donna che “a differenza dell’uomo non ha tutti i mezzi di contrasto”. E questa è bellissima. Meno male che sono loro i progressisti, ragazzi. Che di sicuro hanno firmato su Change la petizione di Rocco Siffredi per l’educazione sessuale nelle scuole. Quelli che girano il mondo e quando hanno finito di girarlo ricominciano da capo ed evidentemente tutto questo girare ha fatto un po’ di casino tra i loro sensi biologici, perché in tutti i giri e in tutto il progressismo pare che non si siano ancora accorti dell’esistenza di tutti quei “mezzi di contrasto” a portata della femmina e facilmente acquistabili anche su internet, se proprio vi vergognate ad andare in farmacia, che Durex, Control, Akuel (facciamo un po’ di pubblicità, va’, che pare sia una questione grave, questa disinformazione sessuale tra i radical-chic) e altre sacrosante case di produzione elaborano dalla mattina alla sera, ormai di tutte le dimensioni, gli spessori, i colori, gli aromi, le lubrificazioni, e per chi non ama il genere, delle varie pillole del giorno prima, del giorno durante e del giorno dopo, per chi ama sperimentare del preservativo femminile e di tante altre cose che sono state inventate ormai da milioni di anni.

(Mi viene una proposta da fare alla Durex, che studia sempre delle pubblicità molto suggestive e implicite – tanto creative che da bambino ci passavi le ore a interrogarti su quale diavolo fosse il prodotto che veniva pubblicizzato – e iniziative come quella di mandare delle coppie in vacanza senza cellulari e tecnologie: coinvolgete gli avventori dei festival letterari, gli opinion maker di twitter e facebook, i critici letterari, vedrete che riuscirete a espandere il vostro fatturato e avrete fatto del bene all’umanità.)

Per non parlare, poi, della contraccezione classica spesso utilizzata dagli artisti, che mi sentirei di suggerire alla Signora, ovvero quella dell’astensione: oltre a essere in assoluto la più sicura ed economica promette anche un’elevazione delle energie spirituali e quindi le dovrebbe interessare… Insomma, non li si capisce mica bene, questi progressisti che ricorrono alle soluzioni controriformistiche per cavarsi d’impaccio.

Non ci si raccapezza più, a sentirli guaire come se avessero di fronte a sé una manica di donnine inconsapevoli preda dei bruti. Cambiare idea, nella vita? Ma certo. Ma si comprenderà che metta un po’ d’angoscia questa cosa che da un momento all’altro uno possa alzarsi con un’opinione diversa rispetto a qualsiasi cosa, e quindi che su due piedi uno si scopra serial killer perché gli erano girate le balle di fare il caporedattore di una pagina culturale. Non è che sono loro, con le loro ricerche infinite di sé, le sperimentazioni, la divertita e autoerotica religione dell’incertezza, a provocare una serie di casini che poi confluiscono nei casi di cronaca delle americane sgozzate dopo una notte di sesso o delle orge che finiscono male?

Poi, sì, c’è un altro piccolo problema.  E cioè che mentre qui si pensa alle questioni del sessismo e della discriminazione e a trovare se stessi, ci sono altre culture poco progressiste e molto certe che figliano come nemmeno i conigli e paiono determinate a toglierci diversi pensieri dalla testa. Forse è il caso di trovarci da soli, prima che ci trovino loro. Ma questa, avete ragione, è un’altra storia.

silvia_valerio@libero.it

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Silvia Valerio

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